Cent’anni fa, 25 ottobre, 2° giorno della Ritirata di Caporetto

Cadorna in piena crisi confusionale – La lucidità del generale Capello – Si ipotizza la ritirata al Tagliamento – A Roma la crisi di Governo aggrava la situazione

(Link alla puntata precedente)
 
Il 25 ottobre si apre al quartier generale di Cadorna di Udine in un clima di totale confusione. Si sa poco o niente sulla situazione.
Il Capo pensa che la potente linea difensiva che sovrasta l’Isonzo dalle cime circostanti sia impenetrabile. Ignora che i tedeschi non hanno alcuna intenzione di conquistare le montagne ma di marciare in fondovalle.
La tecnica militare italiana e quella austriaca sono ampiamente superate da quella del più potente esercito del mondo: mentre gli Austro ungarici sono alla fine del ciclo vitale dell’Impero Asburgico, gli Italiani all’inizio della vita del Regno d’Italia.
Il solo tenente Rommel, al comando di una compagnia di un centinaio di uomini fa 9.000 prigionieri in 24 ore.
Il generale Capello all’alba del 25 sta malissimo, la nefrite non gli dà tregua e vomita in continuazione. Il medico gli consiglia di ricoverarsi, ma Capello resiste.

Il generale Luigi Capello.

Alle 8.10 il Duca D’Aosta si presenta da Cadorna, il quale gli spiega che è bene pensare di portare le artiglierie dietro il Tagliamento.
Alle 8.40 arriva il Re Vittorio Emanuele III. Scambia un colloquio col comandante supremo, ma non si sa cosa si siano detti.
Alle 10 Cadorna fa una puntata a Cividale per conferire con Capello. Il generale sta male e Cadorna, conferisce con il suo Capo di Stato Maggiore generale Montuori, poi torna a Udine. Ma alle 13.35, con un grande sforzo di volontà, Capello si presenta al Comando supremo.
«La situazione è molto grave, – gli dice Capello senza mezzi termini. – L’ala sinistra della mia armata è sfondata. Le linee frontali sono seriamente intaccate. La situazione sulla Bainsizza è insostenibile, potrebbe venire isolata dal resto dell’armata.
«Nell’interesse supremo del Paese – conclude Capello, – anziché usare le divisioni di riserva per provare a stabilizzare la situazione, è bene riorganizzarle e portarle a strenua difesa delle retroguardie.
In buona sostanza, il miglior generale di Cadorna gli aveva suggerito una ritirata fino al Tagliamento.
 

Tedeschi in marcia.

Dal punto di vista militare le osservazioni di Capello sono le più corrette in quel frangente. Una ritirata ordinata disposta prima dell’avanzata del nemico poteva evitargli il disastro e mettere in difficoltà il nemico.
Inevitabile che i tedeschi infatti avessero problemi logistici giganteschi. Insieme con i reparti operativi infatti dovevano avanzare anche i servizi, il vettovagliamento, l’artiglieria, i rincalzi. La macchina organizzativa era certamente più lenta dei reparti in prima linea.
Cadorna rimane affascinato dalla lucidità del generale che purtroppo stava per farsi ricoverare in ospedale nuovamente. Quindi ordina al suo staff di preparare le disposizioni per la ritirata al Tagliamento.
Ma la dimensione della catastrofe che si profila gli fa capire di essere in guai seri. A Roma i detrattori stavolta riusciranno a silurarlo. Altro che interessi del Paese…
Alle 17.40 invia un telegramma al Ministro della Guerra: «Ho predisposto - senza emanarlo - il ripiegamento delle armate al Tagliamento».
Quel «senza emanarlo» gli consente un eventuale ripensamento: ci deve pur essere un rimedio con quella massa di manovra di quasi 2 milioni di uomini…
 
Cadorna sostituisce Capello (che viene ricoverato all’ospedale di Bologna e non più a Padova) con Montuori, poi ordina una ferrea resistenza che gli eviti una disastrosa ritirata. I generali di Montuori in difficoltà sono Badoglio, Cavaciocchi e Caviglia. Quest’ultimo non ha perso il controllo della situazione, ma il suo corpo d’armata è sulla Bainsizza. Potrebbe venir tagliato fuori dal resto del Regio Esercito Italiano.
Montuori chiede loro se sono in grado di resistere e questi, fedeli alla politica militare svolta fino allora, rispondono di sì. Montuori lo riferisce a Cadorna, il quale si tranquillizza. Ordina la resistenza a oltranza. Per paura di essere silurato, è disposto a sacrificare migliaia di soldati e la sorte della nazione…
Cadorna ignora che le truppe imperiali stanno penetrando anche nel resto del fronte, mettendo subito a rischio il Cadore, il che a sua volta minaccia la stessa linea difensiva italiana ipotizzata al Tagliamento.
 

Prigionieri italiani a Cividale.

E così telegrafa Roma un messaggio che appare come una prima forma di autodifesa. «Perdite in dispersi e cannoni gravissime, – scrive. – Dieci reggimenti si sono arresi senza combattere. Vedo delinearsi il disastro.»
Lo scaricabarile non è solo suo, anche altri generali scaricano le responsabilità sui propri sottoposti.
La storia renderà onore a quei ragazzi che si sono battuti cercando di resistere in una situazione confusionaria sino all’inverosimile.
Quella sera, alle 23, Cadorna e Porro si muovono da Udine per fare un sopralluogo al tagliamento. Ma una fiumana disordinata di uomini li obbliga a tornare a Udine. Se quelle erano le retrovie, poteva immaginarsi il fronte… Fece predisporre un piano per il trasferimento del Comando Supremo a sud del fiume Piave e diede ordine al colonnello responsabile delle Ferrovie del Veneto di preparare un piano ordinato di ritirata.
 
L’indomani mattina, 26 ottobre, a 48 ore dall’attacco, il Re si presenta al comando di Cadorna con una notizia sconvolgente. In seguito alle notizie che arrivavano dal fronte, la Camera dei Deputati aveva rovesciato il governo Boselli con 314 voti contro 96. Una crisi in piena crisi.
Stavamo giungendo alla «Caporetto» così come la si intende oggi.
 
G. de Mozzi
(Continua)
Si ringrazia Wikipedia per le foto che abbiamo pubblicato.