«I due presidenti» – Decino capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE
PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre, che mi ha
insegnato ad amare, |
Capitolo 10.
Il caffè, per quanto spaventoso, la mattina va sempre bene. Guardai
Jill che me lo offriva e poi l'orologio, che segnava le 8. Non
avevo idea se fosse presto o tardi. Sentivo le ossa rotte, ma non
avevo mal di testa.
"Non ricordo come siamo rimasti." - Dissi. - "Quand'è che li
dobbiamo incontrare?"
"Ci hanno pregato di non uscire, stamattina. Non hanno ancora
deciso il livello di protezione che devono attivare per noi."
"Io vado lo stesso." - Dissi.
"Tu vieni, lo stesso. Ce l'hai così da ieri sera?" - Si spogliò e
si infilò in letto.
"No. E' normale che la mattina..."
"Hai voglia di lavorare?" - Mi disse prendendomelo in mano.
"E perché me lo chiedi in questa maniera?"
"Riprendiamo il discorso sospeso ieri sera."
"Da dove?"
"Da dove preferisci."
Si mise sul fianco per girarmi la schiena. Non rimasi indifferente
e mi feci subito vicino. Il contatto a cucchiaio mi piaceva da
morire. Da dietro le vedevo gli occhi socchiusi con un sorriso di
complicità sulle labbra. Sapeva di piacermi un sacco.
"Non dici nulla?" - Le chiesi provocatoriamente.
"Ti eccita sentire maialate?"
"Dai che hai capito. Devi raccontarmi la tua parte."
"Parla prima tu. Io sto benone così." - Si era rilassata attendendo
la mia iniziativa.
Mi feci vicino vicino per parlarle in un orecchio.
"Ieri, quando eravamo riusciti a stare soli all'Indian Creek,
Levitan mi aveva detto chiaramente che secondo lui la morte di
Larsen era da collegare alla mia ricerca."
"Ti ha detto così?"
"Mi disse che Larsen si era messo subito al lavoro e che aveva
isolato tutto il materiale che gli avevo chiesto. Si era accorto a
prima vista che non si trattava di missioni aeree richieste a caso,
ma secondo una logica ben precisa." - Jill seguiva troppo
attentamente il mio racconto e allora le infilai la lingua
nell'orecchio.
"Dio mio!" - Sospirò. Le venne la pelle d'oca e fu scossa da un
brivido.
"Aspetta, non ho ancora detto la cosa più importante..."
"Mi riferivo alla lingua."
"Ah sì? Allora, dopo ti faccio impazzire... Ma adesso ascoltami. Il
punto che lo aveva colpito di più" - proseguii col discorso - "era
la citazione delle missioni R.A.L."
"Ma perché? Cos'avevano di tanto importante?"
"Nell'alta Italia, durante la guerra, c'erano dei piccoli aerei che
tutte le notti colpivano bersagli luminosi o mobili. Colpivano
indiscriminatamente tutto ciò che si muoveva. Avevano
apparentemente lo scopo di impedire movimenti notturni e creare
tensione. Curiosamente, in tutto il Paese l'aereo veniva chiamato
dalla popolazione con lo stesso nomignolo: Pippo. Anche quello che
imperversava su Trento."
"Ti ascolto."
"A Trento vi furono 15 incursioni di caccia notturni singoli
attribuiti a Pippo, che provocarono 14 morti e 20 feriti dal
dicembre '44 al 25 aprile 1945. Tutte le incursioni avevano la
stessa matrice fascista."
"Come fai a dirlo?"
"Beh, anzitutto Pippo era diventato operativo solo alla fine della
guerra. Inoltre, le azioni erano tutte state mirate a degli
obiettivi assolutamente non militari. E infine, partiva da
Bogliaco, sul Lago di Garda."
"E allora?"
"Le prime due caratteristiche le conoscevo già. Ma che la base di
Pippo fosse sul Lago di Garda, l'ho saputo da Levitan. Prima non lo
sapevo affatto."
"Ah! Ed è importante?"
"Cazzo se lo è! Bogliaco è a pochi km. da Gargnano, dove c'era la
sede della Repubblica Sociale Italiana. Ti dice nulla questo, dopo
ciò che ho detto ieri?"
Provò a valutare l'importanza delle mie parole e a mettere in
ordine i tasselli che le avevo proposto. Io ne approfittai per
farmi sotto e prenderla così da dietro. Lei mi accettò volentieri,
ma capii che pur partecipando come si deve, aveva la testa in
funzione. Allora mi diedi nuovamente da fare con la lingua sul
collo, ma la distolsi del tutto solo muovendomi in maniera
concentrica fino a farla venire mentre stropicciava il cuscino tra
le braccia.
Io non volli venire e ci riuscii, ma dovetti togliermi. Per non
interrompere il suo orgasmo le diedi alcune studiate sculacciate e
lei urlò di piacere sobbalzando pancia sotto.
