«I due presidenti» – Ottavo capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE
PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre, che mi ha
insegnato ad amare, |
Capitolo 8.
La mattina della domenica mi svegliai alle sei e rimasi a letto a
pensare.
Guardai Jill nella luce dell'alba subtropicale della Florida. Stava
dormendo vicino a me e volevo passare in rassegna le incredibili
circostanze che ci avevano portato ad essere lì. Pensai alle
ermetiche chiacchierate di Growe, alla dubbia necessità di una
scorta, all'attentato non riuscito ed ora all'angosciante
assassinio dell'Ammiraglio Larsen. Sembrava tutto un brutto sogno,
e come tutti i sogni avrebbe dovuto andarsene con la nascita del
giorno. La presenza di Jill nel mio letto mi faceva sentire vivo,
ma dimostrava anche che non si trattava di fantasie. Chi diavolo
era lei in realtà? Perché l'avevano messa al mio fianco? O,
semplicemente, chi l'aveva messa al mio fianco? Avrei potuto essere
ormai certo che il suo incarico fosse quello di sorvegliarmi e
scoprire chissà che cosa, se non fosse capitato l'assassinio del
capo dell'Ufficio Storico che dava proprio la sensazione che in
qualche modo c'entrasse con me.
La guardavo respirare nel sonno, come per cercare risposte dai suoi
lienamenti. Ma l'unico segnale che mi giungeva da lei era di
carattere molto naturale. La stavo desiderando.
Riuscii a pensare che mia moglie mi avrebbe fatto un culo così, se
avesse saputo che stavo fornicando, in casa sua e per giunta con
quella che per sua stessa ammissione poteva essere definita una
spia. Ma la paglia vicino al fuoco... Mi accorsi di accarezzare
Jill dolcemente sotto le lenzuola e il pensiero di mia moglie si
dileguò con discrezione. E così la possibilità di vedere le cose
con una certa obiettività era andata a puttane ancora una volta.
Onore al sesso, alla faccia di tutti, delle paure e dei
fantasmi.
Per preparare la colazione, dovetti telefonare a Luigi. Gli chiesi
se aveva qualcosa da portarmi (Jill non mi avrebbe lasciato uscire
da solo), sicché poco dopo era venuta sua moglie Anita con
provviste per una mezza dozzina di persone. Jill riuscì a farla
entrare senza insospettirla con le sue precauzioni. Anita volle
preparare personalmente uova e prosciutto. Preparò una grande
quantità di caffè all'americana, scaldò il pane e si offrì di
restare finché non finivamo. Naturalmente le chiesi di lasciarci
soli; lei capì, ed io le diedi il Kingfish del giorno prima.
Soddisfatta, disse che sarebbe venuta a sistemare e a prendere le
sue cose quando ce ne fossimo andati.
Stavamo uscendo in giardino per sentire il chiasso della foresta
che avvolge il villaggio nelle prime ore del mattino, quando suonò
il telefono. Dovetti rientrare per rispondere. Jill mi seguì. Era
Levitan.
"Mr. Barbini? Sono Levitan."
"Sono Barbini Comandante. Come sta?"
"Un disastro. So che è stato messo al corrente di quanto è
successo."
"Infatti. E' una cosa terribile. Si sa qualcosa di più?"
"Senta." - Disse cercando di mantenere il suo status di comandante
pur volendomi dare confidenza. - "Non vorrei sembrare insensibile o
pragmatico, ma vorrei chiederle di giocare lo stesso a golf con me
oggi." - Fece una piccola pausa, quindi disse a bassa voce:
-"Vorrei parlare con lei."
"Ma certo." - Dissi ansioso. - "Volentieri."
"Avevamo il tee-time alle undici, all'Indian Creek. Sa dov'è?"
"Sì, a North Miami Beach. Uscita per Bal Harbour, provenendo dalla
95. Una mezz'oretta da qui."
"Troviamoci alle dieci e trenta alla Clubhouse."
"Alle dieci e trenta. Va bene."
"A proposito, sua moglie gioca a golf?"
"Sì naturalmente." - Dissi un po' frettolosamente. Poi mi ricordai
che si riferiva a Jill e mi corressi. - "Cioè no. Voglio dire che
non so se ne ha voglia. Ma verrà lo stesso."
"Io porterò la mia. Alla peggio giocheremo in tre."
Chiusi la comunicazione domandandomi se qualcuno stava ascoltando
le mie telefonate. Uscii di nuovo con Jill in giardino.
Le spiegai della partita a golf, come aveva più o meno già capito
ascoltandomi. Guardai l'ora: le sette e trenta.
"Vieni." - Dissi a Jill. E me la portai alla Jacuzzi. -
"Dentro!"
Uscì dal pigiama e si infilò in acqua. Aveva lasciato a portata di
mano la sua Beretta. Ci lasciammo andare un po' alla volta nelle
bollicine sfruttando quel senso di leggerezza che danno, ma non
riuscimmo a rilassarci.
"A cosa pensi?" - Mi chiese Jill per farmi parlare.
"Mi viene in mente un altro modo di dire trentino."
"E' simpatico come l'altro?"
