Unione Europea: passato, presente e futuro – Di Nadia Clementi

Parliamo di «Europa» con il dott. Paolo Magagnotti, presidente internazionale della «European Journalists Associacion-The Communication Network»

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Oggi l'Unione europea (UE) sta vivendo una fase di trasformazione, soprattutto a causa della globalizzazione, del cambiamento climatico e dell'invecchiamento della popolazione.
La crisi finanziaria del 2008 ha rimesso in discussione i progressi sociali ed economici compiuti dai paesi dell'UE.
La ripresa economica avviata nel 2010 deve quindi accompagnarsi ad una serie di riforme per assicurare lo sviluppo sostenibile dell'UE nel prossimo decennio.
Anche per questi motivi la Commissione Europea propone una nuova strategia politica «Europa 2020» a sostegno dell'occupazione, della produttività e della coesione sociale in Europa.
 
In sintesi, la Commissione presenta così la strategia che consentirà all'Unione Europea (UE) di raggiungere una crescita:
• intelligente, attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell'innovazione;
• sostenibile, basata su un'economia più verde, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva;
• inclusiva, volta a promuovere l'occupazione, la coesione sociale e territoriale.
Inoltre la Commissione propone una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2020:
• portare al 75 % il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni;
• investire il 3 % del prodotto interno lordo (PIL) in ricerca e sviluppo;
• ridurre le emissioni di carbonio al 20 % (e al 30 % se le condizioni lo permettono), aumentare del 20 % la quota di energie rinnovabili e aumentare l'efficienza energetica del 20 %;
• ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10 % e portare al 40 % il tasso dei giovani laureati;
• ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio di povertà.
 
Nonostante i buoni propositi della Commissione Europea siamo nel mezzo di una crisi che si aggrava ogni giorno di più, al tal punto che la presidente del FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha detto che l'euro ha tre mesi di vita se non s’interviene.
Ci chiediamo se il nuovo piano strategico «Europa 2020» sia un ipostesi o una soluzione alla crisi.
Noi per saperne di più lo abbiamo chiesto al Presidente trentino dell’Associazione internazionale dei giornalisti europei dott. Paolo Magagnotti. 

 Chi è il dott. Paolo Magagnotti?
Paolo Magagnotti, giornalista professionista, ha iniziato la sua attività nel giornalismo nel 1965 come responsabile di un settimanale presso la Casa editrice f.lli Fabbri Editori di Milano.
È entrato poi nella Regione Trentino-Alto Adige, dove è stato per molti anni direttore dell’Ufficio Stampa.
Da sempre appassionato di tematiche europee ha scritto molti articoli e vari libri dedicati all’unificazione europea, al regionalismo, alla sussidiarietà, a questioni relative alle zone di confine e all’emigrazione. 
Nel maggio 1983 ha iniziato la rubrica settimanale «Qui Europa» su TVA, proseguendo su RTTR e che ora va in onda ogni lunedì su Trentino TV.
Ha partecipato a missioni ufficiali del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa in repubbliche ex-sovietiche.
Laureato in sociologia alla Libera Università di Trento e in Scienze politiche all’Università di Padova (quest’ultimo titolo equiparato a Vienna), ha compiuto un dottorato di ricerca presso la Facoltà di economia e business administration dell’Università statale dell’Ovest di Timisoara, in Romania, dove dal 2005 è professore associato con insegnamenti in lingua tedesca per la minoranza tedesca del Banat ed inglese/romeno in master su tematiche europee.
È presidente internazionale della «European Journalists Associacion-The Communication Network. In pratica è il presidente dei giornalisti europei.

