Storie di donne, letteratura di genere/ 227 – Di Luciana Grillo
Maria Serena Palieri, «Radio Cairo - L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto»
Titolo: Radio Cairo. L'avventurosa vita
di Fausta Cialente in Egitto
Autrice: Maria Serena Palieri
Editore: Donzelli 2018
Pagine: 244, Brossura
Prezzo di copertina: € 25
In prima battuta, mi ha incuriosito il titolo, perché ho letto i romanzi della Cialente, di cui conosco abbastanza bene la vita, anche per averla inserita nel saggio «Costruire Letteratura con mani di donna – scrittrici italiane del ’900 e oltre» (Curcu&Genovese) dedicando una particolare attenzione al bellissimo romanzo «Le quattro ragazze Wieselberger», che fece vincere all’autrice il Premio Strega nel 1976.
In realtà, leggendo Radio Cairo, oltre ad avere una visione chiara dei tanti italiani che vivevano in Egitto per lavoro, «una comunità di più di 50.000 nostri connazionali», ho conosciuto la Cialente giornalista antifascista che «dal 21 ottobre 1940 al 14 febbraio 1943 scriverà, coordinerà e condurrà la trasmissione quotidiana di Radio Cairo Siamo Italiani, parliamo agli Italiani, alle 19 e alle 23» lasciando ad Alessandria il marito e la figlia per vivere al Cairo questa nuova esperienza.
Dunque, nella capitale di uno Stato neutrale, dove la guerra sembra un gioco su una scacchiera, dove la vita mondana sembra acquistare vigore, dove gli italiani sono ufficialmente nemici perché lo Stato è controllato dagli inglesi, Fausta Cialente diventa una dipendente dell’Ambasciata britannica che, nel suo diario, sottolinea il clima confuso: «Da una parte gli intrighi e le baruffe e gli scandali dei cosiddetti italiani antifascisti che, tra essi e i loro rappresentanti, non so chi sia peggio. Dall’altra gli intrighi di questi capi britannici lanciati alla rincorsa di un grado o di una stelletta di più sulle spalline, e dispostissimi a farsi la forca pur di arrivare… E intanto la guerra sul fronte russo, il massacro degli ostaggi, il mondo ovunque a ferro e fuoco – e costoro interessati spudoratamente solo ai loro intrighi».
A tutto ciò, si aggiunge «l’arrivo in pianta stabile di un ufficiale inglese…come supervisore. Censore? Evidentemente sì».
Il prezioso diario ci consente anche di dare un’occhiata a Tel Aviv e Gerusalemme, dove Fausta è inviata per organizzare l’apertura di un’altra sede della radio: «Tel Aviv è una specie di fiera campionaria… tutto sembra essere costruito in cartapesta, tutto è già screpolato, sciupato, roso dal maltempo, dal sole o, semplicemente, dal tempo: un provvisorio che fa sentire la povertà… Gerusalemme…un cielo meravigliosamente limpido e celeste e la pietra tutta imbevuta, pastosa di luce e tiepida a toccarla».
A Gerusalemme, però, Fausta si sente estromessa, «in condizioni morali e materiali assai difficili, senza speranza di lavoro, senza nessun appoggio, e nel mio caso particolare, malgrado tutto quello che avrei da fare, come se fossi una persona inutilizzabile o di presenza indesiderata».
E, con un colpo di testa, «disubbidisce e torna a sorpresa – illegalmente – strappando un passaggio su un ex bombardiere della Raf».
La guerra continua, arrivano le notizie dei bombardamenti su Genova e Milano, Fausta sostiene che «è triste, ma necessario» mentre «alla radio…il clima cambia pesantemente…ci sarà un caporedattore inglese… è esautorata dal suo ruolo. La parola d’ordine, le spiega Murray, adesso è:“L’Italia è un paese nemico.»
Dopo un po’, l’impegno finisce e Fausta torna ad Alessandria, alla fine di febbraio 1943. Non dimentica di essere stata una giornalista, né di essere una scrittrice, ma finiscono col prevalere gli affetti familiari, l’amore per la figlia Lili che intanto ha incontrato il futuro marito, il pensiero affettuoso per il fratello Renato al quale la legava uno straordinario sentimento di complicità.
Soltanto ascoltando Radio Bari ha notizia della sua morte: «…ho vegliato questa notte, in memoria del giorno caro e felice che fu quello della sua nascita. Lo tengo per mano, lo consolo d’essere morto, mio povero caro, mio eterno rimpianto».
E sulla sua strada, compare la possibilità di scrivere per un nuovo giornale Fronte Unito diffuso anche fra i prigionieri italiani.
