La violenza psicologica/ Prima parte – Di Nadia Clementi
È una forma di maltrattamento troppo spesso sottovalutata: ne parliamo in due puntate con la psicologa, psicoterapeuta e criminologa dott.ssa Marika Perli
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Non tutti i tipi di violenza lasciano segni visibili sul corpo, alcuni annientano l’anima distruggendola lentamente, sgretolano le nostre certezze, la nostra autostima, la nostra identità.
È difficile accorgersi di esserci finiti dentro, tutto inizia per il meglio, la persona al nostro fianco è premurosa e attenta, certo forse un po’ troppo gelosa, ma forse questo in fondo ci fa anche piacere.
Ma dopo questo periodo di idillio le cose iniziano a cambiare, e se non sono schiaffi, spintoni o botte ad arrivare, arrivano insulti, minacce, denigrazione, allontanamento dai nostri affetti, una lenta e progressiva distruzione delle nostre certezze, fino a ritrovarci in trappola.
Parliamo oggi di violenza psicologica della quale troppe persone sono vittime, spesso inconsapevoli.
Nel riquadro riportiamo la storia di Giorgia (nome di fantasia), una donna che potrebbe essere ognuno di noi, nostra sorella, la nostra migliore amica, la nostra collega di lavoro che negli ultimi tempi è sempre più chiusa, sempre più sfuggente, non capiamo perché e non vogliamo impicciarci negli affari altrui e così anche la nostra indifferenza contribuisce a far mancare la terra sotto i piedi della vittima.
Giorgia ha 40 anni e ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze della violenza psicologica e domestica. Giorgia lavorava per una multinazionale ed è stata costretta a lasciare quel lavoro; è stata solo la prima delle tante violenze psicologiche e fisiche che ha subito da parte dell'uomo che amava. Ma oggi, dopo tanta fatica e una buona dose di coraggio, questa donna si è lasciata alle spalle quel buco nero dove era precipitata, e ora sta lavorando su se stessa per ricostruire la propria vita... Quali sono le violenze che fanno più male? «Quelle psicologiche e verbali. Ti annientano. Lui non faceva che denigrarmi, anche davanti ai nostri figli, io ho iniziato a colpevolizzarmi. «Mi ero convinta di essere diventata una nullità e che non sarei riuscita più a combinare niente. «Ripensavo a quando ero stimata per il mio lavoro e mi sembrava impossibile. Le mortificazioni quotidiane sono la cosa più dolorosa.» Quanto tempo ci hai messo a reagire? «Mi ci sono voluti 6 anni per ammettere il problema. Davvero molto tempo. Il fatto è che speravo che lui potesse cambiare, ma non è mai così: purtroppo questo è un errore che fanno molte donne. «Così aspetti, e invece le cose peggiorano al punto che tu non hai più la forza di reagire perché ormai non hai più autostima. «A frenarti, poi, è soprattutto la paura di quello che può succederti: ti ripeti che, almeno, ora un tetto ce l'hai, ma se te ne vai chissà che cosa ne sarà di te…» |
Quella di Giorgia è una delle tante, troppe storie di violenza psicologica, una forma di maltrattamento che non prevede delle azioni da compiere sulla vittima, come accade per altre forme di violenza, e non lascia ferite sanguinanti o ematomi sul corpo, visibili e documentabili ma agisce nella sfera impalpabile della psiche, dell’anima, dove le ferite e gli ematomi non sono osservabili dall’esterno, ma sono percepibili con grande sofferenza solo da chi la subisce.
Le ferite di questa violenza prendono la forma delle lacrime, dell’ansia, dell’insonnia, dell’inappetenza, della confusione, della paura, tutti segni che un osservatore esterno difficilmente riconosce ed è quasi impossibile attribuirne con certezza la causa.
La violenza psicologica è più sfuggente di quella fisica o sessuale, ma comunque reale, nonché un reato. In particolare sono due i fattori che possono indicare una situazione di abuso: l'isolamento che l'aggressore ritaglia intorno alla vittima e la dispercezione, ovvero quel fenomeno per il quale la vittima non è più in grado di riconoscere gli abusi come tali né di ricordare il proprio valore.
