Cent'anni fa Caporetto, giornata del 27 ottobre: al Tagliamento!
Si conclude la battaglia e inizia la ritirata, che Cadorna ordina con un giorno di ritardo
(Link alla puntata precedente)
All’alba del 27 ottobre, Cadorna finalmente prende atto della situazione e ordina la ritirata.
Purtroppo le 24 ore perse faranno sì che gli austro tedeschi aggancino le nostre retrovie per tutta la ritirata, per cui alle ore 2.30 di mattina ordina al generale Tassoni del XII Corpo d’Armata che si trova in zona Carnia di disporsi a difesa dell’ala sinistra dell’esercito che «deve ripiegare sul Tagliamento».
Alle 2.40 ordina a Montuori, comandante della Seconda Armata che aveva subito il disastro di Caporetto, di ripiegare sull’ala destra per collegarsi al Gruppo Carnia.
Alle 2.50 invia al comando della III Armata (Duca D’Aosta) l’ordine di ripiegare, «seguendo le direttive N. 4.999 già in possesso dello Stato Maggiore». Dunque Cadorna aveva pianificato la ritirata strategica dell’armata che, trovandosi a valle dell’Isonzo, meno aveva subito danni dall’attacco nemico. Rappresentava l’unico baluardo a disposizione dell’Esercito in una auspicabile battaglia d’arresto.
Queste disposizioni segnano la conclusione della Battaglia di Caporetto e l’inizio la ritirata.
A seguire dirama una serie di disposizioni, affrettate ma fondamentali. Costituisce un corpo speciale, che metterà a disposizione del generale Di Giorgio (lo avevamo visto comportarsi bene sull’Ortigara), affinché vengano presidiati i ponti settentrionali del Tagliamento, dove verosimilmente arriveranno le truppe italiane in ritirata dalla Carnia e della II Armata.
Alle 7.45 ordina al generale Etna (lo avevamo visto al comando della fallimentare operazione di Carzano) di far sì che i ponti di Codroipo (medio corso del Tagliamento) vengano destinati alla III Armata del Duca D’Aosta. Con quest’ultimo ordine preclude la via di scampo a quella parte della II Armata che si sta ritirando allo sbando. E, visto che vi stanno convergendo anche i profughi, si formeranno ingorghi giganteschi. Cadorna sembra convinto che la II Armata non esista più…
D’altronde, solo la III Armata è in grado di ripiegare in ordine, in quanto i tedeschi e gli austriaci si sono persi in un sovrapporsi di operazioni affrettate, per cui non è incalzata da vicino.
Il Tagliamento potrebbe essere una buona linea difensiva, oltretutto che le piogge cadute ininterrottamente da 10 giorni lo hanno gonfiato d’acqua. Guadarlo è impossibile. Sulla riva destra del fiume erano state approntate linee di difesa prima della guerra, ma poi sono state disarmate e lasciate deperire con l’avanzata sull’Isonzo.
Quindi è tutto da costruire. Infatti Cadorna intuisce rapidamente che il Tagliamento non potrà contenere il nemico per più di due o tre giorni, quindi sta già guardando seriamente la linea del Piave. Di conseguenza decide di trasferire il proprio comando in parte a Treviso e in parte più lontano, a Padova.
Qui si deve fare un inciso. Se le truppe della Seconda Armata si sono trovare in difficoltà, totalmente impreparate a contenere l’attacco tedesco e ormai allo sbando, per contro molti reparti hanno mantenuto i nervi saldi e stanno compiendo operazioni eroiche nel compiere il proprio dovere.
I ragazzi del Genio pontieri, trovatosi in difficoltà a gittare i ponti sul Tagliamento in piena, non hanno esitato a entrare in acqua per compiere il proprio lavoro e consentire il passaggio delle truppe.
Il colonnello che comandava la rete ferroviaria riuscì a trasferire un centinaio di treni creando ingorghi solo momentanei, quelli generati per gestire le precedenze strategiche.
Alle 13.30 il vescovo di Udine, monsignor Rossi, si presenta al comando supremo. Fa sapere che resterà con i suoi fedeli: non vuole abbandonarli ora che stanno per cadere nelle mani austriache. Consegna al cappellano militare una valigetta di valori da salvare, lo benedice e torna in Curia.
Alle 9 di mattina di quel convulso 27 ottobre una grande quantità di bauli di incartamenti vengono portati fuori dal comando per essere trasportati a Treviso, mentre il materiale intrasportabile viene bruciato.
Alle 9.30 arriva - per l’ultima volta in quella sede - il Duca D’Aosta e insieme mettono in atto il piano di sganciamento delle truppe della III Armata.
Alle 14 arriva il generale Montuori (da due giorni al comando della II Armata al posto di Capello in ospedale a Bologna), che informa Cadorna che i suoi soldati «gettano i fucili invocando la pace». Cadorna prepara un vibrante appello rivolto alle truppe ma ordina anche «fucilazioni esemplari».
Alle ore 15 la sede del comando di Udine è abbandonata e Cadorna si va a insediare a Palazzo Revedin di Treviso. Dal nuovo ufficio prepara il nuovo bollettino ufficiale, nel quale ammette l’eventualità che il nemico raggiunga lo sbocco delle valli e che «per prudenza» ha disposto il ripiegamento della II e della III Armata alla destra del Tagliamento. Poi aggiunge la solita frase diffamatoria nei confronti dei suoi soldati.
«L’Esercito non cade sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno.»
Con questo include colpe anche ai politici del Paese che non hanno mai ascoltato le sue lettere volte a ottenere un supporto legislativo adeguato al periodo di guerra.
G. de Mozzi.
(Continua)
Si ringrazia Wikipedia per le foto che abbiamo utilizzato.