Naturalmente la sua attività di giornalista antifascista le consente di incontrare tante persone speciali, dalla figlia di Thomas Mann – Erika – a Palmiro Togliatti, alla sua (non ancora ex) moglie Rita Montagnana, di tradurre e pubblicare scritti di grandi autori come ad esempio Jack London e soprattutto di seguire minuto per minuto le vicende italiane ed europee fino all’8 maggio, quando scrive sul suo diario «PACE. Ieri alle 4 pomeridiane è stata annunciata la firma della resa senza condizioni della Germania su tutti i suoi fronti».
A fascismo sconfitto, il 20 gennaio 1946, Fausta partecipa al «battesimo» di una nuova testata, «Il Mattino della Domenica» «organo della comunità italiana d’Egitto e del Medio Oriente» e, sei mesi dopo, ritorna in Italia.
Anche in patria, incontri e impegni: Sibilla Aleramo, Alba de Céspedes (che dirige la rivista Mercurio e che le chiede una novella da pubblicare), i coniugi Bellonci (creatori di lì a poco del Premio Strega), Antonio Giolitti (recentemente eletto alla Costituente) e i maggiori rappresentanti della nomenklatura comunista.
Il 27 luglio 1947 Fausta mette fine al suo diario. E qui comincia il lavoro di Maria Serena Palieri che, con onestà intellettuale, ricostruisce la vita di Cialente prima del 1940 e dopo il 1947.
A questo punto vorrei sottolineare alcuni elementi: in primo luogo ciò che riguarda la Cialente scrittrice, per cui «la lingua… è unica patria e unica famiglia».
Palieri la definisce «una maga delle parole e un’alchimista del tempo», ne riporta i pensieri: «Scrittrice, o narratrice, non sono diventata. Si nasce portando dentro di sé la necessità di scrivere, e raccontare… Si può diventare scrittori occasionalmente, ed essere anche ottimi scrittori, se le circostanze impongono di raccontare qualcosa di molto particolare… ma la tendenza del narrare, d’inventare personaggi, è altra cosa, e non può che essere innata… Creare personaggi dal nulla, questo sì vale una fatica!»
Cialente, passata attraverso due guerre mondiali, dall’esperienza vissuta trae un leitmotiv narrativo: «Il ritratto di un’incosciente o colpevole borghesia è il tema fondamentale di tutta la mia opera».
Un interessante suggerimento ci viene dalle letture di Fausta, che amò da adolescente Salgari e Stevenson, da adulta Slataper, Proust e Gide, Conrad e Radiguet, Mansfield e Woolf, Alvaro e Joyce «e mi sentii come folgorata la prima volta che lessi La metamorfosi di Kafka e La morte a Venezia di Mann», letture rese possibili dal fatto che si trovasse in Egitto e non in Italia, lontano dalla censura fascista, in una casa dove si respirava cultura letteraria e musicale.
Altro elemento da considerare è la famiglia, dove al padre – ufficiale di carriera, trasferito da un capo all’altro della penisola, con moglie, figli e materassi al seguito, sventato e decisamente poco simpatico – si affianca la madre Elsa, triestina, giovane soprano, cresciuta in un ambiente colto, che aveva persino ballato con Ettore Schmitz (non ancora diventato Italo Svevo), pronta ad esaudire il desiderio dello sposo e quindi a rinunciare «alla carriera di soprano in palcoscenico e a utilizzare la formazione musicale solo per concerti per familiari e amici» o per dare lezioni in momenti di ristrettezze.
È per allontanarsi dal padre, che imprigionava la sua famiglia in un «eterno presente» che Fausta sposa Enrico Terni e che la sua vita prende una precisa direzione, al di là del Mediterraneo.
In un’intervista rilasciata quando aveva più di ottanta anni, Fausta si chiede: «Sono io veramente una scrittrice italiana? Quanto di italiano c’è dentro di me? Non appartengo a nessuna regione, non ho mai parlato in dialetto, salvo nell’infanzia un po’ di triestino, nella Trieste austriaca, la famosa e indimenticabile Trieste degli Asburgo… a 22 anni mi sono sposata e trasferita in Egitto dove sono entrata immediatamente in una cultura straniera e dove sono rimasta per 26 anni consecutivi…».
I suoi romanzi rimangono testimonianza di un mondo che abbiamo perduto («… il silenzio, la buona creanza e la tranquillità sono diventati oggi il più costoso privilegio») e che questo bel saggio, suggerendoci di leggere Cortile a Cleopatra, Ballata levantina, Un inverno freddissimo e soprattutto Le quattro ragazze Wieselberger, ci invita a riscoprire.
Luciana Grillo – [email protected]
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