Eppure gli abusi sono spesso evidenti: manie di controllo, insulti, svalutazione, derisione, stalking, gelosia immotivata.
Un fenomeno che nella maggior parte dei casi vede come vittime le donne e come aguzzini gli uomini, ma vale la pena ricordare che è possibile anche l’opposto (senza contare i casi nelle relazioni omosessuali) e troppo spesso le vittime di sesso maschile fanno ancora più fatica a trovare aiuto nelle istituzioni, a causa del pregiudizio secondo il quale un uomo non può essere vittima di una donna, né psicologicamente né fisicamente.
Nonostante negli ultimi dieci anni in Italia la violenza fisica e sessuale sia diminuita, solo l'11,8 % delle vittime denuncia gli abusi psicologici subiti, un fenomeno che al pari della violenza fisica ha conseguenze devastanti, ma troppo spesso viene sottovalutata, ecco perché è fondamentale riconoscerla e trovare la forza e il modo di uscirne.
Noi per saperne di più abbiamo intervistato Marika Perli, psicoterapeuta in ipnosi, criminologa e mediatrice civile, certificata Master in PNL da Richard Bandler.
Da molti anni si occupa delle problematiche delle donne nelle varie fasi di età con particolare attenzione alla dipendenza affettiva.
Collabora con diversi studi legali per consulenze ed è Docente della scuola di Alta Formazione AISF e partecipa al progetto itinerante: I Manipolatori Affettivi con R. Bruzzone e Avv.M.C. Ciace.
Dott.ssa Perli, quali sono i meccanismi della violenza psicologica?
«Per comprendere al meglio i meccanismi della violenza psicologica è necessario capire come funziona una delle caratteristiche più potenti di cui l’essere umano dispone: la capacità di comunicare. La comunicazione eleva la posizione dell’essere umano da animale ad animale sociale ed è comunicando che entriamo in contatto con le altre persone.
«La comunicazione si esplica su più piani: quello verbale comprendente le parole che utilizziamo, quello non verbale: cioè la mimica facciale e la gestualità e quello paraverbale, che considera i toni che noi utilizziamo e che sappiamo fra i tre, avere un impatto potentissimo a dispetto del contenuto verbale.
«Se dico con un tono paraverbale scherzoso una frase come Questa me la paghi risulterà completamente diverso l’effetto rispetto alla stessa frase pronunciata con tono minaccioso. Per
questo motivo la comunicazione nelle mani del manipolatore diventa un’arma per distruggere l’altro.
«Egli può utilizzare contenuti aggressivi, offensivi, violenti, sminuenti oppure semplicemente contenuti verbali neutri ma con toni sprezzanti, può aggiungere espressioni del volto, sguardi, gestualità che feriscono nel profondo più del significato di mille parole. Anche il silenzio può essere violenza psicologica. Il silenzio punitivo, il cui messaggio è chiaro: valiamo così poco che non meritiamo una risposta.
«Attraverso il silenzio il manipolatore si prende il comando della nostra attesa, degli interrogativi, del senso di colpa che proviamo per averlo portato a tanto, in una visione distorta dove la nostra lucidità di giudizio è offuscata dalla violenza psicologica subita.
«Quando la comunicazione è abilmente utilizzata per fare del male e i narcisisti in questo sono maestri, la violenza psicologica diventa manipolazione fino a sfociare nel gaslighting.
«La vittima di violenza psicologica si trova dunque a vivere in un terreno tortuoso dove non è mai in grado di prevedere per cosa e su che aspetto sarà attaccata: potrà esserlo per qualcosa che dice, che fa, qualcosa che riguarda il passato o qualcosa che il nostro aguzzino ritiene la vittima penserà o farà nel futuro.
«La violenza psicologica inizierà ad intaccare l’autostima di chi la subisce e questo segnerà l’inizio del crollo della stabilità emotiva e psicologica.
«La vittima comincerà a dubitare delle proprie capacità, di saper riconoscere i segnali che arrivano dal mondo esterno, dai propri figli, familiari e amici, dubiterà di saper far bene il proprio lavoro e potrebbe arrivare in situazioni estreme fino a dubitare di meritare di esistere.