"Tutto chiaro?" - Chiesi rilassandomi.
Attese qualche minuto. - "No. E' chiaro solo che Levitan ne sa di
più di quanto dice di sapere, e che nelle tue parole c'è
un'incongruenza storica."
"Esatto." - Dissi tirandomi a sedere. - "Primo, le incursioni di
Pippo avevano un raggio d'azione fuori portata per gli Alleati, e
questo lo avrebbero dovuto capire anche i Tedeschi. Secondo, sono
informazioni che neanche Levitan poteva sapere senza che Larsen
gliele avesse dette."
"Dannazione!" - Fece lei alzandosi. Corse al telefono e chiese di
Growe. Passarono decine di secondi, mentre io la guardavo nuda al
telefono.
"Growe? Bisogna attivare la sicurezza attorno ai coniugi Levitan.
Senza perdere un minuto!" - Poi rimase ad ascoltare cosa le
rispondeva. - "Come? Ah!" - Esclamò. Rimase ancora in attesa e poi
concluse la telefonata. - "D'accordo. Grazie."
Messa giù la cornetta, tornò da me e si infilò nel letto
pensierosa.
"Qualcosa non va?"
"No, no. Mi ha risposto che li aveva già fatti mettere sotto
protezione."
Rimase a meditare un po'.
"Beh?" - Mi disse poi. - "Non vai avanti?"
"No, non ora. Io non sono venuto affatto." - Me la avvicinai.
"Al diavolo voi maschi!" - Disse con tono di rimprovero. - "Se non
venite, non avete fatto l'amore."
"Beh, sarebbe quantomeno un rapporto improprio. No?"
Riprese facilmente la sua femminilità e le tornò il sorriso. - "Tu
va' avanti a parlare e non preoccuparti. Faccio tutto io."
Mi scoprì, mi mise una guancia sul ventre e una mano sul sesso.
Provai a riprendere il discorso da dove l'avevo sospeso con Growe,
anche se così la situazione era molto ma molto diversa.
"Se ben ricordi, ieri avevo detto che dopo il 25 luglio del '43,
quand'era caduto il fascismo, il Trentino Alto Adige aveva avuto
una sorte diversa dal resto del Paese. Anche se Hitler fin dai
tempi dell'Anschluss, l'annessione dell'Austria alla Germania,
aveva dato più volte assicurazioni al Duce che il confine italiano
non sarebbe mai stato violato, già dal 26 luglio aveva fatto
preparare a Jodl, comandante in capo dell'esercito tedesco, un
piano che consentisse l'infiltrazione in Trentino, in modo per così
dire indolore, di un paio di divisioni corazzate per facilitare
l'eventuale occupazione militare dell'Italia nel caso ciò si fosse
dimostrato necessario. L'operazione era talmente importante dal
punto di vista strategico che Jodl chiamò ad eseguirla nientemeno
che il Feldmaresciallo Rommel. E così, all'epoca dell'armistizio
dell'8 settembre, il Trentino-l'Alto Adige e il Bellunese erano
praticamente già in mano tedesca. Nulla a quel punto avrebbe potuto
impedire l'invasione tedesca dell'Italia."
Lei continuava a giocare inutilmente con la parte più sensibile di
me, alternando le labbra alle mani, quindi capivo che mi stava
ascoltando con attenzione.
"Quello che Hitler non poteva immaginare, probabilmente perché
aveva sempre sottovalutato il proprio alleato mediterraneo, è che
l'occupazione strisciante del Trentino Alto Adige era invece stata
tenuta sotto controllo passo a passo da un particolare servizio
segreto italiano, un servizio assolutamente segreto."
"Nel senso che erano riservati come noi?" - Ironizzò sospendendo la
piacevole attenzione.
"E' che nessuno ne ha mai saputo nulla."
"Neanche oggi?"
"Neanche oggi."
"Come fai ad esserne sicuro?"
"Non ne sono sicuro. Certo è però che nessuno ne ha mai parlato,
finora."
"Te lo ha detto tuo padre?"
"Lui lo aveva scritto. Io sono venuto a verificare questa sua
teoria."
"Ah, non ne sei sicuro neanche tu?"
"Più o meno."
"E saresti venuto in USA a scoprire se tuo padre aveva ragione?" -
Chiese incredula.
"Più o meno."
"Studiando le disposizioni di alcune missioni aeree alleate?"
"Più o meno."
"Non ti pare di cercare un ago nel pagliaio?"
"Più o meno."
Ma dopo quattro risposte evasive da parte mia, il suo scetticismo
divenne solo strumentale. - "Mi sembri troppo sicuro di te. Non
vorresti dirmi, più o meno, cosa ti fa pensare di aver
ragione?"
"Semplice. Lo aveva capito anche Larsen."
