Il traduttore: chi è costui? La Traduttrice: chi è costei? – Di Luciana Grillo

Sono personaggi fondamentali in letteratura di cui si sa sempre troppo poco

Il più delle volte chi legge un libro non si pone il problema di chi lo abbia tradotto.
Eppure il successo di un libro di autore straniero dipende in maniera fondamentale da chi lo traduce, tanto vero che i grandi scrittori si riservano di scegliere o approvare la persona.
Un giorno Umberto Eco, venuto a Trento per l’anniversario della Biblioteca Civica, aveva spiegato quanto tempo perdeva con i traduttori di lingue più povere dell’italiano, perché a volte si tratta di trascrivere davvero il testo o magari di trovare un’altra soluzione espressiva (si pensi alle battute fatte in rima).
Non ci sfugge come spesso la «trota iridea» venga tradotta dall’inglese «trota arcobaleno». In effetti, se dall’italiano all’inglese diventa «rainbow trout», per tradurla dall’inglese si deve essere pescatori…
Nelle «traduzioni di genere incrociato» (cioè quando una donna traduce un linguaggio maschile o viceversa), il fatto che riesca bene vuol dire che il traduttore o la traduttrice sono davvero bravi, anzi bravissimi.
Insomma, abbiamo chiesto alla nostra Luciana Grillo di esprimersi sulla figura del traduttore e della traduttrice.
La leggiamo qui di seguito.

Per capire bene il significato di una parola, il miglior metodo è ricorrere all’etimologia: tradurre chiaramente deriva da trans ducere, trasportare, in senso figurato «da una lingua a un’altra».
Molto vicina a questa è la parola tradire, da trans dare, trasportare, affidare, trasmettere.
Da «tradire», cioè «consegnare al nemico», nasce anche traditio, tradizione, cioè quel complesso di consuetudini, memorie, conoscenze, norme e valori consegnate da una generazione alla successiva.
Nel nostro linguaggio quotidiano, in qualche modo fondiamo i due verbi e diciamo, ad esempio, «tradurre fedelmente».
Dunque, chi traduce deve stare attento a non tradire
E infatti Cicerone, nel «Libellum de optimo genere oratorum», sostiene che «Al lettore doveva importare che gli si offrisse di queste stesse parole, non il numero ma per così dire il peso», e San Gerolamo aggiunge: «non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso».
Invece Dante, nel Convivio, dice che «Nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra trasmutare senza rompere tutta la sua dolcezza e armonia».
Piuttosto dubbioso sulla traduzione anche Miguel Cervantes: «A me sembra che il tradurre da una lingua in un’altra sia come guardare gli arazzi fiamminghi da rovescio, che sebbene le figure si vedano sono però piene di filamenti che le fanno confuse sì che non appaiono nitide e a vivi colori come da diritto».
Goethe, nelle Massime e Riflessioni, va oltre: «I traduttori sono da considerarsi dei premurosi ruffiani che ci vantano come amabilissima una bella donna mezza velata: essi suscitano un irresistibile desiderio dell’originale».
Eppure, se le opere di Cicerone, Cervantes e Goethe non fossero state tradotte, molti di noi non avrebbero potuto leggerle!
Forse Goethe pensava al motto coniato nel ’600 a proposito di traduzioni: «belle e infedeli», oppure al vecchio modo di dire «traduttore/traditore».
 
Il fatto è che chi traduce – e non vuole tradire – deve comunque fare una scelta, perché ogni testo è un insieme di forze in equilibrio fra loro, un insieme articolato di informazioni sintattiche, lessicali, metriche, ritmiche, retoriche.
Dunque, quel traduttore descritto da Luciano Bianciardi nel romanzo La vita agra, quell’invisibile «passeur» è un ricordo lontano!
Valerio Magrelli, dopo aver fatto numerosi esempi, legati soprattutto al mondo della poesia anglosassone, dice che «per il traduttore, scatta il colpo di fulmine – sì, perché nel passare da una lingua all’altra, proprio come accade fra innamorati, c’è bisogno di un salto, di un’illuminazione».
Qualche tempo fa, una docente universitaria italiana che insegna a Innsbruck, Carla Liedlmaier-Festi, ha parlato delle difficoltà della traduzione agli iscritti ad un Corso di Letteratura Italiana presso l’Università della Terza età e del tempo disponibile di Trento ed ha letto alcune immagini usate dai traduttori per descrivere il proprio lavoro:
- Il traduttore è il giardiniere tenace, è colui che si muove come in una danza tra parole e silenzio (Anna Nadotti)
- Tradurre è camminare con le scarpe di un altro (Helene Floss).
- Tradurre è dire quasi la stessa cosa (Umberto Eco).
- La traduzione non è che un’apertura di senso, mai una promessa di esaustività (Rada Ivekovic).
Se tradurre, sic et simpliciter, è cosa ardua, ancora più complesso è tradurre versi, tenendo presenti forma, contenuto, musicalità… Leggendo i lirici greci tradotti da Quasimodo si prova un’emozione che la nostra traduzione dal greco, per quanto assolutamente corretta (e fedele!), non può assolutamente dare.
E allora i versi vanno tradotti solo dai poeti? E se i poeti non sanno mettersi da parte e fare esclusivamente i traduttori, quanto quei versi rimangono dell’autore e quanto invece appartengono al traduttore?
 
A chi saprà rispondere a queste domande, non premi, ma tante traduzioni da fare!
Da qualche tempo, alcuni editori propongono «traduzioni» da italiano a italiano; sicuramente ne è stata messa in vendita una del Principe di Machiavelli.
Ma si può parlare di traduzione, o non piuttosto di adeguamento a una forma moderna, scorrevole, più comprensibile?