Giuliano Amato dipinge l’Europa che ci sarà tra 20 anni
«Un mercato in parte comune, dove ciascuno tenderà a chiudersi. Vi saranno società sempre più vecchie, sempre più costose e meno capaci di produrre Pil»
Se non si cambia la politica europea impostata fino ad oggi, il futuro che ci aspetta sarà quello che ha tratteggiato Giuliano Amato, uno dei «Testimoni del Tempo» oggi al Festival dell'Economia di Trento.
«Un mercato in parte comune, nel quale però saranno cresciute le tensioni fra gli Stati membri e le ostilità reciproche, dove ciascuno tenderà a chiudersi.
«Vi saranno società sempre più vecchie, sempre più costose e meno capaci di produrre Pil.»
Ad introdurre il due volte presidente del Consiglio, Innocenzo Cipolletta, che ha ricordato uno degli ultimi libri di Amato, scritto a quattro mani con Andrea Graziosi, «Grandi Illusioni. Ragionando di storia d'Italia», dedicato al miracolo economico italiano e alle aspettative deluse del Ventunesimo secolo.
Le distorsioni del sistema unico risalgono alle origini.
«Si è arrivati a prendere atto che ci voleva una politica monetaria unica e una banca centrale europea, ma venne deciso che le politiche economiche e fiscali sarebbero rimaste nazionali, in questo modo l'euro non poteva funzionare.»
Altro errore riguarda il coordinamento intergovernativo, strumento debole e affidato alla volontà degli stati membri, che ha consentito di «portare avanti solo le politiche necessarie, essenziali al risanamento finanziario, non altro».
Per Amato «non abbiamo gli strumenti per fronteggiare gli effetti recessivi di un risanamento finanziario pur necessario. Il risanamento finanziario è quindi una chemioterapia che devasta l'organismo».
Se non si esce da questo circolo, nell'Europa fra 20 anni saranno cresciute le tensioni fra gli Stati membri e l'integrazione sarà sempre più difficile, mentre le società saranno vecchie, costose e meno capaci di produrre Pil.
«Il miracolo italiano – ha spiegato Amato – avvenne in anni demograficamente straordinari, si misurava un elevato tasso di energia grazie a un'economia piena di giovani, oggi invece quel tasso di energia è rappresentato dalla mia generazione, ovvero da chi ha il lavoro perché i giovani sono pochi e non sono occupati.»
La soluzione non è facile, parte soprattutto da un impegno che gli Stati debitori devono assumersi, da un cambiamento interno rivolto alla propria crescita.
«La nostra produttività – ha commentato Amato – è ferma da 20 anni per ragioni che non sono necessariamente dovute al debito o al fatto che l'Europa non ci ha dato una crescita sufficiente. Bisogna smettere di chiedere all'Europa di pagare i nostri debiti, i Paesi debitori devono rendersi credibili, migliorare la capacità di crescere. Se poi l'Europa compie l'altro passo e ci viene incontro, si raggiunge l'ottimo paretiano, allora davvero fra 20 anni potremo vivere in una bellissima Europa.»