Rimase stupita. Ora avrebbe avuto di nuovo bisogno di pensare. Poi,
vedendo che non ostentavo più l'orgogliosa sessualità maschile,
tornò dedicarsi a me con amore. Lo risvegliò con un bacio e vi si
sedette dolcemente sopra, prima girandomi la schiena e poi
guardandomi in faccia. Allora si chinò a baciarmi e quando lo
ritenne opportuno si sostituì con le labbra, impegnandosi con
femminilità. Rimasi lì a godermi in tutto relax il piacere di
essere amato.
"Ma l'idea che qualcuno da terra, anzi addirittura dei
concittadini, pilotassero gli obiettivi dei bombardamenti alleati,"
- disse più tardi, iniziando da un altro punto di vista, - "rimane
poco credibile. Che cosa aveva fatto pensare a tuo padre che le
cose stessero così?"
"Sapeva che il primo bombardamento della città, quello del 2
settembre, 6 giorni prima dell'armistizio, era stato orientato in
quella zona semplicemente per vendicare il saccheggio della Casa
della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) fatto dagli antifascisti
dopo la caduta del regime del 25 luglio. E quel 2 settembre la Casa
della GIL fu rasa al suolo insieme a tutto il rione. Una vendetta
oltretutto tardiva, tanto che al momento dell'incursione la casa
era stata completamente abbandonata."
"Vuoi dire che avrebbero provocato una strage per vendicare una
razzia?"
"Esatto."
"E' ancora meno credibile. E a tuo padre come sarebbe venuta in
mente una cosa del genere?"
"Glielo dissero i responsabili qualche giorno dopo."
"Chi?"
"Coloro che avevano dato le informazioni da terra per definire
l'obiettivo da colpire."
"Stai scherzando? E per quale motivo glielo avrebbero detto, dopo
una bravata del genere!"
"Lui aveva collaborato con la Gioventù Italiana del Littorio, aveva
insegnato ai giovani fascisti e... e pensavano di dargli una bella
notizia, i coglioni!"
"Dio mio... Dio mio. Cosa deve aver provato!"
"Da allora mio padre si sentì mortalmente ferito nell'anima. Non
parlò più di fascismo. Mi raccomandò più volte di non occuparmi
mai, mai di politica nella mia vita. Aveva 33 anni e iniziò a
scrivere in silenzio la fine del Fascismo nel Trentino. Quella che
ti ho detto di aver trovato scritta di suo pugno."
"Dio mio." - Ripeté alzandosi.
"Non so se riuscirai a concludere la ricerca." - Mi disse dopo un
po'. - "Non è ancora stato tolto il Segreto di Stato sui fascicoli
della Seconda Guerra Mondiale."
"Lo so. Era una delle cose che avrebbe dovuto fare
l'Amministrazione Clinton. Ma non dispero. Growe può fare in modo
che i permessi siano concessi anche adesso."
"Insomma, se ho ben capito, il tuo obiettivo è quello di dimostrare
che in un piccolo lembo di terra dell'Europa Centrale, sconosciuto
ai più, la collaborazione agli alleati venne da parte di una
Stay-Behind fascista. Se dovessi riuscirci, la tua scoperta sarebbe
davvero clamorosa. Avresti il successo assicurato."
"Sì, tagliando un po' le curve, è così. Ma non me ne importa niente
di avere questo tipo di successo. Non devi sempre monetizzare, io
non sono Americano. Non sono sicuro di pubblicare questo libro di
mio padre, perché non so se ne sarebbe contento. Dipende proprio
dal casino che potrebbe causare. Potrebbe risultare che la cosa
migliore fosse anzi quella di mettere tutto a tacere."
"Ma allora perché ti interessa tanto?"
Non risposi, perché era questa la domanda giusta da fare. - "Ora
tocca a te mettermi al corrente di quanto sai." - Dissi invece.
Pensò un minuto prima che dicesse qualcosa.
"Io non sono stata messa al corrente dell'intera faccenda." - Disse
poi sedendosi per guardarmi negli occhi. - "Ma si tratta quantomeno
di un curioso caso di incrocio di piste. Ciò che riguarda te in
questo frangente risale all'epoca dello sbarco degli Alleati in
Sicilia. Siamo quindi un po' prima, anche se non di molto, del
periodo cui fai riferimento tu."
Mi feci più attento. Forse aveva deciso di parlare davvero.
"Non si sa bene come siano andate in realtà le cose," - proseguì
dopo aver raccolto i pensieri. - "Ma un luogo comune vuole che
senza la Mafia lo sbarco in Sicilia non ci sarebbe stato. Gli
ambienti vicini ai politici e ai militari di allora ritenevano, e
nessuno li ha mai smentiti, che la scelta della Sicilia avvenne per
questo motivo."
"Infatti," - intervenni - "la logica militare conforterebbe
l'ipotesi. Perché sbarcare in Sicilia, se poi devi ripetere uno
sbarco per passare dall'isola al Continente? In effetti, oltre al
Fascismo che aveva iniziato a piegare la Mafia combattendola con
metodi piuttosto sbrigativi quanto efficaci, si era aggiunto
l'isolamento forzoso dagli USA provocato dal conflitto mondiale. Si
andava sfasciando l'impero di Mamma Santissima. O per lo meno
quello derivante dalla rendita di posizione."