"Beh, c'entra anche qui il culo."
"Sentiamo."
"Méter el cul en le peàde. Ho messo il culo nelle pedate, mia cara
Jill."
Dopo l'idromassaggio chiesi a Jill se voleva mettersi qualcosa di
mia moglie adatto al golf, ma mi aveva risposto che la sua roba
andava benone, grazie. Quando uscimmo, lei era vestita con un
pantalone di cotone beige e una polo verde. Era vestita da golf,
versione estiva, all'italiana. Avevano dunque previsto qualcosa del
genere già quando le avevano fatto preparare la valigia.
Giungemmo all'Indian Creek con un po' di ritardo.
Levitan aveva già fatto le registrazioni alla segreteria del
circolo. Aveva detto al segretario che Larsen, semplicemente, non
sarebbe venuto. Era vestito come un clown, secondo una moda più
anglosassone che americana. Mi presentò a sua moglie, signora Ruth,
una donna di una certa età che a vederla l'avresti tranquillamente
scambiata per un agente del KGB in pensione. Creava l'atmosfera
giusta.
"La conosco finalmente dottor Barbini." - Suo marito doveva averle
parlato di me. Si girò verso Jill. - "Che carina e che giovane che
è sua moglie!" - Disse guardandola gioviale, del tutto in contrasto
con il suo aspetto severo.
L'altoparlante ci chiamò alla partenza, facendo anche il nome del
povero Larsen.
"Poverino!" - Disse la moglie. - "Ha sentito che disgrazia?"
"Purtroppo."
"Andiamo." - Disse Levitan togliendosi dalla bocca un sigaro che
non gli avevo ancora notato. E lo seguimmo al Tee della buca Uno,
un facile par 4 come si usa nei campi migliori per favorire
l'entrata morbida nel gioco.
Ci diedero due golf-cart, che all'Indian Creek sono obbligatorie.
Lui si sistemò sulla prima con la moglie, io e Jill sull'altra.
Voleva partire lui per primo da buon padrone di casa, e infilò il
Tee nell'erba prima che io potessi precederlo. Vi pose sopra una
pallina dichiarandomi i riferimenti per riconoscerla durante il
gioco, e con un orribile swing riuscì a cacciarla a quasi 200 yarde
di distanza.
"Gran palla!" - Gridammo in vari modi, come si usa mentire nel
golf. Lui tornò all'automobilina facendomi segno col pollice che
ora toccava a me. Come fanno gli Americani, lui abbandonò il Tee
sull'erba ed io, come fanno gli europei, lo raccolsi per usarlo.
"Tee trovato, tee fortunato", come si dice.
Contrariamente a lui io feci uno swing perfetto, ma la pallina
rimase più corta della sua e sulla sinistra. L'avevo un po'
agganciata. Mentre andava a portare sua moglie al battitore delle
donne ed io rimettevo la mazza nella sacca, mi venne un dubbio.
"Ma tu," - dissi piano a Jill, - "non è che magari giochi a golf
anche tu?"
"E me lo chiedi adesso, stronzo?"
"Non hai risposto." - Le dissi in modo che non mi sentisse.
La signora Ruth fece uno swing ancora più brutto del marito; fece
un rattone e la pallina non si allontanò di molto.
Non fece una piega. Andò a giocare il secondo colpo, ma fu ancora
pesante e con decorticazione della cotica erbosa. Stavolta tirò su
la pallina.
"Giocherò tra qualche buca." - Disse. - "Sono troppo agitata."
"Posso?" - Chiese Jill sfilando il driver dalla sacca della
signora.
"Ma certo!" - Rispose allegra Ruth. - "Ci faccia vedere lei."
"Attenta." - Le dissi. - "Non hai le scarpe chiodate."
Mi ignorò e restammo a guardarla entrambi incuriositi. Fece un tiro
da professionista.
"Wow!" - Levitan si tirò in dietro il berretto da golf. - "E' con
lei che dovevo giocare."
"Eravate già al completo quando vi siete messi d'accordo l'altro
ieri." Disse raccogliendo il Tee come avrebbe fatto un'europea.
Io restai a bocca aperta e fu l'unica cosa che mi riuscì di
fare.
Andai a tirare il secondo colpo, deciso di far bella figura
anch'io; ma avendo voluto contrastare il gancio iniziale, impressi
un po' di taglio alla pallina che si portò sulla destra del
fairway, nel rough.
Tirò anche Levitan che col suo swing spaventoso riuscì invece a
finire a bordo green.
Al diavolo! Pensai sportivamente.
Jill andò a raccogliere la sua pallina. Ora che si era presentata
non avrebbe più giocato.
Cercai di andare al green col terzo colpo, ma volendo spingere
troppo mi riuscì un flop e la pallina si fermò prima del green.
"Erba maiala!" - Urlai irato nero in italiano. Stress? E invece, mi
ero proprio scaricato la tensione che avevo accumulato da quando
ero partito per l'Indian Creek. Mi portai avanti a piedi per fare
il quarto colpo col pitch. Tirai un po' frettolosamente prendendola
in testa, ma mi riuscì di colpire la bandiera. Culo, ma tutti mi
fecero i soliti ipocriti complimenti. Tolsi la bandiera e chiusi
con un solo putt: Bogey.
