«La nascita è una migrazione» – Di Massimo Parolini
In libreria l’ultima raccolta di Claudio Tugnoli: Centrotré haiku dedicati al migrare
Titolo: Diaspora
Autore: Claudio Tugnoli
Editore: Il faro 2016
Genere: Poesia
Pagine: 105, brossura
Prezzo di copertina: €12,50
Claudio Tugnoli è un saggista e filosofo naturalizzato trentino nativo di Budrio, vicino a Bologna: ha insegnato filosofia e storia nei licei trentini (soprattutto al classico “Prati” di Trento) e nelle Università di Trento (dove collabora col dipartimento di Sociologia) e Bologna.
All’attività saggistica da qualche anno ha affiancato, seguendo i propri moti più intimi dell’anima, la ricerca e la scrittura poetica, scrivendo e pubblicando «La tua ombra» (Manni, 2011), «Gli anni riapparsi in umiltà di gloria. Poesie in dialetto brudriese» (Manni, 2012), «Sarà forse la rana, o alcun che solo canti. Centosei haikai» (Manni, 2013), «Or tutta la palude è come un fiore. Nuovi haikai» (Il Monogramma, 2014), «Terra terra inesausta matrice. Poesie dell’infanzia budriese» (Manni, 2014), «In sul declinar fiamma m’accende. Novantahaikai» (Edizioni Del Faro, 2015), «Le mani dell’anima» (Edizioni Del Faro, 2016 - vedi recensione su l’Adigetto.it http://www.ladigetto.it/permalink/53090.html.).
Fedele anche alle proprie radici bolognesi Tugnoli ha quindi pubblicato tre raccolte in dialetto budriese i cui temi forti sono quelli universali della precarietà della vita, della riflessione sulla morte, del ricordo di un mondo contadino di ispirazione camoniana e olmiana.
A tali radici ha quindi affiancato un originale sentire e scrivere – per colpi di lampo – adottando un metro antico giapponese: l’haiku.
L’ultima raccolta di haikai (come l’autore preferisce chiamarli, memore della contrazione “haikai no ku”) è uscita in questi giorni (per le edizioni trentine “Del Faro”): «Diaspora» (centrotré haikai) (pag. 105, € 12,50).
Ricordiamo che l’haiku è legato al senso pittorico e iconico della poesia e alla descrizione del paesaggio che si svela delicatamente, nel culmine di una tensione contemplativa.
L’haiku, genere della poesia giapponese legato allo zen che con sintesi ellittica comunica lunghe e intense meditazioni ed emozioni, consiste in tre strofe di cinque, sette, cinque versi trovando, parzialmente, l’equivalente nell’aforisma classico che però non ha questa costrizione metrica.
«Ogni haiku è come un picco glicemico o una freccia che sibila vicino all’orecchio, una trance visiva o una scarica adrenalina», come afferma Enrico Capodaglio nella prefazione a «Or tutta la palude è come un fiore».
In Tugnoli si manifesta col guizzo del lampo (come scrive egli stesso: «voce breve come lampo generato dagli stessi eventi, quasi eco di una vertigine che li ricapitola») , fatto di ossimori che si attraggono, sposandosi proprio con l’antica arte filosofica aforistica (Eraclito, ad esempio) nutrita però da un sentire inquieto, forgiato ma insieme reso più raffinato dal dolore.
Dalla meditazione sulla creazione del mondo e sul senso della natura della prima raccolta, avvolta dal mistero del mondo che si manifesta nelle cose concrete e quotidiane con la consapevolezza dell’illusorietà di ogni comprensione, al tema della morte della seconda raccolta, riletta nella terza raccolta, nella dialettica dell’eterno polemos violento tra vita e morte, della ricerca di felicità avversaria della dama giocatrice del nobel svedese Tranströmer («La partita a scacchi si interrompe sul pari») Tugnoli approda ad uno sguardo sulla migrazione come condizione essenziale dell’umanità.
Nella prima raccolta di haikai («Sarà forse la rana,/ o alcun che solo canti») il mistero del mondo trovava proprio nel poeta e nel filosofo i propri aiutanti in grado, come l’amore, di proporre sintesi, tessere parentele, scoprire collegamenti che l’intelletto astratto non vede ma «l’intelligenza non ostile alla vita riconosce da sempre», laddove siamo di fronte, nella società attuale ad una «volontà di sapere avida e spregiudicata, che si porta sempre oltre nel dividere e suddividere i propri oggetti d’indagine» mettendo «in discussione la stessa esistenza del soggetto, ridotto a brandelli, ormai, dal furore vandalico dei barbari scienziati d’ogni risma.
«Il poeta e il filosofo possono ricucire, riportare a unità e ricollocare all’interno dell’esperienza originaria, quei lacerti sfilacciati della realtà.»
Nella seconda e nella terza raccolta la riflessione sulla morte diviene centrale e si fa «questione decisiva»: la natura è investita dai conflitti umani, dalla violenza che si accende nel creato, la cui sensibilità è diffusa in ogni particella vegetale e animale.
Ma l’ape punge il poeta sulla lingua e lo spinge a cogliere un’ appartenenza solidale, che sopravviva nella malinconia del pensiero, in un minimale lucreziano approdo alla natura delle cose in cui la forma metrica degli haikai chiede un rallentamento dell’ascolto e un’esperienza sensoriale delicata e meditativa, in una percezione della vitas e non solo della vanitas.
