Trentini. Guida ai migliori difetti e alle peggiori virtù

Il nostro parere sulla pubblicazione di Cristiano Umberto, Edizioni Sonda

Di questo libro abbiamo pubblicato la presentazione lo scorso 24 gennaio (vedi), precisando che avremmo pubblicato una recensione non appena letto.
Ora l’abbiamo fatto e siamo pronti a pubblicare il nostro pensiero.
L’articolo è stato letto da 500 persone, una ventina delle quali ha lasciato commenti su Facebook, mentre due lettori hanno pubblicato commenti sotto l’articolo stesso, secondo una percentuale ormai consolidata. FB, infatti, ha notoriamente una maggiore flessibilità e i lettori si pongono meno problemi nell’esprimere le proprie sensazioni.
Nel complesso il libretto (112 pagine) non è molto interessante. Per chi è trentino sono cose scontate e stranote, mentre ai non trentini non sappiamo cosa possa interessare. E difatti, la domanda che ci poniamo alla fine è rivolta allo scopo del libretto: a chi si rivolge l’autore e per comunicare cosa?
Ma andiamo per gradi.
 
Va detto subito che chi scrive conosce bene il Trentino e i Trentini. È corretto anche il dialetto, sia pure sbagliando qualche parola e qualche accento (ad esempio fòbes invece che fòrbes per forbice, ma può essere un errore di stampa) e il téi invece che tèi, il forést invece che forèst, laòr invece che laór, e così via.
Ma sono errori che farebbe anche in trentino, dato che scrivere in dialetto non è facile come si potrebbe pensare.
Conosce anche la storia del Trentino, ma a livello scolastico di vecchio stampo. A pagina 12 liquida la tragedia dei «Da bleiber» e degli «optanti» altoatesini con dannosa superficialità. È Alto Adige, direte, ma allora perché parlarne in un libro dedicato ai Trentini?
Classica la confusione nazionale dei Trento e Trieste, citata nella pagina successiva, dato che poco meno di un mese fa la Rai parlava di «Trento, capoluogo triestino» (vedi articolo).
Imprecisa anche l’idea che la provincia autonoma di Trento assuma a volontà(pagina 26), dato che sono anni che ai pensionamenti non seguono concorsi.
A pagina 28 si parla dell’orso collocato nella rotatoria di ponte S. Lorenzo. Il colore era bronzo, regalato da Berlino, col cui quartiere di Scharlottenburg Trento è gemellata. L’orso è il simbolo di Berlino. Poi una notte dei furboni lo hanno dipinto a titolo spregiativo, ma a quanto pare è piaciuto meglio dell’originale e così è rimasto.
 
Invece ci ha colpito un po’ la leggerezza con cui l’autore ha affrontato certi aspetti.
Un esempio per tutti sta nell’irredentismo trentino e la Prima Guerra mondiale. Desideriamo precisare che i Trentini morti combattendo per l’Italia sono un po’ più di 1.000, mentre quelli caduti combattendo per l’impero sono un po’ più di 11.000.
La disparità è presto spiegata. In Trentino la leva era obbligatoria come nel resto del mondo e chi non partiva era dichiarato disertore. Chi espatriava in Italia poteva esimersi dal combattere, quindi quei 1.000 caduti erano volontari. La proporzione regge? E chi può dirlo?
Certo è che vennero reclutati dall’Impero 60.000 Trentini in un momento in cui la popolazione superava di poco le 200.000 unità e che, appunto, 11.400 di essi persero la vita in Galizia, terra che i più non sapevano neppure dove fosse.
Ma l’aspetto peggiore sta nel fatto che quella gigantesca ecatombe non venne neppure presa in considerazione dall’Italia vincitrice, al punto che solo da una decina d’anni si comincia a cercare tracce dei nostri caduti con la divisa austriaca. Pare impossibile, ma sono stati per troppo tempo una cosa da nascondere.
Chissà che il centenario della Grande guerra non ponga finalmente una livella sui nostri morti.
 
L’opuscolo ha una serie di altre cose da apprezzare o da criticare, che varrebbe la pena di affrontare una per una. Ma non è il nostro compito.
Noi volevamo solo scrivere il nostro parere e l’abbiamo fatto toccando solo degli esempi leggeri e uno piuttosto pesante.
Resta senza risposta l'interrogativo posto all'inizio della recensione: a chi è destinata questa pubblicazione?
 
G. de Mozzi