Lui aveva fatto il terzo colpo sul green col putt sbordando la
buca.
"Data." - Chiuse in par.
La buca successiva era un par cinque.
"Giocate voi." - Rinunciò la signora Ruth. - "Io riprenderò più
avanti." - Andò a sedersi con Jill, mentre io e suo marito ci
portavamo al battitore della Due. I Levitan dovevano essersi messi
d'accordo per farci star soli. Infatti, dopo i nostri driver Ruth
partì portando con sè Jill. Io salii con Gregory, che schizzò
avanti come una scheggia. Ora potevamo parlare in pace.
"Non voglio che mia moglie senta quello che le sto per dire." - Mi
disse senza cambiare l'espressione di giocatore sicuro e superbo. -
"Non voglio che si impressioni. Crede che Larsen sia morto
d'infarto, il che poi non è che la faccia star meglio, sa, aveva la
nostra età..."
Si assicurò che le due donne proseguissero per la stradina di
cemento mentre noi andavamo alle nostre palline dall'altra parte
del fairway. Cercò di parlarmi in fretta atteggiando le labbra a
sorriso in modo che nessuno potesse capire che stavamo parlando di
cose serie.
"L'altra sera gli avevo mandato via fax i suoi elaborati, e ieri
mattina lo sentii per telefono, due volte." - Mi disse parlando del
povero ammiraglio Larsen. - "Gli telefonai una prima volta alle 9.
Fu subito d'accordo nel lasciarle cercare ciò che voleva; anche lui
è... scusi, anche lui era uno studioso, un ricercatore. Come me e
lei, voglio dire."
"A dir la verità, io non sono un ricercatore."
"Mi disse che per principio aiuta sempre i ricercatori." -
Messaggio ricevuto. - "Aveva capito al volo cosa lei sta
cercando."
"Ah. E glielo ha detto?"
"No, e a questo punto me ne guardo bene di volerlo sapere. Mi aveva
assicurato però che lei avrebbe potuto scatenare un vespaio, anche
a distanza di 50 anni. Non siamo ancora nella Storia, aveva detto,
e non vi saremo finché uno solo dei protagonisti di allora sarà
vivo."
"Mi scusi, ma sta pensando che ci sia una relazione tra la mia
ricerca e la sua morte?"
"E' quello che le sto dicendo, amico mio."
"Ma guardi che sto cercando degli inutili e sterili dati militari
per ricostruire un pezzo di storia, di cronaca o come la vuole
chiamare, che riguarda la mia sperduta regione lontana e che fra
l'altro fu abbastanza marginale al conflitto. Come può
pensare..."
"Ah sì? E perché allora s'interessa tanto di specifiche azioni del
R.A.L., Raggruppamento Aereo Leggero?"
"R.A.L.? Ma no, e chi ha mai chiesto..."
"Lei, mio caro dottore, e lo sa benissimo. Alcune delle azioni di
cui lei si sta interessando, provenivano dall'aeroporto di
Bogliaco, sul lago di Garda."
"Ma guardi che Bogliaco non ha l'aeroporto. E' sulla costa
occidentale del lago. Non ci starebbe neanche un eliporto."
"Non mi prenda in giro, dottor Barbini. Lo sa meglio di me che il
campo da golf di Bogliaco, durante la guerra mondiale, fu
utilizzato come aeroporto."
Si avvicinò l'auto delle due donne.
"Forza, giocate, avete gente dietro." - Disse Ruth, mentre Jill ci
guardava interrogativa.
Scesi dal cart per prendere dalla sacca il ferro 5 e, addressandomi
al colpo, gli chiesi che cosa mi consigliava di fare.
"Ci sono acqua sulla destra e alberi sulla sinistra."
"No, diavolo! Intendo dire cosa mi consiglia di fare."
"Meglio che stia corto, usi un ferro 7."
"Ma porco bellino! Mi sto riferendo alla mia ricerca e non al
golf!"
Mi lasciò fare il colpo e poi mi disse ad alta voce: - "Deve
trovarsi un altro Sponsor."
"Lo avevo capito, è morto povero diavolo..."
"Mi riferivo a me. Mi chiamo fuori."
Le donne si allontanarono. Lasciai che facesse il colpo anche lui.
Poi, mentre tornava all'auto a passo veloce, gli chiesi cosa cristo
pensava che stesse accadendo.
Saltò sul cart e schizzò via quasi senza aspettarmi. Fermò l'auto e
colpì la pallina alla meno peggio. Quindi, mentre io mi portavo
alla mia, riprese a parlare.
"Mi ascolti bene, caro Barbini." - Fece una pausa per dar peso a
ciò che stava per dire. - "Larsen mi richiamò alle 11 per dirmi...
Insomma, mi disse che lei poteva essere in pericolo perché c'era
più di uno sulla sua strada. Gli chiesi qualche ulteriore
spiegazione, ma disse che ne avrebbe parlato qui all'Indian
Creek."
"E lei non ha insistito?"
"Per telefono? No. Lo conosco. Ne avremmo parlato solo a Miami, a
voce come voleva lui."