«Questo senso di incapacità appreso sarà così parte di lei, da sembrare stampato nel proprio dna, senza rendersi conto che ciò che prova è indotto e ha le sue radici nella violenza psicologica subita e quindi il primo passo per potervi far fronte è quello di prendere consapevolezza di ciò che sta accadendo, passo indispensabile per poter osservare la situazione quale realmente è ed iniziare, anche con l’aiuto di un professionista, un percorso di rinascita.»
Chi è la vittima di una violenza psicologica?
«Per l’Istat la maggior parte delle vittime di violenza sono donne.
«La maggior parte di queste donne è vittima di un uomo che è ancora il proprio partner.
«Per delineare un profilo di queste vittime è importante osservarle in due momenti specifici della relazione con questi uomini violenti.
«Osservandole vedremo come sono queste donne all’inizio, quando nulla ancora traspare e come diventeranno in seguito, quando la relazione sarà consolidata e loro verranno schiacciate dalla violenza.
«All’inizio infatti, le vittime quasi mai sono persone fragili e con bassa autostima come si potrebbe pensare.
«Spesso accade proprio come nella storia di Giorgia sopra raccontata, nella quale, all’inizio della relazione con il futuro aguzzino, lei ha una vita normale: con molti interessi, amicizie e un lavoro.
«Questo, potenzialmente ci dice che tutti possiamo essere vittima di una relazione con un manipolatore, perché il profilo iniziale è appunto quello di essere una donna simile a molte altre con interessi propri, legami affettivi consolidati e una stabilità economica.
«Il manipolatore cerca infatti una realtà normale nella quale inserirsi.
«Esistono dei profili più predisposti alle relazioni patologiche, come chi ha già vissuto violenze nell’infanzia o personalità affette da disturbi dipendenti di personalità o profili borderline, ma qui entreremo in un’area che riguarda la patologia e che meritano una riflessione a parte.
«Nella seconda fase invece saranno principalmente tre gli elementi che trasformeranno la donna in una vittima
- L’isolamento sociale
- La perdita di autostima
- Mancanza dell’indipendenza economica.
«Quando inizia la violenza, il violentatore si è già preparato il campo: ha conquistato la fiducia della sua vittima, il suo amore e la sua disponibilità a perdonargli le prime sbavature nel comportamento che fino a quel momento è stato amorevole e impeccabile.
«Questo perdono segnerà il punto di non ritorno.
«Qui inizia il dopo dove la nostra vittima isolata dai suoi affetti più cari, situazione che l’aguzzino nel tempo avrà abilmente creato, perderà l’importante confronto con l’esterno per mantenere una visione realistica della relazione e un eventuale aiuto per allontanarsi dal rapporto violento.
«In questa situazione di isolamento sociale, la donna rimarrà con l’unico punto di vista distruttivo che il partner le rimanda: inizierà a diventare insicura dei propri comportamenti e pensieri, quotidianamente minati da offese, insulti e denigrazioni inflitte da chi conosce ogni suo punto debole e ogni sua fragilità.
««Il manipolatore alternerà momenti di vicinanza ad allontanamenti che genereranno: confusione, sensi di colpa e frustrazione oltre ad una grande instabilità emotiva.
La sua autostima inizierà a sgretolarsi lasciandole un senso di angoscia e insicurezza.
La vittima si ritroverà con una se stessa molto lontana da ciò che era prima e questo non riconoscersi la confonderà e la farà sentire in colpa ancora di più, ritenendosi meritevole dell’attuale comportamento aggressivo del partner.
«Temerà di essere abbandonata dall’unica persona che ancora la degna della sua presenza e accetterà gli insulti e le manipolazioni pur di non ritrovarsi sola.
«Durante la relazione, l’aguzzino in tempi non sospetti, le avrà fatto lasciare il lavoro, per gelosia o dopo il primo figlio, giustificando la cosa con il desiderio di voler provvedere lui economicamente alla sua famiglia.
«Senza il lavoro la situazione economica diventerà un ulteriore tassello problematico rendendo molto improbabile che la vittima possa prendere l’iniziativa di chiudere la relazione e crearsi una nuova vita.
«Questo meccanismo per cui la vittima è sempre più debole e l’aguzzino è sempre più forte, genera un vortice dal quale è sempre più difficile uscire.