"Esatto." - Proseguì puntuale. - "La guerra aveva fermato il flusso
di denaro destinato alla Sicilia, sicché ad un certo punto qualcuno
si adoperò per giungere ad un accordo vantaggioso per tutti. Così
potrebbe essere nata l'idea dello sbarco in Sicilia."
"Infatti, guarda caso," - continuai io, - "caddero le isole del
Canale di Sicilia praticamente senza colpo ferire, e lo sbarco in
Sicilia non incontrò resistenza. Fu facile anche occupare l'isola.
Solo nella piana di Catania, i paracadutisti italiani della Folgore
e i Grünen Teufel tedeschi offrirono una tenace resistenza alle
truppe alleate, e probabilmente proprio perché costoro erano dei
professionisti al di fuori della politica. Ma va' avanti col tuo
racconto."
Si mise sui gomiti vicino a me per guardarmi mentre parlava.
"Sei tu lo storico. Quello che devi sapere, però, è che la terza
generazione di una famiglia mafiosa si integra nella società, si
accupa solo di affari puliti, entra in borsa, si dà alla politica.
In poche parole, i nipoti dei boss prendono addirittura le distanze
dai propri nonni e dalle altre famiglie mafiose con cui i loro
progenitori avevano spartito il crimine organizzato."
Annuii. - "Lo comprendo. Ed è qui che si intreccia lo spazio
politico con le indagini dell'FBI?"
"Avrei voglia di fumare."
"Anch'io. Mi è rimasta da quando ho smesso. Dopo il caffè e dopo il
sesso. E, se posso precisare, dopo il tuo sesso sì, dopo il tuo
caffè, no."
"Te lo attizzo io l'avana, se vuoi." - Scherzò, ma poi proseguì
seria. - "Nell'ambito delle normali indagini svolte dal Bureau
attorno ai personaggi che mirano al Congresso, al Senato o
addirittura al Governo del Paese, ogni tanto vengono riscontrati
tentativi di infiltrazione di questo genere. Nessuno in questo
paese può vietare la carriera politica ad una persona a postissimo
con la legge, come indubbiamente potrebbe essere un discendente di
Al Capone, ma la stampa non perderebbe un solo minuto ad
organizzare una campagna per smantellare l'immagine di chi discende
da famiglie di dubbia moralità."
"Succede anche da noi." - Precisai.
"Ah! E in questi casi i giornali vendono di più?"
"No. Riescono a scroccare di più." - Ma da buona americana non mi
aveva capito.
"Dal punto di vista funzionale dell'FBI, sarebbe già uno scandalo
che a scoprirlo fosse un giornale anziché il Bureau. Quindi, in
realtà, il più delle volte troviamo che è la stessa FBI a passare
le notizie alla stampa."
"E l'uomo non separi mai ciò che è stato unito da Dio e dal
danaro."
"Di che parli?"
"Del matrimonio tra magistrati e giornalisti."
"Non sei un giornalista anche tu?"
"Appunto."
"E allora?"
"Voglio dire che lo so, proprio perché sono un giornalista."
"Ah. Sì, certo. Ora pare, e dico pare perché ovviamente io non
posso esserne informata, almeno ufficialmente, che qualcuno molto
vicino a Clinton potesse offrire il fianco a questo genere di
critiche pericolose. I Federali avrebbero avvertito Clinton il
quale, però, prima di bruciare qualcuno che aveva fatto tanto per
lui e in maniera conforme alla legge, avrebbe chiesto delle prove.
Niente di particolare, ma quanto possa bastare per
convincerlo."
La seguii con attenzione. Mi spiegò come le indagini fossero
partite proprio dalla ricerca di antichi legami esistenti tra
uomini male apparentati e politici o militari che frequentavano il
Dipartimento di Stato e il Pentagono durante la Seconda Guerra
Mondiale.
"E qui," - mi spiegò, - "arrivarono ad un punto morto, perché
trovarono delle fonti coperte dal Segreto di Stato."
"Beh," - dissi, - "è una sciocchezza, perché se non riescono i
Federali a superare il problema del Segreto di Stato..."
"E invece il punto sta qui. E' ovvio che nessuno si sognerebbe di
negare l'accesso di segreti all'FBI, anche se in linea teorica ciò
sarebbe possibile. Ma in questo caso, così vicino alla Casa Bianca,
il permesso dovrebbe essere concesso solo dal Dipartimento di
Stato. O, naturalmente, dal Presidente in persona."
"E allora?"
"Puoi arrivarci da solo. Come si fa a chiedere a Bush di concedere
l'autorizzazione ad un'indagine su fatti coperti dal Segreto di
Stato che in qualche modo potrebbero coinvolgere Clinton? Al
Presidente uscente non sembrerebbe vero."