Tirai un colpo alla pallina quasi sopra pensiero e feci uno shank.
Acqua.
"Glie lo avevo detto che c'è acqua sulla destra. Sarà meglio che si
concentri un po' perché sta perdendo già due dollari."
"Stiamo giocando a soldi?" - Ero completamente allibito.
"Lo avevamo concordato l'altro ieri, non ricorda?"
"Ossignore!"
"Se davvero vuole il mio consiglio, lasci perdere tutto. Si
diverta, torni a casa, faccia quello che vuole, ma non vada a
rivangare cose che ormai sono passate, o che stanno per passare, o
che comunque passeranno anche se lei andrà a riesumarle. Si ricordi
una delle Leggi di Murphy: «Quando si apre una scatola di vermi,
per rimetterli dentro ce ne vuole una più grande»."
Arrivati all'ostacolo d'acqua, droppai una nuova pallina. Ma
sbagliai di nuovo il colpo e finì in acqua anche questa.
"Basta," - dissi. - "Non riesco a concentrarmi. Mi ritiro."
"E fa bene. Vedrà come giocherà meglio a golf dopo."
"Ma cosa ha capito? Non lascio la ricerca, è a questo fuck di golf
che voglio smettere ora. Anzi, me lo fa un favore?" - Gli chiesi
secco.
"Dica."
"Fuck-out." - E smisi di giocare.
Sulla strada del ritorno avevo raccontato il dialogo a Jill per
filo e per segno.
"E lui come ha reagito?"
"Mi ha detto che non dovevo prendermela, ma che se questo mi faceva
rilassare, potevo imprecare quato volevo."
"Ma che fuck-out d'Egitto! Ti ho chiesto come è andato avanti?"
"Che diamine! Lo hai visto anche tu, no? Deve essere tanto abituato
a fregare a golf che se fa buca in uno, dichiara zero."
"Ma sei rincoglionito anche tu? Voglio sapere come ha reagito
quando gli hai chiesto cosa c'entravano Bogliaco e il R.A.L.,
Cristo!"
"Non ho chiesto nulla di più. Ammesso che lui ne sapesse qualcosa
di più, non me lo avrebbe mai detto."
All'ingresso del mio villaggio chiesi alla guardia se c'erano
novità. Nessuna. Tanto meglio. Posteggiato in garage, Jill tolse
l'arma dalla sua borsetta e mi accorsi che non era più la piccola
22, ma una Beretta 92/F calibro 9 lungo; ne ho una anch'io in
Italia. Nelle sue mani sembrava più grande di lei ma sapeva
tenerla.
Mi venne vicino col cannone puntato verso l'alto facendomi cenno di
non fare niente. C'era qualcosa che non andava.
"Sta' qui." - Bisbigliò. Impietrito, la guardai entrare in
casa.
Ci fu solo silenzio per qualche lungo minuto. Stava per passarmi la
tensione, quando sentii qualche grido di donna soffocato e il
rumore di una colluttazione. Completamente inesperto di queste
situazioni, mi venne l'angoscia e mi dispiacque di non essere
armato anch'io. Forse aveva in borsetta anche la 22 e avrebbe fatto
bene a passarla a me.
"Marco!" - Urlò finalmente Jill dal soggiorno. - "Marco vieni. E'
tutto a posto."
Tutto? Corsi dentro con il cuore in gola, e vidi Jill seduta sulla
schiena di una giovane donna stesa pancia sotto. Non la vedevo in
faccia. Aveva un vestito leggero, forse di seta, e una sola scarpa
al piede destro con tacco lungo e sottile. Jill la teneva per i
polsi.
"Chi è?" - Chiesi cercando di nascondere l'agitazione.
"E' una dilettante. Quasi probabilmente è un'amica tua."
"Si è fatta male? Da qui non la riconosco..."
"La riconosci adesso?" - Jill le aveva tirato su la gonna fino a
scoprirla. Aveva uno body nero lucido, sgambato, col pizzo che
scompariva tra le natiche che guizzavano sotto la pressione di
Jill. Aveva una pelle fortemente abbronzata e ovviamente era senza
calze.
La poverina ebbe un fremito e la situazione mi comunicò un attimo
di erotismo perverso, bellissima come sempre. Mi sentii in colpa
per averla apprezzata in quello stato. Era Liz.
"La riconosci o devo toglierle anche le mutandine?" - Insisté
Jill.
"Ma se ha un body... Cosa mi fai dire, Cristo, è Liz."
E Jill si alzò tirando su la giovane tenendola con le mani dietro
la schiena. Poi le fece male quanto bastava per farle alzare la
testa con un gemito mal soffocato.
"La riconosci, o devo chiamare la polizia?" - Ma Jill aveva capito
benone chi era e cosa voleva.
"Lasciala ti prego. E' figlia dei vicini Rosenberg. E' Elisabeth."
- Mi avvicinai a lei, ma Jill mi fermò.
"Prima deve dirci cosa faceva qui senza il tuo permesso."
"Ce l'ha il mio permesso." - Mentii. - "Lei può venire quando vuole
in casa mia." - Avevo effettivamente dato le chiavi di casa ai
vicini Rosemberg, e lei probabilmente voleva farmi una sorpresa.
