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«L’incerto andare» di Enzo Santese – Di Massimo Parolini

Una serie di riflessioni sugli effetti di una «presenza» capace di pulsare in maniera diversa nel rapporto con il sé, con le persone e con le cose della natura

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Titolo: I luoghi e i sensi
Autore: Enzo Santese

Editore: Battello Stampatore 2018
Collana: Asteria, Poesie
 
Pagine: 160
Prezzo di copertina: € 18

«È saliscendi di un viaggio emotivo/ che traccia sotto costa la coordinata/ un andare al largo sull’onda/ del non domato spirito, come aria di vita,/ antidoto del dubbio se sprofondare/ o emergere alla luce di albe nuove.»
(ECHI, da Umberto Saba)

In fondo, pur essendo il testo aperto, come ci ha insegnato la Semiotica novecentesca e uno dei suoi massimi alfieri, Umberto Eco, all’interpretazione e agli attraversamenti ermeneutici, chi scrive tradisce sempre, il senso profondo della propria visione del mondo che si fa linguaggio connotativo-poetico.

E nei versi appena citati, tratti dalla poesia ECHI, Enzo Santese, poeta, critico, traduttore e promotore culturale triestino, ben sintetizza le coordinate della propria navigazione nella scrittura: la tensione poetica, il desiderio di uscire dalle sicurezze del sottocosta per spostare le vele verso l’aperto del mare, portati da un’indomata pulsione di libertà, che è frescura di vita, vaccino al virus moderno del fardello critico dell’homo dubitans, ansia e speranza di riemersione alla luce, che si riflette dal cielo alle acque.

Nelle cinque sezioni della raccolta «I luoghi e i sensi», Sinestesie e ossimori, Vertigine del remoto, Passo lieve, Mobili schermi, Divaganti tensioni, come ricorda il critico Enrico Grandesso nella sua prefazione, l’autore «offre al lettore un ventaglio di percorsi e di riflessioni a tutto tondo, ben impressi tra le due polarità dell’oggi – quotidiano, politico e civile nel senso più alto del termine – e di uno spazio-tempo che respira le percezioni sottili e vitali del ricordo, della bellezza irrorata nell’armonia della coscienza, nella gioia irrequieta e leggera della condivisione».
 
Nella prima sezione emerge chiara una tensione cosmica con la quale il poeta mira a bypassare l’inautenticità diffusa dei legami e degli schemi sociali, maschere della necessaria moderazione relazionale nei vari ambiti del lavoro e della frequentazione di gruppo, del politically e socially correct, che rischia però di diventare freudianamente castrazione super-iotica e nevrosi, e che cerca quindi la propria uscita di sicurezza negli interstizi di lampi di eros, come nella poesia Sandali Azzurri («Vorrei seguirvi lasciando ad altri/ l’ansia di sonni inquieti/ sandali azzurri mi portano intorno/ alle evidenze dell’essere chiuse/ in forzieri custoditi da erinni d’oggi/ pronte a violare chi svela/ il mistero della vita./ Assaporo nel cammino beatitudini/ precluse a marce di conoscenza vietate/ dalle regole di codici arcani.»).

La Gradiva di Jensen, che nel soggiorno estivo di Freud sul Lago di Lavarone (in Trentino) divenne occasione di scavo analitico sulle tracce di Eros e del feticismo, rientra fra le forme del desiderio onirico pulsante: come la Chimera di Campana, essa è sorriso di lontananze ignote, pallido viso di mitici pallori, regina della melodia cosmica e Santese, come Campana come Pascoli come D’Annunzio come Rimbaud come Novalis come Leopardi, è poeta notturno che veglia le stelle accese nei laghi del cielo, in cerca della propria vertigine cosmica, che eleva il capo dalla propria individuazione e dalle miserie dell’io spocchioso e limaccioso ma isolato, per naufragare nell’infinito e nell’indeterminato, nella ricerca panica della propria disintegrazione nel tutto.
 