«Se andassimo quindi a delineare il profilo di una vittima ideale, la troveremo: donna, sposata o convivente, con figli, senza lavoro e isolata socialmente.»
Ci sono dei sintomi che fungono da campanello d'allarme per cui una persona dovrebbe cominciare a farsi delle domande sulla propria relazione?
«A mio avviso i segnali riguardano la relazione e sintomi riguardano la vittima.
Ci sono due importanti campanelli d’allarme che riguardano la relazione ai quali dobbiamo prestare attenzione.
«Il primo, in tempi non sospetti, quando la coppia è nella fase di innamoramento, solitamente all’inizio e uno in un secondo momento quando la relazione presenta le prime crepe.
«L’inizio di una relazione, cioè l’incontro di due persone adulte che scelgono di conoscersi e frequentarsi, ha dei ritmi e dei tempi ben precisi dettati dal fatto che entrambe queste persone hanno una loro vita precedente alla relazione.
«Questa vita pre-relazione solitamente è fatta di: lavoro, amici, interessi, affetti, attenzione per la famiglia di origine, passioni, impegni personali ecc.
«Quando il nuovo partner è senza storia, cioè non ha amici, la famiglia è una presenza fumosa, non ha colleghi che frequenta, le relazioni precedenti sono solo situazioni che lo hanno ferito e tradito immeritatamente, c’è qualcosa che ci dobbiamo chiedere.
«Come può quest’uomo, che da una parte sembra essere il principe azzurro che tutti vorrebbero al proprio fianco, non avere una propria vita, ma sembrare fin da subito dipendente dalla nostra esistenza, presenza, attività e abitudini?
«Quando il nuovo partner dalla biografia inesistente, desidera in nome del grande amore che noi rappresentiamo: bruciare le tappe in virtù di una sintonia incontenibile, stare sempre con noi in quanto non può vivere senza, desiderare subito un figlio con noi, quando la coppia manca ancora delle minime solidità, trasferirsi da noi o peggio comprare casa insieme e per colpa di qualche disguido, aver bisogno della nostra disponibilità economica.
«Tutto questo è un primo trillo del campanello o meglio lo definirei: una campana che inizia a suonare il requiem!
Le persone sane, con i loro vissuti positivi e negativi, hanno una loro identità storica, un qualcuno insieme al quale percorrono la loro vita: un amico, un fratello, un collega a cui sono legati.
«Hanno delle loro abitudini che formano la loro stabilità emotiva e che metteranno eventualmente in discussione man mano che la relazione cresce di intensità, ma non se ne disferanno dopo il primo sguardo scambiato con voi.
«Se questo accade, significa che c’è qualcosa che non è come dovrebbe essere.
«Riuscire a porsi delle domande e prendere le distanze o meglio pretendere il giusto ritmo di una storia agli inizi, ci può dar modo di vedere la reale persona che abbiamo al nostro fianco.
«Quasi sempre, con il partner in malafede, pretendendo i nostri spazi di autonomia, egli inizierà prematuramente delle manovre di manipolazione e violenza psicologica, cercherà di farci sentire in colpa delle nostre richieste di fronte al suo amore incondizionato e in questa fase può essere più semplice riuscire a smascherarlo e a cogliere questo primo segnale di allarme e fuggire a gambe levate.
«Il secondo allarme arriva - dicevamo - quando la storia presenta le prime crepe.
«Non ascoltarlo, significa far diventare uno status quo la relazione violenta.
«Come sottolineo durante i miei interventi su Manipolatori e dipendenza affettiva, accade spesso che chi si trova in relazioni malate perda di vista ciò che una relazione d’amore è o dovrebbe essere.
«Amare è uno degli aspetti più preziosi e meravigliosi della nostra vita.
«Essere in una relazione d’amore ci dà la possibilità di metterci in gioco completamente: sul piano affettivo, fisico, sessuale, economico. Lì investiamo i nostri sogni e le nostre scelte per costruire una vita insieme. La realizzazione di noi stessi da un punto di vista sentimentale.