Nello specifico, nel terzo libro di haikai («In sul declinar/fiamma m’accende») in un naturalismo legato al quotidiano frutto di intuizione si fa spazio l’ elemento scandaloso della vecchiaia, intesa spesso come peso; ripresa della rinascita, aspirazione all’eternità.
L’oblio dell’oblio, finale: «Oggi la vecchiaia non è saggezza ma solo declino e impotenza crescente... Nell’era tecnologica non è ormai più esperto di nulla che conti veramente, ma è sempre già superato»; e Tugnoli parla anche di «razzismo intergenerazionale, che negli ultimi decenni ha sostituito quello etnico e di genere».
Ora, nell’ultima raccolta, intitolata «Diaspora» (centrotré haikai), l’haiku mette a fuoco il mondo della migrazione, attraverso una prospettiva antropologica - ampiamente esplicata e argomentata nel saggio «La diaspora come destino dell’homo migrans» dello stesso Tugnoli, che correda la raccolta - per cui l’atto del migrare è essenziale alla natura stessa di ogni uomo, non solo da un punto di vista storico quanto antropologico, nativo: la nascita è un’uscita migratoria dal liquido amniotico del grembo materno allo spazio terreno esterno («Oh creatura/lottando per la luce/t’apri un varco»).
E l’acqua delle onde del canale di Sicilia e del Mediterraneo diventano quindi rievocazioni di tale liquido placentare iniziale e iniziatico («La nascita di per sé non è ancora l’evento che decide l’autoctonia, giacché chi viene al mondo, viene da un “altrove”, per quanto ignoto esso sia, e dunque anche l’uscita dal ventre materno si configura come atto di migrazione, sempre accompagnato dal rischio di naufragio e annientamento. Nessun neonato sarebbe dei “nostri” per i sostenitori del diritto primario del’autoctonia e dunque dovrebbe dichiarare le proprie generalità, lasciarsi identificare, in attesa che qualcuno decida se può rimanere o vada espulso»).
Tale uscita dalle onde può essere una nascita nell’amore («Venir al mondo/sulle mani materne/di caldo amore») o nell’odio («Venir al mondo/tra lame affilate/dal fuoco d’odio») e nella violenza del rifiuto («Tra onde fredde/volti nudi imploranti:/ uomini in mare»; «Tra onde fredde/ cadaver d’infante: è caro al dio»; «Si piega, geme/affollata di sguardi/la barca affonda»; «Strage di mondo/la diaspora di feti,/strage di senso»).
La madre e il padre col nascituro, così come i popoli dove arrivano i migranti, possono accogliere («Nasce dal cuore/il sentire fraterno/di caldo abbraccio») o respingere («Nasce dal nulla,/come se niente fosse,/odio feroce»), con rigurgiti di divinità del’autoctonia, del suolo e sangue («Vedo e temo/conversione forzate/a un dio fero»).
La raccolta sintetizza sguardi sull’attualità ad altri colti della classicità (Ulisse il migrante per eccellenza: «Ancora Ulisse/sulla spiaggia deserta/scaraventato») o di un virtuoso haikizzare in latino (lingua, per l’autore, tutt’altro che morta).
Nel naufragio di tanta disperazione, Tugnoli coglie con un haiku-cecchino il naufragio di una politica di accoglienza europea fallimentare («Muori Europa/trasvolando sul toro,/sul mare corto»).
Ma, come conclude Paolo Taroni nella sua ricca introduzione («Migrare, camminare, pensare. Claudio Tugnoli e gli haiku del viaggio») «il sentimento di solidarietà, di amore e di pace permettono all’uomo di trovare una ragione là dove il senso sembra scomparire […]» e «l’anima inquieta dell’uomo, l’anima del poeta errabondo, cercano - attraverso il viaggio - un barlume di speranza nella ricerca, nella nuova esistenza e in un’altra vita che può essere, insieme, la vita dell’altro e la propria vita in un’altra dimensione e in un altro contesto: «La vita vera/cerchi sempre altrove,/o anima mia»; «O anima mia/libera e nuda vai/ad altra vita».
Claudio Tugnoli
Già docente di filosofia e storia nei licei, attualmente collabora con il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento con attività seminariali.
È autore di numerosi saggi e articoli di argomento filosofico (con particolare attenzione all’opera di John McTaggart e di René Girard), nonché di traduzioni e curatele di opere di Rousseau, Voltaire, Wundt, McTaggart e autori contemporanei.
Tra i lavori più recenti: Libero arbitrio. Teorie e prassi della libertà, Liguori editore, Napoli 2014; «Ritratto dell’anima/Anima del ritratto», Osiride, Rovereto 2014.
Ha pubblicato le raccolte poetiche «La tua ombra» (Manni, 2011), «Gli anni riapparsi in umiltà di gloria. Poesie in dialetto brudriese» (Manni, 2012), «Sarà forse la rana, o alcun che solo canti. Centosei haikai» (Manni, 2013), «Or tutta la palude è come un fiore. Nuovi haikai» (Il Monogramma, 2014), «Terra terra inesausta matrice. Poesie dell’infanzia budriese» (Manni, 2014), «In sul declinar fiamma m’accende. Novantahaikai» (Edizioni Del Faro, 2015), «Le mani dell’anima» (Edizioni Del Faro, 2016) e «Diaspora» (Edizioni Del Faro, 2016).
Massimo Parolini.