Ma la vertigine di Santese non crea pascolianamente spaesamento e angoscia: è più simile alla dimensione consolatrice del poeta recanatese, fratello e confidente della luna empatica (Luna Rossa: «È il pretesto dell’eclissi/ guardi giù con rossore/ e comprimi nel fuoco tondo/ malincuore e rabbia davanti/ a cortocircuiti della mente/ in teatro con sagome d’attori/ immersi in drammi e tragedie/ sol di rado sfumanti in lieto fine./ Noi guardiamo su attratti/ da combinazioni astrali capaci/ di inalare aromi strani/ che tu – o luna – fai piovere/ su nostre inconcludenti tensioni/ verso un alloro avvizzito/ da egoismi multiformi.»).

E nel divenire taciturno del mistero della notte Santese incontra la propria Sentinella, novello Bowman nella propria odissea cosmica, ricercando, forse, la propria metamorfosi in Bambino delle stelle, in una propria stanza neoclassica, regredendo all’alba della vita (MONOLITE: «immobile testimone di umori scaturiti/ da giorni e notti nel percorso di esistenze sbiadite/ nella monotonia di rintocchi uguali./ Pietra bianca, quaderno d’infinito/ e piano d’antiche tracce/ emerge dal buio del silenzio accoccolato/ nella stretta di terra e sassi/ saldati in unità da passi pesanti/ di mille generazioni/ spinte a crescere per invecchiare/ e poi rimosse dalla scena/ occupata da epigoni degni.»).
Una Sentinella di roccia che cerca «il calore di una stella/ e la voce di ere/ tornate a parlare col cuore.» (ibid.) diviene correlativo oggettivo dello stesso poeta viandante notturno, che non si accontenta del consorzio umano, di un’esistenza pallida fatta di passi di sofferenza di un’umanità nata, sbarbarianamente, a faticare e a riprodursi.
 
Ma in Santese il giudizio sulla propria specie non è così netto, come in Sbarbaro, ed egli non guarda la gente con implacabili aperti estranei occhi, sempre in veste di sonnambulo, assente agli altri e a se stesso; e nemmeno allude agli uomini vuoti e impagliati di Eliot, o ai reboriani «morti viventi»: il poeta triestino, emulo di Saba, cerca l’umano autentico e lo trova, nella condivisione conviviale -anche ingenua e spontanea- delle proprie storie ed emozioni, talor in vino veritas di una tavolata amicale, e nella passione condivisa della parola poetica, che umanamente salva e innalza dalla scoria dell’inautentico e dell’alienazione moderna: «Scavo nell’allegria d’una circostanza d’affetti/ dipinti nei volti di uomini che dicono il vero» (Memoria di luce).

E nel «giorno avaro di commende» trova posto anche «la volontà di baratto nel circuito dei semplici» (ibid.) laddove Rebora invitava la pioggia feroce a rodere chi visse di baratto e scoria. E se talvolta tale condivisone è possibile solo del sogno ad occhi aperti, di essere, nella quiete notturna siderale trasportato su «orbite di pianeti in danza/ su ricamati palcoscenici del cosmo» per captare, fra le altre voci, anche quelle di «semplici/ armonie di uomini pronti/ a dimenticare il livore/ per abbracci lunghi/ inviti a banchetti d’ambrosia/ sulla linea di una tensione multipla/ al sorriso e alla gioia/ d’essere insieme comunque» (Comunque) altre volte «sgorgano senza freni/ nell’incontro en plein air/ flussi di giocosa serietà dove/ nota morale, guizzo poetico,/ risata libera e tono d’ironia/ saldano la trama di sintonie/ leggere» (Ritrovo en plain air) e può giovare «sostare all’ombra della pergola che abbraccia i tavoli di un’osteria vociante dove anche la solitudine fa rumore» (Echi), o circondarsi delle ciarle di avventori ansiosi di tacere e onorare la scelta di piatti in un ristorante di Caporetto (Kamp Lazar).
 