C'era stato un cenno di disponibilità da parte sua l'ultima volta e
doveva aver saputo che ero arrivato senza moglie. Potevano dirle
anche che non ero solo.
"Chi... è... questa stronza?" - Mi chiese Liz bloccata da Jill.
Mi avvicinai cercando di sorridere, ma non mi riuscì; ero piuttosto
imbarazzato.
"Jill è la mia... guardia del corpo."
"E lasciami!" - Si contorse.
Squillò il telefono. Andai automaticamente a rispondere. Era mia
moglie. Guardai l'ora: in Italia erano quasi le 11 di notte. I
problemi non vengono mai da soli.
"Tutto bene tesoro? Perché non mi hai telefonato?"
"Te lo spiegherò domani. Ora ho un'emergenza. Va tutto bene,
comunque."
"Sicuro che sia tutto a posto, con la voce che ti ritrovi?"
"Sì, sì. Ti spiegherò domani. Bacioni a tutti. 'Notte."
Una situazione di merda.
Tornai dalle donne. Liz stava ferma impalata per non sentire male.
- "Di' a questo fottuto gorilla di mollarmi, cazzo!"
"Jill, lasciala per favore."
Jill, controvoglia, la lasciò andare piano. Elisabeth si sfregò i
polsi poi si girò di scatto per dare uno sberlone a Jill, che le
fermò la mano. Allora provò a sferrarle un calcio e Jill le prese
la gamba sollevata e la tenne così.
"Vuoi star ferma, o devo rimetterti a terra?"
"Mollami, stronza!"
Jill la mollò e l'altra cadde a terra. Andai a tirala su. Era
offesa e dolorante. L'accompagnai in salotto e la feci sedere.
Presi una bottiglia di whisky e ne versai tre bicchierini. Jill
però era sparita a ispezionare la casa. Tornò poco dopo. Elisabeth
aveva vuotato il suo bicchiere ed era stravolta. Aveva voglia di
piangere.
"E' la tua amichetta. Vero?" - Disse Jill. - "O è tua nipote?"
"Sono fatti nostri!" - Urlò Liz, poi si rivolse a me. - "Cos'è la
storia della nipote?"
"Niente." - Sbuffai. Un po' alla volta mi stavo riprendendo.
"Sono di troppo?" - Chiese Jill.
"Oh brava, il gorilla l'ha capito." - Disse Liz. -"Vattene di là e
lasciaci in pace."
"Liz... Jill non può andarsene."
Liz, furiosa, si alzò e venne verso di me. - "Non ti starai mica
facendo questa baldracca, vero?" - Le lanciò un'occhiata per
valutarne l'aspetto. - "Non è il tuo tipo. Non ha tette,"
"Questo è vero." - Annuii sorridendo per sdrammatizzare.
"Non ha culo..."
"E qui ti sbagli."
"Dio mio, glielo hai già..."
Guardai Jill perché lasciasse correre. Elisabeth se ne accorse e
capì quello che voleva.
"Allora è vero che... che... Sei un maiale!" - Quindi scoppiò a
piangere. Scaricò la tensione. Jill rimase indifferente, mentre io
avrei dovuto consolarla.
"Elisabeth, piccola, lo sai che io non sono e non posso essere il
tuo uomo. Sono sposato, sono felice con la mia famiglia..."
"Non ti ho chiesto di entrare nella tua famiglia." - Disse Liz
riprendendo lentamente controllo di sè e dimostrando una imprevista
maturità. - "E neanche di essere in pole-position fra le tue,
diciamo, nipoti? Ma almeno in pussy-pole, a sorpresa in casa
tua..."
"Mi trovo in una situazione estremamente particolare, Liz. Forse un
giorno ti potrò dire qualcosa, ma ora ho qualche problema, mi
capisci?" - Indicai Jill per spiegare che ero impegnato con
qualcosa di molto serio, dato che avevo una guardia del corpo, ma
Liz volle capire invece che io e Jill desideravamo stare soli.
Mi abbracciò con le lacrime agli occhi, facendo in modo che il mio
corpo sentisse la generosità del suo seno a confronto di quello di
Jill. Mi porse le labbra con gli occhi chiusi per farsi baciare
prima di andare via. Le avvicinai le mie e lei mi travolse in un
bacio appassionato mettendomi un ginocchio tra le gambe. Mi lasciai
andare un po' per cortesia e un po' per piacere, finché Jill non
intervenne.
"Se volete fare una scopata, che sia almeno una sveltina, perché io
non me ne vado. Abbiamo un sacco di cose da fare."
Liz mi guardò da vicino negli occhi. - "Quando vai via?"
"Domattina."
"Quando torni?"
"Non lo so, spero presto. Ho visto che vieni a saperlo
subito..."
Liz indicò l'altra donna. "La chiavi, stasera?" - Guardai Jill che
alzò le braccia e le lasciò cadere sui fianchi.
"Ciao Liz." - Feci, invitandola ad andare.
"Ciao Marco." - Fece Liz, lasciandosi accompagnare alla porta.