Dott. Paolo Magagnotti, nel lontano 1972, l’ormai scomparso giornalista trentino Paolo de Domenico pubblicava un libro intitolato «Europei senza Europa». Il racconto di un cittadino europeo che, navigando sul Reno, rilevava come gli europei esistessero ormai dalla fine della Guerra mondiale, mentre gli Stati restavano sostanzialmente delle nazioni.
Oggi è cambiato tutto. In Europa le merci circolano liberamene, non ci sono più i confini, c’è la moneta unica, eppure il romanzo di Paolo de Domenico ci sembra ancora attuale. Gli europei ci sono, l’Europa è distante.
Dott. Magagnotti perché si parla di fallimento dell’Unione Europea?
«Prima di parlare di fallimento dell’Unione Europea dobbiamo comprendere che cosa sia e che cosa abbia garantito a milioni di europei dopo due guerre mondiali scoppiate in meno di 30 anni.
«Il fatto stesso che Francia e Germania, eterne nemiche, siano diventate dopo il secondo conflitto mondiale colonne del processo di unificazione europea ed il fatto che da oltre 60 anni in Europa, salvo la parentesi dei Balcani negli anni ’90, viviamo in pace sono elementi sufficienti per giustificare il coraggioso progetto europeo.
«Per far comprendere che cosa significhi anche oggi Unione europea anche a coloro che sono euro-scettici o che addirittura vorrebbero una conclusione Titanic dell’Unione basterebbe chiudere per due giorni i confini nazionali ritornando alle vecchie procedure di controllo dei passaporti e nel trasporto dei beni.»
 
«Certamente vi sono state carenze da parte delle istituzioni europee le quali hanno avuto fra l’altro la conseguenza di creare disaffezione fra i cittadini. Abbiamo un Parlamento europeo eletto a suffragio universale solamente dal 1979.
«Se negli anni ’50 avesse avuto esito positivo il Trattato sulla Comunità europea di difesa, fortemente voluto da De Gasperi, il quale era riuscito a inserire nel testo un articolo che prevedeva di fatto un’Assemblea costituente, avremmo avuto un Parlamento europeo diretto a suffragio universale con oltre 20 anni di anticipo.»
[Il trattato di Difesa comunitaria fu fortemente osteggiato da De Gaulle – NdR]
 
«Va detto che i meccanismi che sono alla base del funzionamento dell’Unione europea non sono certamente semplici, frutto di inevitabili compromessi fra Stati aventi tradizioni, sistemi giuridici, culture e attitudini diverse. Purtroppo l’atteggiamento di molti Stati nazionali restii nel cedere sovranità nazionali non ha consentito all’Unione europea di funzionare al massimo delle potenzialità che avrebbe potuto esprimere.
«Anche se dopo il Trattato di Maastricht nel 1992 il Parlamento europeo ha potere di codecisione unitamente al Consiglio dell’Unione (composto di un rappresentante per ogni governo di Paese membro, normalmente a livello di ministro), sono di fatto i governi nazionali con le loro maggioranze che hanno il potere di far avanzare o meno il processo di integrazione.
«Se abbiamo rappresentanti politici nazionali magari a livello di ministri o di capi di governo che attribuiscono all’Unione europea responsabilità per coprire le loro malefatte, ciò si riflette pure negativamente sull’opinione pubblica.
«Certamente abbiamo molti semplici cittadini che possono nutrire motivazioni per l’unità europea ma se i loro leader politici la denigrano o non fanno ciò che dovrebbero fare per farla funzionare meglio non possiamo pretendere che l’entusiasmo dei cittadini stessi si conservi o aumenti.
«Più che di fallimento parlerei di ritardo e disorientamento. L’unione Europea è una conquista senza pari al mondo che non ci possiamo permettere il lusso di sprecare. E sono certo che non prevarranno coloro che vorrebbero distruggere uno straordinario capolavoro della storia.»
 