Perché anche in un bar si può «restare immuni/ dal contagio del brutto/ e mirare alla luce di atti/ parole sorrisi e cenni/ con piglio sicuro di chi ha eleganza/ anche nel respiro e cadenza/ frasi e note di calda amicizia» (Appunti al bar), e non solo l’amico o l’amica, anche una sconosciuta può essere epifania dell’umanitas che ci unisce in «un sorriso che inneggia al sole/anche se fuori piove a fiotti.»
O ancora: «La poetica brigata/ distesa in serena allegria/ fa vibrare la parola/ fino a sera di umori tenui/ incatenati alla dimensione/ del ricordo che s’affida al verso/ nei ritmi di emozioni accese/ sul monitor d’istintiva cordialità./ La sera è afflato dolce e aria libera/ da pulviscoli della cronaca/ e spira lieve tra i sorrisi di anime/ concordi nel comune anelito/ al bello nel pensiero offerto a pagine/ scandite da strofe brevi e dense/ di promesse come i silenzi risonanti/ di passione per l’idea che si fa musica.» (Linda et levis) Anelito al bello che si fa «voglia di restare insieme/ nella festa e nella poesia./ I tavoli ridono nell’allegria di parole e piatti/ il cielo illumina un tintinnio di calici/ alzati a più riprese nel rito dell’amicizia/ che invita alla poesia del vino/ in una serata di ritmi leggeri/ come piume di felicità» (Sera d’agosto).
È con loro che Santese vuole aver bazza, però sa che deve farlo anche con i reboriani bari.
Non manca, ovviamente, nella distinzione fra l’ agire umano autentico e quello alienato e inautentico, l’ironia sull’homo turisticus, socraticamente turista di tutto ma non di sé stesso, nel «pullulare di valigie a rotelle», «vociare gracidante di pellegrini», masse ciabattanti che guardano, selfano e registrano ma non osservano e non fanno memoria, «anime ignote agli altri e a se stesse» (Campa Campiello), caterva d’umanità che «intruppa calli ricolme/ mordi e fuggi indecoroso» (Carta Venezia).
 
Così come non manca, fra i versi civili della seconda sezione (Vertigine del remoto) l’invettiva civile contro il plautino e hobbesiano «l’uomo è lupo per l’uomo»: malgrado gli italiani siano un popolo di migranti e l’Italia sia geograficamente uno stivale sul mare, la paura del diverso («Coagulo di diversità ignote» «compagnie d’uomini sospetti») da parte delle «capsule dell’io» crea confini mentali spinati e combustibile pronto ad esplodere (Il muro).
Al grido dei disperati, in fuga da guerre, persecuzioni e miserie, e in cerca di un futuro migliore, molti europei non accettano «la lingua di una sofferenza proposta all’occhio come scomodo pungolo ad agire» avendo il «cuore in atrofia perenne di scatti d’amore» (In cerca di casa). Spesso siamo «incapaci di trascurare un battito/ di ciglia eppure erti e grevi/ davanti al grido d’aiuto/ il cuore d’uomo è indegno/ di cura quand’è sconosciuto/e proviene da landa remota./ Ascolta il mio silenzio/ è intreccio di parole che restano/ nell’urna più segreta/ e non diventano fatti/ ascolta il fragore delle inerzie/ pronte a costruire trincee. » (Udito e inaudito)
 