"Basterebbe non parlare in chiaro nella domanda di
autorizzazione..."
"Bravo. Questo a volte viene fatto dai Servizi. Anche da noi della
NSA, ritengo, solo che gli attuali massimi dirigenti sono
Repubblicani e sanno che salteranno non appena si attesterà
l'Amministrazione Democratica di Clinton. Chiaro?"
"Sì, è chiaro. Clinton non vuole giubilare nessuno senza averne la
giusta causa. Per avere queste prove deve prima diventare
Presidente. Ma se scoppiasse lo scandalo a Presidente appena
insediato, finirebbe la sua carriera prima ancora di averla
cominciata. I millantatori di discredito..."
"Esatto." - Disse senza aver capito il mio neologismo. - "Sono i
tipici casini che accadono nel Periodo dei due Presidenti."
Seguì una pausa. Poi mi chiese se avevo idea se l'organizzazione
segreta di cui parlava mio padre avesse operato anche dopo la fine
della guerra..
"Naturale." - Risposi candidamente. - "Mio padre lo aveva scritto.
E' la chiave di quanto successe poi nel dopoguerra."
Jill trattenne malamente lo stupore e si rimise in piedi davanti a
me per capire se scherzavo o dicevo sul serio.
"Tu sai tutto?"
"Praticamente..."
"Sulla, diciamo... organizzazione?"
"Più o meno..."
"Non incominciare di nuovo..."
"OK, scusa."
"Hai trovato anche il nome di qualche persona?"
"I nomi dei massimi dirigenti e l'intero funzionamento strategico
dell'organizzazione."
Seguì una pausa di meraviglia da parte sua.
"Ma perché non lo hai detto prima?" - Mi chiese cercando di
dominare la sua eccitazione.
"Te l'ho detto adesso."
"Perché non lo hai detto a Growe?"
"E lui cosa c'entra? Anzi, cosa gliene importa? Lo dico a te perché
ho rapporti di intimità con te, non con lui."
"Ma se sai tutto, che cosa sei venuto a fare?"
"A verificare se mio padre aveva ragione. Te l'ho detto."
"E poi?"
"Ci penserò. Ti ho detto anche questo."
Jill rimase in silenzio pensando in accelerazione.
"Ora cosa facciamo?" - Le chiesi.
"Ora telefono a Growe e sentiamo."
"D'accordo. Ah, senti. Vorrei avere anch'io un'arma. Mi daresti la
piccola Beretta?"
"No. Non sono d'accordo. E' pericoloso."
"Al diavolo! Sto rischiando la vita. Mi hanno sparato. Hanno ucciso
e ferito della gente attorno a me, so usare le armi ed ho una buona
mira..."
"Sei un dilettante. - Tagliò corto Jill.
"Cosa vuol dire?"
"Che non basta saper sparare bene. Bisogna anche saper quando e
come sparare. E questo nasce solo dall'esperienza della
professione."
"Ho la testa sulle spalle."
Mi si pose davanti.
"Senti Marco. Se fossi entrato tu in casa tua con un'arma in mano,
avresti sparato alla tua amichetta Elisabeth. Capisci cosa voglio
dire?"
"Sì, lo capisco. Se però avessi avuto un'arma quando le hanno
sparato..."
"Non avresti fatto niente perché io ti avrei buttato a terra
lostesso. Il mio incarico è di proteggerti, non di farti
partecipare ad una sparatoria."
"Jill. Sei una donna sensata, ma io voglio un'arma. Se non me la
dai tu, la chiedo a Growe. Oppure me la vado a comperare. Qui non è
come in Italia. Ed è una condizione sine qua non."
"Dio che palle! Un uomo non può ammettere che una donna sia armata
quando lui non lo è." - La lasciai dire.
Andò a prendere la piccola automatica nella sua Vuitton, la
estrasse e me la diede. Io tolsi il caricatore e guardai nella
canna. Niente colpi né nell'uno né nell'altra. Guardai Jill. E
allora, rassegnata, mi gettò una scatola di calibro 22
potenziato.
"Sii prudente. Non è un giocattolo."
Sorrisi. Mi alzai anch'io e andai all'armadio dove Jill aveva
appeso il mio abito dopo che mi ero addormentato la sera prima
aspettandola. Cercai un posto per metterla, e forse la tasca
interna della giacca era l'ideale perché è una pistola davvero
piccola. Andai in bagno con la giacca, mentre Jill andò al
telefono.
Mi misi la giacca e mi guardai allo specchio. Come 007 non ero
male, ma per quanto piccola l'arma deformava la giacca. Pensai alla
tasca dei pantaloni ma non andava bene; mi avrebbe rotto la fodera.
