Teatro Spazio 14: «Il cielo e la terra» (1950), di Carlo Coccioli
Il capolavoro invisibile: Un milione e quattrocentomila copie in Francia, tradotto in diciotto lingue. Ignorato in Italia
Carlo Coccioli è lo scrittore più
cult di tutto il Novecento italiano.
Nacque a Livorno nel 1920; visse parte dell'infanzia e
dell'adolescenza in Libia.
Si guadagnò nella Resistenza una medaglia d'argento al valor
civile.
Esordì nel primissimo dopoguerra.
Nel 1950 pubblicò per Vallecchi il romanzo «Il cielo e la terra»,
la cui edizione francese vendette 1.400.000 copie (un milione e
quattrocentomila copie) procurando a cascata traduzioni in altre
diciassette lingue e rendendo Coccioli famoso in tutto il
mondo.
Fuorché in Italia, dove il cattolico, reazionario e omosessuale
Coccioli non poteva vivere.
Nel 1953 fuggì in Messico, e lì abitò fino alla morte nel 2003.
Il cielo e la terra resta il suo capolavoro.
È la storia di don Ardito Piccardi, un uomo che si è fatto prete
non per fede in Dio, ma per combattere il Diavolo.
Una sorta di mistico nichilista, che un giorno, chiamato a dare
l'estrema unzione a una bambina moribonda, la guarisce.
Tutti gridano al miracolo. Lui pensa che sia un trucco del Diavolo.
La gerarchia lo guarda con sospetto.
Morirà, don Ardito, convincendo un ufficiale tedesco a fucilare lui
anziché i veri colpevoli, quasi dei ragazzini, dell'uccisione di
alcuni soldati.