 
La Grecia ha dimostrato che in caso di necessità l’Europa non aiuta, a meno che non vengano fatti enormi sacrifici dai cittadini del paese in difficoltà. Sbaglio o non è questa l’Europa sognata da De Gasperi, Adenauer e Schumann?
«De Gasperi, Adenauer e Schumann hanno concepito l’unità europea sulla base di grandi visioni coraggiose e lungimiranti, ponendo alla base, fra i valori fondanti, la solidarietà.
«Evidentemente solidarietà è un principio che deve andare di pari passo con sussidiarietà; significando sussidiarietà che un’entità superiore non deve assumere funzioni in maniera soddisfacente da essere svolte da un’entità inferiore. A tutti è richiesta una forte responsabilità.
«La Grecia, come d’altra parte, l’Italia, non hanno dimostrato la serietà e la responsabilità richiesta nel rispettare le norme che erano state decise, condivise e sottoscritte.
«L’indebitamento greco e italiano non va attribuito alla responsabilità dell’Unione europea, ma alla irresponsabilità di chi ha avuto il compito di guidare gli Stati. L’Unione Europea, peraltro, ha fatto molto per salvare la Grecia.»
 
L’Unione europea, rispetto agli Stati Uniti d’America o alla Federazione Russa, sembra una cooperativa, dove non c’è un vero presidente né un vero direttore, ma solo il Consiglio di Amministrazione che deve assumere decisioni a maggioranza.
Può confermare o aggiustare il pensiero?
«Gli Stati Uniti d’America sono uno Stato vero e proprio, con una storia completamente diversa dall’Europa, uno Stato costruito dal nuovo. L’Unione europea è un’unione di Stati sovrani con storie, tradizioni, lingue, costumi e sistemi giuridici molto diversi. Pensare di realizzare in Europa una federazione come è avvenuto negli Stati Uniti d’America è irrealistico.
«Certo è che nell’Unione Europea abbiamo molti presidenti e manca, di fatto, una voce che in termini precisi, autorevoli e per certi aspetti vincolanti, possa parlare per tutti. Non parlerei di Consiglio di Amministrazione. La mancanza nell’Unione europea di un organismo forte con un Presidente unico che possa parlare a nome di tutti può essere solo cambiata dalla decisione degli Stati nazionali, i quali non sembrano molto interessati a tale soluzione.
«Certamente abbiamo presidenti nell’Unione che parlano a nome dell’Unione stessa ma senza effetti reali e fortemente incisivi. Abbiamo il presidente della Commissione europea, il presidente del Parlamento europeo, il presidente del Consiglio europeo, il presidente di turno del Consiglio dell’Unione, ma insufficiente unitarietà.
«Nella Federazione russa il processo di democratizzazione deve fare ancora molta strada e i raffronti sono difficili.»
 

 
Il sogno di De Gasperi, che voleva anche un esercito europeo, è lontano dalla sua realizzazione. Cosa frena la nascita di questa importante struttura transfrontaliera?
«De Gasperi voleva e fortemente ha sostenuto l’idea dell’esercito europeo perché era convinto che unendo gli eserciti in Europa non si sarebbe solo creata un’importante struttura difensiva, ma la loro unione avrebbe costituito la premessa per giungere necessariamente al trasferimento all’Europa comunitaria di altre funzioni come la politica estera.
«Era una visione molto lungimirante, come abbiamo detto sopra, che è stata purtroppo affossata nell’agosto 1954 con la bocciatura da parte dell’Assemblea nazionale francese del Trattato istitutivo della Comunità europea di difesa. In seguito gli Stati nazionali non hanno mai assunto decisioni coraggiose in materia.
«Certo, nei trattati è stata prevista una politica estera di sicurezza comune, per la quale ora abbiamo un alto rappresentante previsto dal Trattato di Lisbona del 2007; una struttura che di fatto non funziona, non solo per incapacità di chi la guida ma anche perché ogni Stato nazionale vuol fare la propria politica estera: Una reale politica estera e di difesa comune europea è una necessità imprescindibile per poter pensare ad un avanzamento concreto nel processo di unificazione europeo.»
 
