Prima conferenza stampa: i Nobel Heckman e Akerlof

«Avevate previsto la crisi?» - Heckman: «No.» - Akerlof: «Beh, quasi…»

Prima conferenza stampa al Festival dell'Economia 2009, con due personaggi che senza la Provincia autonoma di Trento, probabilmente nella nostra città non sarebbero mai venuti: i premi nobel per l'economia James Heckman e George Akerlof (rispettivamente nelle foto di sinistra e di destra).
«Le piace il Trentino?» - Abbiamo chiesto a Heckman, prima che il capufficio stampa della Provincia ce lo portasse via.
«Fantastico! - È riuscito a risponderci prima che Pedrotti se lo portasse con sé. - Mi hanno detto che è una miniatura del Colorado…»
«Sì, racchiude in sé un po' tutte le meraviglia naturali del vostro grande Paese…»



La prima domanda l'avevamo fatta noi, certi di interpretare la volontà dei nostri lettori.
«Questa è una domanda che faremo a tutti gli economisti che verranno al Festival. - Abbiamo premesso in inglese, mentre la traduttrice simultanea ci ripeteva nell'auricolare la frase in italiano. Poi la stoccata. - Avevate previsto la crisi?»

I due signori rimangono contraddetti, ma poi emerge la loro personalità. Risponde prima Akerlof, al quale avevo già posto la questione prima della conferenza stampa. «Chi ha letto i miei scritti… - aveva risposto a microfoni spenti, - avrà certamente capito che la crisi sarebbe arrivata.»
Adesso che doveva dare una risposta pubblica, era in grado di essere più circostanziato, o più prudente.
«Mi spiace solo - ha risposto - che il mio libro "Spiriti animali" sia uscito troppo tardi.»
Vede che un collega della Repubblica ha il suo libro sul tavolo e glielo chiede. Una collega glielo porta cortesemente. Ce lo mostra e ci spiega che se il libro lo avesse pubblicato prima, le cose sarebbero andate diversamente.
Insomma, in un certo senso sì, o forse no. Per tradurre la risposta ai nostri lettori, «NO.»
[In pagina del Festival dell'Economia c'è un ampio articolo su Akerlof e il suo libro - NdR]

Poi prende la parola il collega Heckman, il quale ha avuto il tempo necessario per prepararsi una risposta ponderata. E invece dà una risposta spontanea e disarmante.
«No, no, io non l'ho prevista! - È un'ammissione che merita tutta la nostra ammirazione. Sorride con una espressione disarmante. - Vedete, eravamo tanto occupati a studiare microproblemi a interesse altamente verticalizzato, che non ci siamo neanche accorti che ci stava venendo addosso una montagna.»
Ha risposto per tutti i suoi colleghi, anche se il Nobel vicino non gradisce essere inserito con coloro che non avevano predetto il disastro.

Dopo di noi prende la parola il collega della Repubblica, il quale chiede precisazioni sulle teorie di Keynes, domandando come poteva essere citato oggi ad esempio, in un momento in cui neanche l'azzeramento del costo del denaro serve per ridare fiducia al sistema.
«Se il costo del denaro è vicino allo zero, - risponde Akerlof, - secondo il Keynes si agirà sul sistema fiscale. Keynes non era stato studiato del tutto e oggi sappiamo che aveva previsto anche questa situazione, che ai suoi tempi era impensabile.»
Come se fosse ovvio… Nessuno osserva però che il costo del denaro vicino allo zero corrisponde a non meno del 5% per gli operatori economici.