Vidi il beauty e pensai che quello era il posto più adatto per una
piccola automatica, ma non vedevo come avrei potuto portarmelo in
giro passsando inosservato. Non mi restava che la cartella. Uscii,
andai in salotto, presi la mia borsa nera e cercai posto per la
Beretta. Andava benone. Andai da lei per dirle dove l'avevo messa e
Jill scoppiò a ridere. Mi guardai. Ero nudo, con la giacca e una
cartella da yuppi.
Mi tolsi tutto e mi diressi al bagno per fare la doccia. La sentii
guardarmi il culo mentre me ne andavo, e non era una cattiva
sensazione. Mentre l'acqua mi toglieva pian piano di dosso i dolori
e le forze, pensavo ancora allo stato attuale delle cose.
Ci eravamo spiegati, pensai, ma non avevamo ancora risolto nulla.
Dio sa che cosa aveva fatto incrociare la mia pista con quella
degli... diciamo altri. Sicuramente si trattava di piste diverse,
anche se Levitan e Jill mi avevano messo nell'orecchio una pulce
grossa come un fagiano. Il guaio era che, comunque risolto il mio
problema, quello dell'FBI restava in piedi. E io, almeno
teoricamente, potevo restare negli obiettivi degli altri finché la
loro pista non si fosse esaurita.
Quando uscii, Jill stava concludendo la telefonata.
Guardai l'ora. Erano quasi le 10, e quindi a casa in Italia erano
quasi le 16 di lunedì. Mia moglie doveva essere in ufficio. Non
sapeva cosa era successo a casa in Florida, ed era possibile che
qualcuno del villaggio condominiale di Fort Lauderdale si prendesse
la briga di informarla sui fatti della sera prima. Avrei fatto bene
a dirglielo prima io. Il telefono dell'appartamento doveva essere
sicuramente protetto e quindi potevo dirle tutto, solo che era
occupato da Jill. E in oltre mi venne il dubbio fondato che le
telefonate non fossero solo protette, ma anche registrate.
Dovevo aspettare che Jill finisse la telefonata, quando mi venne in
mente di avere con me il portatile. Questo non era certo protetto,
ma almeno poteva essere chiunque a parlare. Prima di fare il numero
dell'ufficio, mi venne voglia di richiamare l'ultimo numero fatto
dal cellulare, perché l'aveva fatto Jill.
Segnava occupato.
Chiusi la comunicazione. Non sapevo chi fosse e mi ero reso conto
che chiunque avesse risposto non gli avrei potuto chiedere il nome.
Tuttavia misi a memoria il numero che era appraso sul display e mi
avviai al salotto dove Jill doveva aver finito la telefonata.
Mi fermai un attimo quando sentii pronunciare alcune parole che
richiamarono la mia attenzione. Rimasi in ascolto senza palesare la
mia presenza.
"Le ripeto che avevo ragione. Lui sa che si tratta di
un'organizzazione e sa anche quale. Vuole solo la conferma
documentale. No, no. Non vuole parlarne con lei... Oh, al diavolo!
Io sto solo..."
Jill mi vide e chiuse la linea senza salutare. Non provò a negare.
Andammo a sedere in soggiorno su un divano. Mi accorsi di avere le
mani sudate. A tratti ci guardavamo in faccia, a tratti guardavamo
in giro. Poi lei si sentì in grado di parlare.
"Marco. Non..."
"Non è come io penso, vero?"
"Cristo, dammi un po' di fiducia, ti prego!"
"Certo. Parla pure."
"Non ho scopato per farti parlare."
"Ma brava. E come fai a pensare che sia questo il mio
problema?"
"L'ho fatto perché mi andava di farlo. Dio! Avrai capito anche tu
che non fingevo!"
"Nessuno è mai in grado di capire se una donna finge o no."
"Ma era così importante che io fossi spontanea?"
Poverina, doveva proprio essere messa male per rispondere così.
"Dunque tutto è nato solo per conoscere quello che ero venuto a
fare. Che poi non è nulla. Sono andato a letto con una
professionista del cazzo solo per consentire al Governo americano
di sapere se potevo mettere in crisi la nuova presidenza. Ce n'è
abbastanza per vantarsene con gli amici al bar. Che comunque non mi
crederebbero."
Mi si avvicinò. Non mossi un dito e mi mise una mano sul collo.
"E' vero che tutto è accaduto in circostanze così strane... Ma io
non credevo di venirne a sapere di più da te. Ora, mi capisci che
appena hai detto che devi solo trovare conferma di cose che conosci
già, ho dovuto dirlo ai miei. Abbiamo i giorni contati. Cristo,
potevamo tagliare le curve! Anche Larsen..."
Le venne a mancare la parola, e venne un nodo in gola anche a
me.
"Vedi." - Cercai di dirle con tono fermo. - "Qui finisce la nostra
avventura. E d'altronde tu hai finito la tua missione. Sto talmente
male che verrebbe da pensare che ti ho voluto bene."
Provò tirare a sè il mio capo, ma si fermò all'intenzione.
