Alle ore 2 di cento anni fa cominciò la disfatta di Caporetto

Morirono 11.000 soldati italiani, 30.000 feriti, 300.000 prigionieri – Perdemmo 3.152 cannoni e 3.000 mitragliatrici – 400.000 civili in fuga, 735 donne furono violentate

Artiglieria italiana non utilizzata e abbandonata al nemico.

Prima di cominciare, una precisazione sugli stupri, che certamente saranno fonte di polemiche.
Avevano lasciato la terra quelli che potevano permetterselo: circa 400.000 persone. Coloro che restarono subirono atrocità di ogni genere.
La cifra 735 le donne violentate è riportata dai colleghi Arrigo Petacco e Marco Ferrari che nel loro recente libro «Caporetto» hanno fatto luce su episodi che la storia aveva cercato di ignorare.
Va precisato che i comandi imperiali avevano autorizzato i propri soldati alla razzia, chiedendo anzi di inviare in patria generi alimentari di qualsiasi genere perché i cittadini dell’Impero Asburgico stavano morendo di fame.
Ovviamente non autorizzarono violenze gratuite, ma lo stupro allora non era considerato un reato così esecrabile come lo è oggi.
Sempre nel resoconto di Petacco e Ferrari si legge che a perpetrare furono soprattutto tedeschi, bosniaci, croati e ungheresi, quasi a voler spezzare una lancia a favore degli austriaci.
Le donne più colpite erano quelle che abitavano isolate o in montagna, ma vennero stuprate anche suore e bambine. La cosa più penosa è che gli assalitori non risparmiarono neanche le donne ricoverate perché affette da febbre spagnola.
La tragedia fu talmente spaventosa che, quando tornarono le truppe italiane un anno dopo, le donne fuggirono temendo un’altra violenza di massa…

Come abbiamo scritto parlando dell11esima Battaglia dell’Isonzo, gli Italiani avevano sfondato in parecchi punti, riuscendo a penetrare sui contrafforti della Bainsizza, che rappresentavano adesso un pericoloso trampolino di lancio per la probabile successiva battaglia, mettendo a rischio l’intero dispositivo austriaco sul fronte italiano.
Il Maresciallo Boroevich riferì lo stato delle cose all’Imperatore, il quale a sua volta chiese aiuto all’Imperatore di Germania. L’alleato tedesco era sempre stato freddo di fronte alle richieste di Vienna riguardo il fronte italiano, ma stavolta Berlino decise di inviare uno dei massimi strateghi, il generale Krafft von Dellmesingen, a ispezionare il fronte e verificare se ci fossero possibilità di successo nel caso di una controffensiva.
Al suo ritorno a Berlino, il generale spiegò che gli Italiani avevano un formidabile dispositivo d’attacco, ma non di difesa. L’operazione sarebbe potuta riuscire.
Hindenburg e Ludendorff decisero allora di inviare sette divisioni, affidandone il comando al generale Otto von Below. Era l’11 settembre e il generale preparò in un mese un disegno d’attacco minuzioso, verificando di persona sul posto lo stato ogni mossa e chiamando al suo fianco lo stesso Krafft con l’incarico di Capo di Stato Maggiore.

Il generale Otto von Below.

Da parte italiana, il Servizio informazioni dell’Esercito aveva raccolto notizie abbastanza circostanziate di un attacco austriaco e le aveva fatte pervenire regolarmente a Cadorna.
Cadorna aveva chiamato i comandanti della Seconda e della Terza Armata per informarli a sua volta della situazione. I vertici militari sottovalutarono ampiamente la situazione. Cadorna non aveva mai creduto all’ipotesi avanzata dai servizi, mentre il generale Capello aveva addirittura annunciato una controffensiva devastante nel caso il nemico avesse provato a sfondare nel suo settore.
I Servizi erano giunti a definire con precisione sia le zone di attacco che la data esatta d’inizio. Sarebbe scattata il 24 ottobre, partendo dalla conca di Plezzo, direzione Caporetto.
Vennero diramate disposizioni affinché i generali comandanti dei reparti interessati predisponessero dei piani appropriati di difesa e di contrattacco.
Nessuno pensò di arretrare le artiglierie che, nel caso di una ritirata manovrata, avrebbero richiesto tempi lunghi. Altra dimostrazione o dell’impreparazione alla difesa o alla sottovalutazione del pericolo.
 