"Addio, Liz." - Fece Jill in tono asciutto.
"Ciao, Cita. Te l'ha detto Marco che gli piacciono le tette
grosse?"
La accompagnai alla porta. Mi rifilò un paio di paroline ancora, mi
abbracciò stretto stretto e scappò fuori.
Fu fermata da un paio di colpi esplosi improvvisamente nel buio.
Rimasi scioccato ma non riuscii a fare altro che cadere perterra
sotto il corpo di Jill che già mi aveva tirato via dalla porta.
Saltò in piedi, spense la luce, chiuse la porta con un calcio, mi
fece strisciare sulla pancia fino alla parete e mi si pose a difesa
da eventuali altri colpi. Prese la sua radiolina e urlò qualche
numero con qualche parola di emergenza, poi la rimise via. Mi
schiacciava alla parete.
"Lasciami Jill." - Dissi ritrovando la mia lucidità. - "Liz è
fuori. Ha bisogno di aiuto."
"Io ho in consegna te." - Disse, ma stava solo cercando di pensare
velocemente il da farsi.
"Dov'è la Beretta piccola?" - Chiesi.
"Nella mia valigia. Non muoverti. Tra un po' non saremo più
soli."
"Io esco."
"No." - Breve riflessione. - "Esco io." - Non mi diede il tempo di
controbattere ed uscì di corsa buttandosi sull'aiola di sinistra
con l'arma sempre puntata alla ricerca di qualcosa. Non accadde
nulla. Si mise in ginocchio, guardò attentamente intorno, ma vide
che stavano avvicinandosi le autoelettriche della Sorveglianza del
villaggio.
"Sta' dentro." - Mi urlò, anticipandomi mentre uscivo, cercando di
mettersi in modo da proteggermi in caso di altri pericoli.
Vidi Liz. Era in terra in posizione innaturale, morta. Mi venne un
groppo alla gola. Avevo voglia di urlare e di vomitare.
"Una creatura, morta perché giocava a fare la troia!"
"Signorina butti quell'arma!" - Urlò uno della Sorveglianza.
"Sicurezza Nazionale! Venite qui e mettetevi a disposizione." -
Disse invece Jill. - "Comando io ora." - Il tono era abbastanza
credibile da farsi obbedire immediatamente.
"Chi è stato?" - Chiese il vigilante.
"Forza. Mettetevi in posizione di difesa attorno a noi." - Quelli
obbedirono senza che lei facesse vedere distintivi di sorta. Corse
da Elisabeth e io la seguii anche se non sapevo cosa fare.
"E' viva! E' viva, stronzo! Presto, vieni qui, cazzo!"
Corsi lì con le lacrime agli occhi. Jill le tenne il capo di
fianco.
"Stendile le gambe. Soffoca!"
"Dove è stata colpita?"
"Né alla testa né al cuore. Ma non è abbastanza per dire se le sia
andata bene... Povera." - Era emozionata anche Jill.
In dieci minuti c'erano più luci rosse e blu che in un luna-park.
La cosa più immediata fu il ricovero di Elisabeth al Broward County
Hospital. I Rosenberg, genitori di Elisabeth, erano accorsi subito;
avevano intuito dagli spari che doveva essere accaduto qualcosa
alla figlia. Jill aveva detto loro poco o niente sulle circostanze
dell'incidente e i sanitari del pronto intervento non vollero
esprimere nessuna valutazione sulle sue condizioni. L'avevano
intubata e portata via insieme ai genitori e ad un poliziotto in
divisa.
La polizia fece le prime rilevazioni del caso, per lasciare
rapidamente posto ai Federali chiamati da Jill. Ci ritirammo in
casa e mi lasciarono per un po' in disparte, come se stessero
decidendo la mia sorte. Infatti, dopo un certo tempo mi chiesero di
parlare con me e io mi disposi ad ascoltarli.
"Abbiamo più o meno ricostruito la dinamica dei fatti." - Mi disse
il più titolato di loro. - "Vi stavano aspettando attorno a casa
sua, Mr. Barbini; probabilmente da poco. Forse volevano colpirvi
non appena fermati davanti al garage mentre apriva il portone. Jill
mi ha detto che lei lo ha aperto col telecomando da lontano in modo
da non dover attendere quando arrivava. E così li avete fregati. E'
probabile che stessero pensando a come riprendere la situazione in
mano, quando hanno sentito che stavate per uscire. Vi pensavano
soli. Hanno per così dire colto l'occasione senza pensarci troppo,
e hanno sparato alla povera ragazza. Questo è quanto."
"E perché lo avrebbero fatto? Voglio dire, perché avrebbero voluto
ucciderci?" - Chiesi senza sperare in una risposta precisa.
"Il motivo lo conosce, ha detto miss Moore. O almeno conosce i
contorni della vicenda." - Si era fatto più cupo. - "Mr Barbini, le
cose si sono piuttosto complicate..."
"Mi rendo conto."
"Lei dovrebbe partire stasera per Washington. Là potremmo garantire
meglio la sua incolumità."
Jill cercava di comprendere dalla mia espressione cosa mi passava
per la testa, e io chiesi di parlare da solo con lei. Andammo in
cucina.