La moneta unica è stata creata per dare un “massimo comune denominatore”, mi perdoni l’aggiustamento della formula matematica. Ma la diversità delle economie degli stati che l’hanno adottato sono fonte di stress finanziari enormi.
Per quale motivo la Banca Centrale Europea non può agire anche a livello interno di ogni singolo stato?
Cos’è che impedisce agli stati membri la costituzione di Titoli Europei?
Perché non può essere fatto dalla BCE in piena autonomia?
«L’istituzione della moneta unica europea è stata un fatto politico di grande importanza, una conseguenza necessaria per avere un mercato interno funzionante. Non si è trattato certamente di una decisione e di un lavoro facili conclusi dopo numerosi tentativi che in precedenza non avevano portato ad alcuna soluzione.
«Certamente la diversità di economie dei singoli Stati è un problema, ma ciò non doveva e non deve accantonare l’Euro. La Banca Centrale europea ha il compito fondamentale di tenere sotto controllo i prezzi e di conseguenza l’inflazione dal Trattato di Maastricht del febbraio 1992.
«Se gli Stati nazionali non hanno voluto attribuirle maggiori poteri non si può accusare la Banca Centrale di non fare ciò che non può. Il Trattato di Maastricht ha previsto un’ unione economica e monetaria, e anche se sarebbe indubbiamente auspicabile una maggiore strategia economica a livello europeo, la BCE non può evidentemente istituire titoli europei senza una modifica dei Trattati.»
 
La politica del rigore ha salvato l’Euro, ma ha strangolato i cittadini. Perché non si adotta una politica di rilancio complessiva a partire dalla stampa di nuova cartamoneta europea?
«Fin dal 7 febbraio 1992 si sapeva che era stato avviato un processo per giungere alla moneta unica europea e che la partecipazione all’Euro richiedeva il rispetto preciso di certe regole. Era responsabilità degli Stati nazionali entrati nella zona euro compiere politiche serie di contenimento della spesa pubblica per rispettare i parametri concordati e sottoscritti.
«Tutti potevano essere a conoscenza di questo. Il trattato non è stato approva in segreto nei palazzi di Bruxelles. Vi è stata una Conferenza intergovernativa che lo ha preparato, un Consiglio europeo che lo ha adottato, i ministri degli Stati membri che lo hanno fermato (per l’Italia i ministri degli Esteri Gianni De Michelis e del Tesoro Guido Carli) e i Parlamenti nazionali (o referendum nazionali secondo il sistema giuridico del Paese) che lo hanno ratificato.
«Se vi sono stati governi che per incapacità o per motivi elettorali non hanno agito in varie direzioni per contenere la spesa pubblica la colpa non è di Bruxelles, ma degli Stati interessati. Si aggiunga inoltre che se una pizza che costava 5.000 lire e con l’entrata dell’Euro i ristoranti hanno richiesto per lo stesso prodotto 5 €, ossia circa il doppio di valore, la colpa non è della moneta unica, ma semmai di una mancanza di controllo dei prezzi e di una non intensa battente pubblicità promossa dai governi nazionali per informare i consumatori.
«Come la maggior parte delle cose anche i Trattati vanno adeguati ai tempi che cambiano. Se ci si rende conto che i parametri sono da rivedere, ci si mette attorno ad un tavolo e senza batter pugni o rovesciare i tavoli si discute politicamente per giungere a nuove soluzioni concordate.
«E senza imputare responsabilità a Paesi seri e virtuosi nei quali la stabilità economico-finanziaria non sono una politica governativa, ma anche un costume familiare. Chiedere ora di uscire dall’Euro è un atteggiamento irresponsabile, che porterebbe a conseguenze disastrose con avrebbe gravi ripercussioni soprattutto per lavoratori e pensionati, e non solo.»
 