Disperati che il mare spesso inghiotte o che si trascinano nel buio delle rotte balcaniche, dove «Nella corsa tra prati cosparsi da trappole d’egoismo mutante in piante d’odio» risuona «il pianto di Amin, bambino senza giochi/ preda d’una storia avara/ di medaglie al valore.» (Amin), magari esibito come labaro su «schermi giganti», «motivo che addormenta coscienze tenute in costante esercizio di inerzia sottile e diffusa» (Finti pianti).
Ma per il poeta non ci si può limitare a «vivere ai bordi delle ferite per attendere qualche tono di rosa» (ASCOLTA), in una via di fuga verso l’infanzia (come tematizzato nelle poesie dedicate a Cristina Campo ed Emily Dickinson), «in attesa del miracolo nato per capovolgere/ la clessidra e far tornare la sabbia da dove è/ caduta, sforzo a trattenere la corsa dell’essere.» (ibid.) Il fanciullino non basta: le epifanie della gialla ginestra, forma dell’eterno femminino, Beatrici e Clizie che ci traggono in alto e in catena di umanitas, testimoniano altro, al poeta: ciò che rende possibile la leopardiana solidal catena è pur sempre l’amore condiviso per la poesia, flusso di «vibrate emozioni», una poesia «come voglia di dire e di sentire/ in un mondo dove moti interiori/ sopiti nel magma fangoso dell’io/ proiettano a stento ombre/ di slanci al dono e all’ascolto» vero antidoto alle «diffuse allergie/ all’unione rimossa dalla paura/ di condividere anche l’inutile.» (Interiore tonalità)
Perché, anche se la natura offre salutari «rifugi per battiti d’esistenza» (Sotto il glicine) nel «nostro incerto andare» noi «abbiamo prova che conoscere/ è vivere secondo logica/ del bello che avvince» (Ignoranza del vero): non dobbiamo, afferma il poeta, seguire Leopardi nella sua convinzione che la felicità degli uomini scaturisca dall’ignoranza del vero (ossia che la natura matrigna ci illude per gettarci poi, indifferente, in una landa di sofferenza e morte): «Sì è così se pensiamo/ alle brutture dell’esistente» (ibid.), «ma è altra cosa se vediamo/ il senso della realtà in corpo/ e in essenza» (ibid.). E questa, per Santese, è onestà (non finzione): «Onestà sta nelle menti/ appese all’idea di bene comune/ da consumare sempre insieme.» (Onestà?) Bellezza e bene comune (bontà), dunque: l’ateniese (sofista e platonica) kalokagathìa, è passo e vento lieve, marino, lagunare, cosmico: un passo, per Santese, onesto e umano, «per tornar sulla scena ancora arruffati/ dalla gioia di farsi portar via.» (Attesa di vento)

 Biografia  
Enzo Santese è di Trieste, dove risiede e opera; svolge un’intensa attività di promozione culturale nell’ambito della letteratura, del teatro e delle arti figurative.
Iscritto all’Ordine dei Giornalisti, si interessa da anni di problemi della comunicazione radiotelevisiva.
Critico d’arte, poeta e scrittore, ha al suo attivo numerosi interventi su quotidiani e riviste. Organizza diversi eventi culturali e dirige alcuni Festival di poesia (tra cui «Poetando» di Trieste e Lubiana) e il Festival del pensiero in / verso di Venezia).
Scrive da vari anni testi per il teatro, la radio e la televisione (Tele Capodistria e Rai); la sua bibliografia comprende oltre un centinaio di pubblicazioni, divise fra le traduzioni degli autori classici, greci e latini, libri di poesia, narrativa e saggistica e monografie di artisti contemporanei.
Dirige la rivista Amicando Semper (Spunti e contrappunti di arte, letteratura e critica culturale). Le sue liriche sono raccolte in tredici volumi: Diapason, 1976; Cromie Lente, 1982; Sentieri di sommaco 1990; Velature emotive, 1992; Piani di volo, 1996; Chicca ascolta, 1999; Meridiani capovolti, 2001; Verdeacqua – versi in trasparenza, 2003; Orizzonti rivelati, 2004; Cenni e silenzi, nei ritmi della poesia, 2007; mareAmare, 2009, Salendo per luce prima, 2010; L’abito della vita, 2016; I luoghi e i sensi, 2018.
Fa parte dell’associazione di scrittori PEN Club Trieste e dell’A.I.C.A., Associazione Internazionale dei Critici d’Arte; ha progettato e organizzato numerose rassegne d’arte contemporanea, personali e collettive, in Italia e all’Estero.

L’autore ringrazia il blog letterario https://www.readactionmagazine.it per il consenso alla pubblicazione.

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