Prende poi la parola la giornalista Silvia Senette (nella foto che segue), del Corriere del Trentino. Si rivolge sia ad Akerlof che a Heckman.
«Aiutando le imprese a vivere nei momenti di difficoltà - domanda, - non è che le abituiamo a vivere con il salvagente e renderle impreparate a nuotare quando la situazione sarà normalizzata?»
«E che dobbiamo fare? - risponde Akerlof. - Dobbiamo lasciarle annegare? Meglio che scompaiano quando l'economia è in grado di assorbire la manodopera messa sulla strada.»
Il collega Heckman, però, non è d'accordo.
«Caro George, - interviene, parlando alla collega rivolgendosi a lui. - Vanno fatti dei distinguo. In America il mercato era del tutto fuori controllo ed è per questo che tutto il mondo sta pagando con questa terribile crisi. Qui in Europa, invece, - prosegue, - è tutto regolamentato in maniera difforme, stato per stato…»
«Beh, vorresti dire che è migliore il sistema americano o quello europeo?»
«No, dico solo che non si può generalizzare. In America il mercato va regolamentato, le aziende vanno aiutate nel limite delle necessità superiori del Paese, mentre in Europa è chiaro che ogni stato ha i propri interessi superiori.»
«Sì, ed ogni paese ha deciso di salvare le proprie aziende…»
Insomma, la collega Senette è riuscita a scatenare una piccola guerra di Nobel. I due si rivogevano al collega affinché i giornalisti ntendessero.
Da quello che abbiamo capito, dunque, gli USA devono cominciare a darsi delle regole e l'Europa deve cominciare a ragionare con spirito federale.
Brutto momento questo, dato che il salvataggio della Opel sta a dimostrare che il problema non è il salvagente, ma chi lo vuole lanciare e a chi si vuole dare il capo della cima.

A quel punto interviene Cipolletta che, senza fare nomi, si rivolge a noi che abbiamo fatto la domanda più semplice del mondo «Avevate previsto la crisi?», quasi volesse prendere le parti dei due personaggi che invece avevano dimostrato di sapersela cavare benissimo da soli.
«Non si può chiedere a un economista di prevedere le crisi. - dichiara, rivolto a tutti. - I previsionisti fanno parte del sistema e influenzano il sistema. Se avessero previsto la crisi, la crisi non ci sarebbe stata. Anche i politici, se fossero in grado di prevedere una guerra la eviterebbero…»
Che diamine, i politici la guerra la fanno perché vogliono farla!
Ma forse Marchionne e Guido Rossi, gli unici due che avevano previsto e annunciato la crisi nel corso del Festival precedente, non facevano parte del sistema. E, senza per questo fare paragoni irriverenti, noi l'avevamo prevista (fin dal 2006) proprio senza giocare alcun ruolo né sull'economia né sull'opinione pubblica.

Finita la conferenza stampa, i giornalisti hanno cercato di fare le proprie interviste, quelle vere, quelle che i colleghi non devono sentire.
Mi si avvicina Francesca Merz (nella foto qui sotto), di Radio NBC, con un sorriso accattivante. Ma ho i piedi interra, so perché viene da me.
«Mi fai da interprete con Heckman? - mi mostra il microfono. - Vorrei chiedergli un paio di cose.»
«Come no, sono qua per questo.»
Incantoniamo il premio nobel e lei gli pone la prima domanda. Io la traduco.
«Lei ha ammesso con disarmante professionalità di non aver previsto la crisi.»
«Lo confermo anche adesso.»
«È in grado di prevederne la fine?»
«Per carità! - Risponde. - Ho sbagliato la prima volta, non chiedetemi di sbagliare per la seconda volta! Però, vi posso dire come stanno le cose - aggiunge. - In USA è in atto un cambiamento complessivo dell'intero sistema economico, produttivo e finanziario. Quando sarà superata questa fase di ristrutturazione mondiale, allora si potrà pensare di essere usciti dal disastro.»
«Lei ha detto che l'ottimismo è fondamentale per superare la crisi. - Prosegue Merz, con una punta di evidente ironia. - Con questo vuol dire che Berlusconi ha ragione? Basta l'ottimismo?»
Heckman, pur mantenendo il senso dell'umorismo, si fa serio.
«Negli anni '30, dopo la crisi del '29, il presidente Roosvelt ha dovuto anzitutto combattere la paura. Il terrore che la gente aveva di morire di fame. Avete mai visto le foto della gente che faceva la fila con la ciotola in mano in attesa di una ciotola di minestra? Avete idea di cosa sia non riuscire a dormire perché lo stomaco è vuoto? O perché non sai come farai domani a trovare un lavoro? C'era bisogno immediato di dare sicurezza, certezza che la crisi sarebbe stata superata, fiducia nell'avvenire…»
«Ma, in qualche modo però la gente doveva pur anche mangiare, non solo vivere di speranze…»
«Per forza! Oltre a infondere ottimismo Roorvelt doveva anche fare cose reali. Real act. Doveva inventare il lavoro a masse di persone che sapevano solo lavorare per chi gli offriva lavoro.»
«Quindi il nostro presidente dovrà pur fare anche lui dei real act…»
«Io non so cosa stia facendo il vostro presidente, ma li fa anche lui, credetemi. È così che funziona.»

GdM