"Cosa facciamo adesso?" - Tornò professionale. - "Tra un po' arriva
Growe con il mio capo".
"Cosa facciamo? Tu farai carriera. Una donna intelligente, bella
anche se senza tette, colta, abile, determinata e senza scrupoli, è
canditata ad una grande carriera. Dirò al tuo capo qual'è stato il
tuo colpo migliore."
Uscì dalla stanza ed io andai al telefono dell'appartamento.
Chiamai il mio ufficio.
"Pronto? Sono io. Posso parlare con mia moglie? Ma sì, sì, va tutto
bene. Pronto? Ciao cara."
"Oh, chi non muore si risente!"
"Oh, al diavolo anche tu! La maggior parte della gente non telefona
mai alla propria famiglia quando è in viaggio."
"C'è qualcosa che non va?"
"Sì. No. Volevo dirti... Che ti amo."
Silenzio dall'altra parte del filo.
"Pronto? Ci sei ancora?" - Le chiesi.
"Cosa hai detto?"
"Che ti amo."
"Me lo hai già detto venti anni fa."
"Beh, ogni tanto vale la pena rinfrescarlo."
"Marco?"
"Sì?"
"Mi hai tradito, vero?"
Silenzio.
"E ti senti rimordere la coscienza."
"Non dire puttanate."
"Ho capito. Ti ha fregato."
"Chi?"
"La furbetta che ti sei fatto."
"Gina, per favore! Sei fuori come sempre. Stammi a sentire.
Probabilmente questa sera finisco il lavoro e domani sera riparto
per casa."
"Tutto a posto a Fort Lauderdale?"
"No. Ci sono stati grossi problemi. Ti spiegherò. Non parlare con
nessuno."
"Dove sei adesso?"
"Non lo so. Sono ospite del Governo."
"Sei in carcere?" - Una battuta, ma non troppo.
"Quasi." - Cercai di sorridere.
"Come ti posso trovare?"
"Al nostro portatile. Lo ho portato con me da casa."
"Amore..."
"Sì, Gina?
"Anch'io ti amo."
"Me lo hai detto 20 anni fa."
"Sì, ma lo penso da 21."
I due vennero a mezzogiorno. Con Growe c'era anche Mr. Jeff Flit,
che mi fu presentato come dirigente della NSA, capo dell'operazione
in corso e quindi anche di Jill.
Flit era un nero sui 50 anni. Anche lui molto alto e largo. Non me
ne intendo di neri, ma probabilmente doveva essere bello. Era
vestito tanto normale che nessuno avrebbe capito quale fosse il suo
lavoro. Aveva un vocione da cantante afro. Pensai al tassista che
mi aveva portato al Carlton, che ce l'aveva con i neri di
Washington. Quello che mi stava davanti aveva un cervello di
qualche chilometro al di sopra della maggior parte di bianchi che
avevo conosciuto in quei giorni.
Ci mettemmo in salotto. Io in poltrona, nel divano di fronte
stavano i due, Jill era in piedi dietro di loro. Ma se avevo
imparato a conoscerla, avrebbe cambiato posto più volte senza farsi
notare, a seconda delle espressioni che voleva studiare. Questa
analisi di Jill mi aveva reso inquieto.
"Mr. Barbini." - Disse Jeff Flit in modo importante ma non solenne.
- "Deve sapere che per caso lei si è trovato a percorrere una
stessa traccia che stavamo seguendo noi della NSA, l'FBI, e...
diciamo altri ancora. Andando per ordine, se ho capito bene lei è
giunto in USA per svolgere il suo lavoro di routine, e per
verificare un'ipotesi formulata da suo padre ben 50 anni fa."
"No. Mio padre ha ricostruito tutto in 40 anni di lavoro, nella
veste di umile ricercatore storico di provincia."
Jill ora guardava dalla finestra.
"L'FBI" - proseguì Flit dopo un attimo di riflessione - "aveva
individuato una persona dell'entourage del nuovo Presidente sulla
cui famiglia pareva fosse necessario approfondire le indagini.
Quindi ne aveva informato lo stesso Presidente neo-eletto, e il
Presidente aveva informato noi per motivi che fanno parte della
meccanica giurisdizionale che regola i servizi nel nostro Paese in
questo campo.
"Il nostro Servizio ha presto inquadrato la situazione, giungendo
alla convinzione che si trattava di una soffiata fatta ad-hoc per
confondere le acque nel particolare momento in cui vi sono due
Presidenti. In qualche modo stavano tentando di depistare, di
costruire e di cancellare le tracce che avremmo potuto seguire.
"Mi sta seguendo, Mr. Barbini? Tu, Jill, pensi che abbia capito
tutto, o è meglio che gli traduci qualcosa in italiano?"
"No, Capo." - Disse Jill soddisfatta venendomi alle spalle. - "Il
dottor Marco Barbini conosce bene lingua e linguaggio."
Non riuscii ad interpretare la risposta di Jill.