«Se teniamo presente che amare e condividere un progetto di vita con un’altra persona è quanto di più bello ci possa essere, viene da sé che nella relazione sana dovrebbero esserci gli elementi che ci aiutano ad essere felici e a vivere una vita piena, a prescindere dagli alti e bassi della vita.
«Una relazione è sana quando ci fa crescere come individui e insieme siamo molto di più di ciò che siamo singolarmente.
«Quando ci accorgiamo che la nostra relazione invece di essere tutto questo, inizia a diventare uno spazio emotivo di critica e di incomprensione continua, uno spazio di denigrazione e svalutazione: la nostra casa invece di essere un’ isola felice dove ci rilassiamo e rigeneriamo, diventa un ring di lotta con il partner a causa di quotidiane banalità: una cosa lasciata fuori posto, un programma che guardiamo alla tv non gradito a lui, o quello che abbiamo cucinato, come siamo vestite ecc., qui dobbiamo iniziare a farci qualche domanda.»
«Perché la persona che ho al mio fianco, che dovrebbe essere il mio principale fan, si sta trasformando in un mio acerrimo nemico?
«Questo secondo campanello d’allarme indica che qualcosa non va nella relazione.
«Diventa necessario affrontare la crisi in maniera matura e costruttiva a prescindere dalle decisioni che si prenderanno, cosa che il manipolatore solitamente evita, non vuole affrontare la situazione, perché lui in questo gioco di potere nutre il suo ego.
«Ci dirà che sono nostre fantasie, inizierà a dire che siamo noi ad avere dei problemi e lui sta cercando di aiutarci a risolverli.
«Se non si ascolta con attenzione questo trillo che ci dice a chiare lettere che quella non è più una relazione d’amore ma sta diventando qualcos’altro, la situazione è destinata a precipitare: questo modo negativo di relazionarsi diventa un’abitudine, un modo di stare in relazione e vivere la famiglia, peggiorando sempre più.
«È in questa fase che dovremmo fare attenzione ai segnali di allarme che riguarda noi in quanto vittime.
«Ci stiamo abituando alle offese, agli insulti, ad essere riprese per un nonnulla e ad essere svalutate davanti ai propri figli.
«Il partner ci convincerà che siamo persone incapaci di cui lui non si può fidare per cui è costretto a controllarci togliendoci la libertà di usare il cellulare, la macchina o di uscire con le amiche.
«Aumenterà così il nostro senso di inadeguatezza, come donna, moglie e mamma.
«La violenza psicologica sarà come una goccia che scava la roccia e inesorabile ci distruggerà l’autostima.
«Aumenteremo ancor di più l’isolamento già in essere, per evitare discussioni con una scusa diraderemo i rapporti con gli amici e i familiari.
«Inizieremo ad adattare i nostri comportamenti cercando di compiacere il partner in tutti i modi benché questo non sarà sufficiente per far diminuire i suoi attacchi.
«Se accettiamo tutto questo, d’ora in poi, sentire qualsiasi campanello o richiamo di chi cerca di farci uscire da questa situazione, sarà quasi impossibile.»
Qual è il profilo delle persone che maltrattano, come si possono riconoscere?
«Un profilo al quale bisogna prestare molta attenzione è sicuramente quello del Narcisista perverso.
«Sono soggetti patologici, che all’inizio della relazione appaiono persone interessanti, hanno sempre qualcosa da raccontare, aneddoti dai quali emergono vincenti, talvolta hanno anche situazioni economiche agiate alle spalle o che sembrano tali, sono seduttivi e molto presi da noi e dal desiderio di bruciare le tappe per costruire una relazione, all’apparenza, stabile.
«In queste prime fasi, quando ci individuano come loro prede, iniziano il love bombing: ci mettono al centro della loro vita, interesse e pensieri.
«Questo si realizza attraverso messaggi, telefonate, sorprese, regali.
«Fanno aderire i loro gusti, passioni e abitudini alle nostre, quasi come un copia incolla.
«Il romanticismo è parte della loro quotidianità.
«Ci sembra di vivere in una favola e questo inficerà fortemente la nostra capacità di discernimento, di prendere le distanze, dandoci il tempo di capire chi è la persona che sta entrando nella nostra vita, in quanto il love bombing ha proprio la funzione di stordire la vittima.