"Ti lasciano con me?" - Le chiesi.
"Non lo so. Che differenza fa?"
"Se ti sostituiscono, me ne torno in Italia col primo volo."
"E perché? Non certo perché ti sei innamorato di me." - Sorrise
senza allegria. D'altronde, aveva apppena trovato Elisabeth in casa
ad attendermi.
"Mi sono affezionato, comunque."
"Forse è il tuo cattivo inglese," - disse amara, - "ma ci si
affeziona dei cani, qui da noi, non delle persone."
"Senti, io... E' un momento in cui si possono anche sbagliare le
parole, ma quello che provo..."
"E ti prego di non dirmi che mi ami. Saresti patetico." - Ma tornò
tranquilla. - "Stai provando qualcosa per me solo perché mi sto
adoperando per salvarti la vita. E' un meccanismo piuttosto comune.
Anzi, se scoprissero che ci intendiamo, ci allontanerebbero
subito."
"Tu non provi niente per me?"
"Non ho mai, dico mai, avuto una relazione intima con un mio
protetto."
"Hai protetto solo donne e bambini fin'ora..."
"Voglio dire che potrebbe essere successo anche a me lo stesso
meccanismo. Forse mi lusinga proteggere chi mi ama..."
"Mi hai appena detto che io non ti amo..."
"Non c'entra." - Tornò fredda.
"Bene allora." - Intervenni deciso. - "In ogni caso, se tu non
rimani con me io me ne torno in Italia. Puoi dirlo ai ragazzi."
"Non è così semplice." - Abbassò lo sguardo come se non sapesse
come dirmelo.
"Non è semplice cosa?"
"Comunque la vuoi vedere, io ho fallito."
"Tu cosa!"
"Non sono riuscita a proteggerti." - Rimasi senza parole. - "Hanno
provato ad investirti con un'auto, ti hanno teso un agguato davanti
casa... Io non sono riuscita a far altro che a reagire dopo. Anche
la tua povera amica... E' in fin di vita, e se io fossi stata più
attenta, non sarebbe potuto succedere."
"Dannazione!" - Esplosi. - "L'hai scovata in casa proprio perché
sai fare il tuo lavoro!"
"Sì. E l'ho lasciata uscire perché non so farlo."
"Come potevi prevederlo, Cristo?"
"Prestando attenzione. Mettendo in atto le precauzioni di base. Sei
una persona soggetta a tutela federale!"
"Ma quando ti hanno affiancata a me, mi era stata garantita la
massima discrezione! Io avevo voluto evitare tutte le operazioni
pesanti ed antipatiche della scorta. Non ricordi?"
"Senti." - Mi disse senza guardarmi e poco convinta di quello che
stava per dirmi. - "Se non ci fossimo, si fa per dire, innamorati,
non avrei abbassato la guardia. Ormai ho chiuso con questa
operazione."
"Bene. Ribadisco che se non mi accompagni per il resto del viaggio,
me ne torno a casa."
"Chiaro, lo diremo ai miei superiori. E stasera? Vuoi andare a
Washington come hanno suggerito loro?"
"Tu cosa dici?"
"Ti preparerebbero un nuovo circuito di protezione. Staresti nelle
loro mani, e al sicuro." - Mi si avvicinò. - "Forse è meglio, sai;
non voglio perderti..."
"E' un'espressione personale o professionale?"
"L'una e l'altra. Va bene così?"
"Abbracciami." - Ma lei si irrigidì.
"Se ci fanno stare insieme," - le dissi alla fine, - "accetto."
"Sapete nulla di Elisabeth?" - Chiesi appena tornato di là.
Uno dei due telefonò al Broward Hospital, mentre l'altro mi chiese
cosa avevo deciso.
"Sarò chiaro." - Dissi. -"Accetto ad una sola condizione. Io mi
fido solo di Jill, e se mi fate accompagnare da lei, more uxorio,
allora accetto non solo il vostro programma di protezione, ma anche
di prestarmi ad eventuali collaborazioni che dovessero rendersi
necessarie."
"Ad esempio, cosa?" - Sorrise l'agente di fronte alla mia patetica
disponibilità a collaborare.
"Che ne so, adesso?"
"Di questo ne può parlare con Mr. Growe che conosce la situazione
meglio di noi. Ma per quanto riguarda Miss Moore, non se ne parla.
Ha chiuso. Ora le cose passano di mano."
"E allora," - dissi tranquillo, - "a meno che non vogliate
arrestarmi per una qualche ragione, vi prego di andarvene da casa
mia. Fuori di qui."
L'agente mi guardò come se non stesse credendo alle proprie
orecchie. Forse era abituato a disporre senza discutere. Fece per
aprire bocca ma fu interrotto dal collega.
"Sta per entrare in sala operatoria." - Parlava di Elisabeth. -
"Dalle lastre pare che la tua amichetta abbia avuto fortuna. Un
proiettile l'ha presa al torace fracasssandole quasi tutte le
costole di destra e provocandole un pneumotorace. Un altro
proiettile le è entrato sotto la spalla da dietro, probabilmente di
rimbalzo perché ha fatto danni più visivi che reali. Avranno un bel
po' di lavoro di carrozzeria, ma tutto sommato, le è andata
bene."