Agli inizi di ottobre, Cadorna per scrupolo andò a dare un’occhiata alle difese predisposte sul Grappa e zone vicine fin dal tempo della Strafexpedition. Mise al corrente i comandi locali delle informazioni che aveva e dispose un rinforzo del dispositivo di difesa.
A metà ottobre anche il Ministro dell’Interno Italiano avvisò Cadorna che fonti attendibili del Vaticano confermavano le intenzioni del nemico. Allora diramò l’ordine di arretrare le artiglierie dulla Bainsizza, in modo da non correre il rischio di perderle e per usarle al momento dell’attacco. Restò comunque convinto che l’attacco non ci sarebbe stato.
Capello invece aveva intuito con notevole precisione le mosse del nemico e aveva disposto che i tre generali più esposti (Badoglio, Cavaciocchi e Bongiovanni) provvedessero i piani per una difesa attiva.
Il 21 ottobre (tre giorni prima) il Servizio Informazioni aveva addirittura fornito i nomi dei reparti che avrebbero avviato l’attacco e l’ora esatta: le 2 del mattino del 24 ottobre. Cadorna era ancora scettico e il caso volle che Capello, il generale più adatto a una guerra manovrata, venisse colpito da un attacco di nefrite. Gli fu necessario farsi ricoverare all’ospedale di Padova. Tornerà per tempo, ma presto dovrà rinunciare definitivamente per motivi di salute.
 

Lanciagas tedeschi.
 
Ed ecco il 24 ottobre, il giorno più lungo dell’Esercito Italiano. Piove, c’è nebbia, l’inverno sembra essere arrivato in anticipo.
Alle ore 2 di notte, dal Rombon sopra la conca di Plezzo, si scatena l’inferno. Le artiglierie nemiche sono entrate in funzione, prima con i proiettili con gas velenoso, poi con granate. Verso le 4 Il Genio Militare Tedesco, constatando che il vento è favorevole, apre le valvole delle bombole di fosgene. La morte si dirige silenziosa e impalabile sulle linee italiane. Nelle prime linee di Plezzo perdono la vita 800 nostri ragazzi con ancora il fucile in mano…
Alle ore 9 scatta l’attacco dell’armata di von Below. I primi soldati italiani che trovano sono morti. I tedeschi si infilano lungo la riva destra dell’Isonzo senza incontrare resistenza.
I nostri comandi sono informati dell’attacco, ma nessuno ha disposto il fuoco dell’artiglieria. L’ironia della Storia aveva voluto che il comandante dell’artiglieria di Badoglio si chiamasse Cannoniere e che, in mancanza di ordini, non sparasse neanche un colpo…
Cosa diavolo era successo? Ci saranno inchieste su inchieste, anche parlamentari, che però non arrivarono mai a risposte esaustive. Badoglio aveva asserito che i bombardamenti nemici avevano interrotto i collegamenti del suo comando con i reparti operativi. Secondo la sua versione, aveva predisposto una trappola gigantesca, ma che per mancanza di collegamenti radio o telefonici non fu possibile farla scattare.
Quando riprese i contatti, non aveva più notizie di alcune sue divisioni…
 

Soldati tedeschi in marcia lungo l'Isonzo.
 
Nel pomeriggio di quel primo giorno, i Tedeschi avevano conquistato Cporetto, che era stata una delle prime conquiste italiane agli inizi del conflitto. Si chiamava Kobarit e venne italianizzato in Caporetto giusto in tempo per divenire il sinonimo di sconfitta catastrofica. I vari reparti speciali tedeschi riuscirono a ottenere risultati incredibili. I soldati italiani, per anni inchiodati nelle trincee non sapevano cosa fare in una guerra improvvisamente divenuta di movimento.
I prigionieri italiani furono una montagna e molti gettarono il fucile pensando che i loro comandanti fossero fuggiti. D’altronde, senza ordini dall’alto, cosa potevano fare? Avevano imparato a non prendere iniziative…
Nel tardo pomeriggio il nemico aveva imboccato la valle del Natisone senza trovare resistenza apprezzabile. La strada per Cividale e per Udine era aperta.
Capello, alle 18.15, avendo compreso la situazione ordina al generale Bongiovanni di contrattaccare, ma non sa che Caporetto è già caduta. La situazione era ancora critica per i Tedeschi perché nella fretta dell’avanzata non avevano disposto la difesa dei fianchi alla massa di manovra. Ma Bongiovanni è privo di iniziativa e non combina nulla di utile.
Quella sera del 24 ottobre a Udine la situazione non è chiara e Cadorna non è in grado di manovrare le riserve per tamponare eventuali falle. Quando viene a sapere che il nemico sta avanzando praticamente indisturbato, viene preso dal panico. Comincia a considerare l’ipotesi di far arretrare la III Armata dal Carso e convoca Capello e il Duca D’Aosta per l’indomani mattina.
Nel frattempo pianifica due mosse prudenziali: l’arretramento dell’esercito al Tagliamento e il trasferimento del Comando supremo oltre il Piave.
 
G. de Mozzi
(Continua)
 
Si ringrazia Wikipedia per le foto che abbiamo utilizzato.