«In questa piacevole confusione emotiva che avviene nelle prime fasi d’innamoramento con le endorfine che ci fanno sentire felici e invincibili, discernere tra emozioni realmente provate dal nostro nuovo partner e quelle recitate è molto difficile.
«La fase di innamoramento ha dei tempi brevi perché il nostro sistema endocrino non secerne ad oltranza gli ormoni che la riguardano, ed è per questo che il narcisista vuole bruciare le tappe, inserendosi quanto più velocemente nella nostra vita: vuole conoscere i nostri familiari, i nostri amici, colleghi, mostrerà a tutti quanto ci ama, cercherà alleati e testimoni del suo sentimento, affinché qualora affiorassero dubbi da parte nostra, i nostri cari in buona fede, saranno pronti a rassicurarci e a testimoniare l’amore che prova per noi.
«Sentirci delle principesse finalmente premiate dalla vita che ci ha mandato l’uomo ideale, renderà molto difficile che ci accorgiamo che nel pacchetto storia da favola, il narcisista ha inserito anche riduzione dei nostri spazi vitali: quelli delle uscite con le amiche, delle cene in famiglia, della privacy del nostro telefono, di incontrare i colleghi di lavoro.
«Ci sentiremo così in debito verso la vita e verso di lui per tutto quello che ci sta offrendo che sarà impossibile non cedere alle sue richieste: quando ci chiederà di non tardare dopo il lavoro a chiacchierare con la collega, di non lasciarlo solo il venerdì quando da anni usciamo con le amiche, di evitare quella scollatura perché ci vuole tutte per sé, ecc.
«Purtroppo quando ci renderemo conto di quanto egli abbia ridotto i nostri spazi sia mentali che emotivi sarà troppo tardi.
«Il narcisista inizierà a manifestare i suoi propositi violenti: le sue frasi ambigue, le sue battute apparentemente innocue e invece profondamente svalutanti, le battute fatte davanti agli amici per sottolineare i nostri difetti o i nostri errori.
«Quando è certo di averci completamente agganciate, quando siamo abituate a quanto ci dà e non siamo disposte a stare senza, inizierà per noi la discesa agli inferi.
«Ci avrà messo al collo il guinzaglio emotivo e ci farà sottostare ai suoi desideri, alle sue alternanze di umore, ai suoi silenzi, alle sue aggressioni verbali per un nonnulla.
«Cominceremo ad accorgerci che è un mentitore e spesso un traditore seriale.
«La violenza psicologica messa in atto sgretolerà la nostra autostima, mettendoci di fronte al fatto che tutto quello di noi che prima era straordinario è diventato ora risibile e criticabile senza che ne capiamo le motivazioni.
«Mentre quello che desideriamo con tutte noi stesse, è tornare all’idillio iniziale dove eravamo il centro della sua vita, lui ci sferra i colpi peggiori.
«Se lui è tanto cambiato -la responsabilità può essere solo nostra perché lui è un uomo meraviglioso- questo è ciò che ci ha installato inconsciamente.
«Lo stato di tensione e ansia in cui la situazione che viviamo ci ha calate, acquista nel tempo dimensioni molto gravi, aprendo le porte alla dipendenza affettiva.
«La vittima entra in uno stato di confusione e depressione, questo continuo altalenarsi tra momenti in cui tutto sembra ritornato al periodo idilliaco ad altri in cui siamo violentemente deluse e calpestate è il gioco preferito dal narcisista.
«Vedere la nostra sofferenza e disperazione, vedere la nostra dipendenza al suo bello o cattivo tempo, lo fa sentire onnipotente.
«I narcisisti sono dei vampiri emotivi, si nutrono della nostra sofferenza, per questo non sono disposti a lasciarci andare.
«Non ci può essere possibilità di redimerli, di riconquistarli, che tornino ad amarci, perché la loro è sempre stata una recita, si adattano per i loro obiettivi, si trasformano completamente pur di raggiungere ciò che vogliono. La loro è una patologia.»
Cosa c'è alla base della violenza psicologica?
«Quando parliamo di violenza abbiamo già varcato la soglia della patologia.