 
In politica estera l’Europa ha dimostrato di saper badare a stento a se stessa. Non parliamo dei problemi dei singoli stati che, per quanto europei, vengono lasciati soli. Ci riferiamo alla crisi dei marò, agli sbarchi degli immigrati in Italia. Cos’è che manca per far sì che la Commissione Europea si accorga che facciamo parte della medesima UE?
«Come sopra detto la mancanza di una politica estera comune dell’Unione è una carenza molto grave; per far procedere adeguatamente il progetto di unificazione europea serve assolutamente una forte politica estera comune. Questo dipende solo dagli Stati membri, i quali non sembrano motivati a rinunciare al loro protagonismo in materia.
«Di fronte agli sbarchi in Italia dei disperati che scappano dalle tragedie africane, l’Unione europea e anche gli altri Stati dell’Unione non hanno certamente manifestato la necessaria solidarietà. Su tale tema io stesso ho avuto uno scontro verbale con la commissaria europea per gli affari interni Cecilia Malmström.
«Si tratta di un argomento che potrà essere efficacemente esaminato e discusso durante la prossima presidenza italiana dell’Unione. Sono certo che una soluzione condivisa si troverà.»
 
La crisi di Crimea ha nuovamente messo in luce le diversità delle politiche energetiche degli stati dell’ UE. Cosa impedisce di raccordare l’Europa almeno in questo settore fondamentale per l’intero continente?
«La crisi della Crimea ha indubbiamente messo a nudo i limiti di una mancanza di politica estera europea ed anche i passi che le istituzione UE hanno fatto su tale fronte non sono stati molto felici. Il problema in Ucraina è stato trascurato per troppo tempo.
«La politica di buon vicinato sia con l’Ucraina sia con le altre repubbliche sovietiche, soprattutto nella zona del Caucaso, è stata inefficiente. Lo stesso comportamento di Washington peraltro non ha evidenziato molta intelligenza politica.
«Anche se gli Stati ex sovietici sono indipendenti e sovrani è necessaria una realpolitik che tenga presente il fatto che l’attuale Federazione russa, soprattutto con la guida dell’imperialista Vladimir Putin, non si è rassegnata ad aver perso un impero; era necessaria e servirà ancora una politica estera più attenta e responsabile.
«Anche qui ritorniamo al discorso di una politica estera comune nell’Unione europea.»
 
Quando alcune regioni dell’ex Jugoslavia si sono volute separare dallo stato cui appartenevano (Kossovo, Macedonia, ecc.) l’Europa si è dichiarata a favore delle autonomie nascenti. Per quale motivo invece di fronte alla volontà popolare della Crimea si è gridato allo scandalo?
«Il discorso dell’ex Jugoslavia si pone per certi aspetti in termini diversi anche sotto il profilo della geo-politica. Sappiamo che la Russia era contraria all’indipendenza del Kosovo mentre ora ha sostenuto l’indipendenza della Crimea e pensa all’est dell’Ucraina.
«Si aggiunga inoltre che le procedure di autodeterminazione fra le due realtà sono sorte e sono state gestite in modo alquanto diverso. Sappiamo che in Europa i confini sono cicatrici della storia e pertanto fonti di grande sensibilità.
«Una politica che dia garanzie politiche, sociali, cultuali ed economiche ad una minoranza all’interno di un Paese è normalmente da preferire a processi indipendentistici.» 
 
Cosa ne pensa del nuovo piano strategico proposto dalla Commissione Europa 2020?
«Europa 2020 è certamente un piano importante in termini di crescita e sviluppo. La sua realizzazione non dipende solamente dalle Istituzioni europee ma anche dall’impegno concreto degli Stati membri nelle loro articolazioni istituzionali.
«Purtroppo in passato l’Unione europea ha presentato piani di sogno come la strategia di Lisbona, la quale secondo le intenzioni avrebbe dovuto portare nell’arco di dieci anni l’Unione ad essere l’economia basata sulla conoscenza più importante del mondo. Il processo di Barcellona degli anni ’90, che avrebbe dovuto portare ad una importante intesa e una forte collaborazione fra Unione europea e stati dell’area mediterranea si è di fatto sciolta nel nulla.
«Entro il 2020 non saranno certamente realizzati tutti gli obiettivi previsti dal relativo piano; sembra tuttavia che questa volta vi sia più impegno rispetto alla strategia di Lisbona e vi è solo da augurare che una buona parte degli importanti obiettivi possano essere realizzati.»
 