Mi sentii un nodo alla gola. - "Grazie a Dio!" - Dissi prendendo
fiato.
"Aspetti a ringraziare." - Rise pungente. - "Voglio vedere cosa
diranno i suoi genitori appena torneranno a casa."
Era terrorismo gratuito per invitarmi a tornare a Washington.
"Ha ragione." - Gli dissi - "E' bene che vada anch'io all'ospedale
in attesa che esca dalla sala operatoria."
"Tu non vai da nessuna parte." - Mi bloccò l'agente. - "Sei sotto
la nostra protezione e fai quello che diciamo noi."
"Si sbaglia." - Dissi. - "Stavo appunto dicendo al suo collega che
dovete andarvene da questa casa. A meno che non vogliate
arrestarmi, naturalmente."
Rimase a bocca aperta. Poi si riprese.
"Allora l'arrestiamo."
"Qual'è l'accusa?" - Era stata Jill a parlare. Ci girammo tutti tre
verso di lei.
"Tu non c'entri." - Tagliò corto l'agente.
"Vi informo che ho l'ordine di difenderlo da qualsiasi pericolo o
situazione che possa mettere a repentaglio l'esito della missione
e, a meno che non lo arrestiate per giusta causa..."
"Ah Ah!" - Rise l'agente. - "Vuoi dirmi cosa faresti se io lo
prendessi per un orecchio per portarlo nei nostri uffici?"
"Primo gli chiederei di non usare la forza per insegnarti
l'educazione. Secondo, userei la forza io per farvi uscire di qui.
Da soli. Terzo, ti sarei grato se usassi una forma di cortesia; non
lo conosci neanche.
"Senti senti..." - Disse un agente facendosi attento.
"Ma chi diavolo ti credi di essere? O cosa credi di poter fare?" -
Sbottò l'altro.
"Posso fare di più: Posso dirti che è sotto protezione della
NSA."
Io caddi dalle nuvole, ma loro dovevano aver capito bene.
"Senti Jill." - Disse accomodante il più anziano. - "Abbiamo
l'ordine di garantirgli l'incolumità. Di farlo con la forza se
necessario..."
"E quindi vi metterete a mia disposizione, finché non avrò deciso
cosa faremo. OK?"
I due si guardarono. Jill andò al telefono. Si fece passare
Growe.
"Growe? Sono Jill. Sì, ha preso una decisione. Come? No. Aspetta
che ti dico tutto. Marco, Mr. Barbini voglio dire, è disposto a
collaborare... In cambio di alcune cose.
"Come dici?" - Continuò Jill. - "Certo che può. L'alternativa è che
partirebbe ancora stasera per Milano." - Rimase un po' ad ascoltare
Growe, poi riprese il filo. - "Primo, vuole me al suo fianco finché
non si imbarca per tornare a casa. Non si fida di nessuno, e con
quello che è successo ha ragione. Secondo, vuole capire in maniera
chiara e forte perché qualcuno vuole la sua morte. In cambio, è
pronto ad esplicitare la ragione effettiva del suo viaggio in
USA."
Stavolta fui io a stupirmi. Non avevo promesso nulla del
genere.
"Sì. C'è dell'altro." - Proseguì Jill. - "Vuole anche poter mettere
le mani sugli archivi che l'Ammiraglio Larsen gli avrebbe lasciato
visionare se non fosse stato ucciso."
Grazie Jill, pensai. Sei grande.
Rimase ad ascoltare un po' al telefono, ma alla fine chiuse la
comunicazione soddisfatta.
"Partiamo pure." - Disse ai due agenti. - "Dateci una mano a
sistemare la casa. Dobbiamo chiuderla." - E questi, per quanto
incredibile, obbedirono ai nostri ordini finché non fummo pronti a
salire nella loro auto.
Spensi la Jacuzzi, l'aria condizionata e l'acqua calda. Portai con
me il cellulare.
Quando uscimmo, pregai uno dei due di disporre affinché qualcuno
desse una ragione ai genitori di Elisabeth, senza toccare la
sensibilità di nessuno.
Mi augurai che al prossimo consiglio dei condòmini non decidessero
di buttarmi fuori.
Un'ora dopo salivamo su un reattore militare, direzione Atlanta.
Stavamo per lasciare il bel caldo della Florida. Quando l'aereo
decollò dalla pista Est dell'aeroporto internazionale di Fort
Lauderdale, direzione Oceano, cercai di immaginare all'orizzonte
ormai buio la sagoma di Bimini. Pareva che ci fossimo stati l'anno
prima. Mi ritrovai a pensare a Jill con nostalgia, anche se era lì
al mio fianco. Stava tenendo gli occhi chiusi, ma non stava
dormendo.
"Jill?" - Dissi piano in un orecchio. Lei aprì gli occhi e mi
guardò.
"Dimmi."
"Cosa ti fa pensare che vi dica tutto?"
"Il fatto che io ti dirò tutto." - La sentii dalla mia.
"Allora incomincia col dirmi cosa è la NSA."
"La National Security Agency. Io non sono della CIA."
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