Una quota di aggressività in una discussione, in una situazione in cui abbiamo una causa da perorare, fa parte del nostro essere sani, ma questa è comunque gestita e circoscritta da chi la mette in atto.
«Una violenza psicologica o fisica perpetuata nel tempo nei confronti di chi è più debole fa parte di una situazione malata.
«Alla base della violenza psicologica e di tutte le tipologie di violenze, c’è il desiderio di assoggettare l’altro per affermare il proprio sé.
«Provocare uno stato di prostrazione e sudditanza aumenta l’ego narcisistico dell’aguzzino facendolo sentire potente.
«Essere supplicati o veder piangere una donna che si scusa e prega per non abbandonarla, mentre viene denigrata o peggio picchiata, aumenta il senso di importanza, nel soggetto malato che non è in grado di utilizzare altri strumenti per ottenerla.
«Il narcisista o comunque chi utilizza la violenza, non riesce ad ottenere valore, ad entrare in comunicazione attraverso performance normali.
«Ha un sé fragile, non è in grado di instaurare relazioni vere, non è in grado di mettersi in gioco perché se perdesse ne uscirebbe devastato, con un sé frantumato.
«Comunicare significa mettere in comune noi stessi e il narcisista non è in grado di farlo in maniera sana attraverso il linguaggio, lo sguardo, la gestualità. E’ incapace di creare empatia.
«Provare emozioni lo confonde e lo spaventa, quindi per viverle lo fa a distanza utilizzando a specchio quelle degli altri.
«Il violento ha un unico obiettivo al suo entrare in relazione: la sua vittoria, non importa a quale costo.»
Quali sono gli effetti a lungo termine di violenze psicologiche?
«Uno degli effetti più devastanti che la violenza psicologica può provocare nella vittima, è quella di renderla una dipendente affettiva nei confronti del proprio aguzzino.
Come tutte le dipendenze (droga, cibo, alcool, gioco ecc), anche quella affettiva divora l’anima e l’esistenza.
«Non è più il volere personale a scandire i ritmi delle azioni durante la giornata, ma è l’oggetto della dipendenza a farlo. È un pensiero fisso.
«In questo caso, l’oggetto da cui si dipende ha una vita propria, per cui non può essere acquistato e consumato a nostro piacimento, come solitamente accade per le altre dipendenze.
«Il manipolatore risponde ai messaggi quando vuole, ci incontra o scompare per giorni senza che noi possiamo fare niente perché lui venga da noi.
«Può tradirci e raccontarci menzogne continuamente, ma ciò che noi comunque vogliamo è la sua presenza e vicinanza, perché essa fa comunque meno male della lontananza che a parole diciamo di volere.
«Ciò che di terribile installa la violenza psicologica è proprio il nostro disvalore, il sentirsi sbagliati in ogni azione che compiamo, in quello che diciamo o addirittura pensiamo.
«Essere derisi, quando magari pensiamo di aver fatto un buon lavoro, ascoltare frasi sprezzanti che criticano il nostro operato rivolte ai nostri figli, per fare solo alcuni esempi creano uno stato di frustrazione continua, ansia e paura.
«L’essere in balia della persona che ci violenta psicologicamente ci crea un disturbo post traumatico da stress, dove i sintomi di pianto, disturbi dell’umore, del sonno sono quasi sempre presenti.
«Viviamo in un continuo stato di allerta, come se qualcosa di terribile dovesse accadere, passiamo dall’idillio per un messaggio alla disperazione più totale per una mancata risposta.
«Questo stato emotivo ci porta ad un ulteriore disinvestimento del mondo circostante e diventa difficile compiere anche le normali attività come andare al lavoro.
«Il senso di fallimento ci accompagna e in alcuni momenti ci fa provare una profonda rabbia verso l’oggetto che desideriamo ma anche verso noi stesse per trovarci in questa situazione.
«Questa rabbia aumenta il nostro senso di colpa, senso di incapacità e disperazione.
«Come diventa facilmente intuibile tutta questa situazione diventa un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
«Difficile, ma non impossibile come spiegherò nelle risposte successive.»
Nadia Clementi - [email protected]
dott.ssa Marika Perli - [email protected]
Fine della prima parte – La seconda sarà pubblicata domenica prossima 22 aprile.