 
  
Cosa si può fare? È pensabile un’Europa migliore?
«L’Unione europea non è solo una opportunità, ma una necessità assoluta per il futuro di noi europei. Non è pensabile che gli Stati nazionali da soli possano affrontare con successo le crescenti sfide della globalizzazione e di una crescente interdipendenza.
«La geo-politica mondiale sta cambiando velocemente. Gli eventi in Ucraina con l’inevitabile seguito che vi sarà in altre aree ex-sovietiche ad iniziare dall’area del Caucaso ed il crescente spostamento del baricentro economico e politico mondiale verso il Pacifico sono ulteriori motivi che impongono agli Stati europei di essere uniti.
«Leggendo le tendenze in essere, possiamo individuare per il futuro dell’Unione cinque scenari:
Titanic sostenuto da coloro che irresponsabilmente vorrebbero la fine dell’Unione;
Keneuropa, sostenuto da coloro che vorrebbero un’Unione europea formata solo da un raggruppamento di Stati virtuosi ed efficienti dell’area occidentale;
gravitazionale, visto da coloro che pongono fiducia nella cooperazione rafforzata attraverso la quale un gruppo di Stati motivati ed efficienti porterebbero avanti il processo di integrazione dando spazio ad altri Stati che in seguito volessero seguire la linea;
Monet, il che significa proseguire più o meno il processo di integrazione europea secondo il principio del neo funzionalismo, portando avanti cioè politiche di integrazione sulla base delle esigenze che emergono nella società, tenendo per altro presente che il mutare dei tempi impone processi di accelerazione molto più forti rispetto al passato;
Europa superpower che possa confrontarsi con forza nei confronti degli Stai Uniti e delle grandi economie emergenti.
 
«È fuori dubbio, e va collocato nella logica degli eventi in evoluzione, il fatto che il testo di Lisbona del 2007 che prevede un’Unione europea e il suo funzionamento, potrà e dovrà essere aggiornato ai nuovi tempi, anche se per ora rappresenta di fatto l’atto “costituzionale” cui tutti i Paesi membri devono fare riferimento.
«Purtroppo le elezioni europee 2014 sono state un’occasione mancata per una seria riflessione sul futuro dell’Unione europea. La maggior parte dei partiti molto più che in precedenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo hanno preso come pretesto l’Unione europea per giustificare carenze, errori e irresponsabilità nazionali.
«Anche nei programmi nazionali televisivi di grande ascolto abbiamo visto andare in onda, salvo rarissime eccezioni, impreparazione e irresponsabilità. Una irresponsabilità, peraltro, non attribuibile solo a rappresentanti di partito o candidati interessati esclusivamente ad avere consenso elettorale nel cavalcare il malcontento, ma anche a giornalisti conduttori più interessati a fare audience piuttosto che a portare i loro interlocutori ad occuparsi delle vere questioni europee.
«Abbiamo purtroppo visto tanta impreparazione in materia di Unione Europea, con nuovi candidati che confondono la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e che attribuiscono alla Commissione Europea potere decisionale finale nell’adozione degli atti legislativi.
«È solo da sperare che quando i parlamentari eletti in primo mandato si troveranno a Strasburgo e Bruxelles si rendano conto di che cosa sia l’Unione europea. E’ necessario riattivare nella società civile motivazione affinché ci si possa riappropiare del sogno europeo, quel sogno che fra enormi difficoltà dopo la Seconda guerra mondiale i padri fondatori, fra cui il nostro Alcide De Gasperi, hanno saputo accendere e che in seguito istituzioni e, soprattutto Stati nazionali, non hanno saputo tenere sufficientemente vivo fra i cittadini. Cerchiamo quindi di riacquistarci il sogno europeo.»
 
Nadia Clementi - [email protected]
Dott. Paolo Magagnotti - www.magagnotti.eu - www.euroean-journalsts.eu - +39 335 6844213