"Bene, Dottor Barbini. Allora proseguo. La sua presenza è stata
immediatamente ingombrante."
"La mia presenza è stata comunque la democratica volontà di un
cittadino del Mondo Occidentale." - Interruppi secco ma non
seccato.
"D'accordo. Ma la prego di cercare di capire ciò che intendo dire."
Growe, che ormai mi conosceva, predispose la bocca dello stomaco
per facilitare un ghigno.
"Infatti, comprendo lingua e linguaggio." - Dissi riferendomi a
Jill che ora stava dietro di me.
"OK." - Proseguì Flit. - "Lei, nel mezzo delle indagini, salta
fuori per portare avanti personalmente la propria inchiesta
privata, e riesce ad infilarsi talmente bene da sembrare ad
entrambe le parti il personaggio chiave."
"Entrambi chi?" - Interruppi. Ma non rispose.
"Noi stavamo compiendo un monitoraggio attorno a questa persona,
quando c'è stato uno scambio di identità con lei."
Lo fermai.
"Io assomiglierei a costui? Potevate anche dirmelo!"
"Lei non assomiglia a nessuno. Per favore, si limiti ad ascoltare
per un momento, poi dirà quello che vuole. OK?"
"OK."
"Questa persona non la conoscevamo noi come non la conoscevano
loro. Lei però era uno studioso che con le sue ricerche aveva
attirato le attenzioni di tutti presso il Ministero degli Esteri,
degli Interni e della Difesa del suo Paese. Stava raccogliendo
informazioni del tutto vicine, se non identiche, a quelle che
stavamo raccogliendo noi, l'FBI, i Servizi Italiani, la Mafia e...
tutti quelli che gli vanno dietro." - Aveva detto l'ultima frase
alzando le braccia e lasciandole cadere come se tutto il mio essere
dilettante lo avesse affaticato oltre misura.
Lo fermai un attimo.
"Tutti i Servizi Italiani, ha detto?" - Gli chiesi, mentre Jill si
spostava per osservarmi meglio.
"No." - Stavolta fu Growe. - "La DIGOS ritenne che non vi fosse
nulla di rilevante nella sua ricerca. Dicono di conoscerla
abbastanza bene da affermare che non ci sono problemi."
Ma i problemi, ahimè, erano altri e Jill li conosceva bene.
"Teme per la sua famiglia." - Disse riferendosi al SISMI che la
stava proteggendo.
I due non risposero. Bastardi.
"Da Roma a casa sua, e da casa sua a Milano, è stato pedinato da un
sacco di gente." - Disse con fare paziente Growe. - "Quando ci
siamo accorti di non essere i soli, abbiamo preso l'occasione al
volo."
"E io, quindi, sono stato usato da esca, come mi aveva detto la
stessa sera che ero arrivato. Complimenti! Ci siamo giocati un
ammiraglio ed ho quasi perso una mia cara amica."
Non intervennero.
"Però," - conclusi - "già che c'eravate, mi avete anche voluto
spiare."
"No." - Disse Flit. - "Dovevamo proteggerla in una situazione che,
mi creda dottore, non poteva davvero affrontare da solo, neanche da
asettico ricercatore, come dice lei. Comprenderà inoltre che
dovevamo pur sapere che cosa stava cercando anche lei, dato che si
trattava di piste quantomeno parallele se non addirittura
incrociate. Non le pare?"
"Bastava chiedermelo."
"Abbiamo preferito farlo fare a Miss Moore. Così eravamo sicuri
dell'attendibilità dell'informazione."
Jill comprese che mi stavano girando le palle.
"E quindi avete sfruttato la mia debolezza per le donne."
"Jill sa fare il suo lavoro senza dover fare cose di cui abbia da
vergognarsi." - Jill guardava fuori dalla finestra; le palle
giravano anche a lei. - "Prese il ruolo di sua moglie, che sappiamo
lavora con lei. E così, se non altro per metterla in condizione di
giocare il suo ruolo, lei ha dovuto informarla."
"E adesso che conoscete la fine della storia?"
"Eh no. La fine della storia non la conosce nessuno perché non è
finita. Noi sappiamo solo che suo padre aveva ricostruito lo stato
delle cose. Deve comunicarci la sua teoria, poi voltiamo
pagina."
Rimasi sorpreso. Non che fosse importante, ma Jill non era scesa
nei dettagli con loro. E non si era girata per registrare la mia
reazione.
"Quindi," - dissi soddisfatto - "in buona sostanza non sapete
ancora cosa stia cercando."
"Ma non è un problema, dottor Barbini. Lo sapremo questo
pomeriggio." - Disse con noncuranza Jeff Flit. - "Le abbiamo fatto
ottenere la sospensione del Segreto di Stato per quanto riguarda la
missione su Trento N. 125/9 43 - BG del 2 settembre 1943. Sempre
che lei voglia dirci tutto, naturalmente."
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