«I due presidenti» – Settimo capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE
PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre |
Capitolo 7.
Quando Luigi suonò alla porta eravamo quasi pronti, ognuno nel
proprio bagno. Dovetti aprirgli io dopo aver verificato, come
voleva Jill, che si trattava proprio di lui. Avevo lo spazzolino in
bocca.
"Buongiorno. Non avevi detto alle sei e mezza?"
"Sì sì Luigi, ostia. Ma sono solo le sei."
"Meglio così, no?"
"OK. Non preoccuparti, siamo pronti."
"Vedo."
Dopo una decina di minuti eravamo per strada. Eravamo usciti
silenziosamente dal villaggio. Il vigilante era addormentato, ma
Luigi gli aveva detto di tenere comunque la stanga sollevata.
"E' un Italiano." - Disse, come per dire che non tradirebbe
mai.
Arrivammo al molo del Fish Buster poco prima delle sette. Luigi ci
lasciò dicendoci nel suo napoletano «stattene accuorto».
Salimmo a bordo della barca rapidamente e sistemammo il borsone
sotto coperta. Ci raggiunse Phil.
"Morning. Ho riscaldato i motori e acquistato viveri ed esche vive
per la giornata. Marco, non mi hai detto se dovevo portare con me
il capopesca."
"E nel dubbio lo hai portato?"
"No, visto che costa..."
"Hai fatto bene... Così ti pagherò meno."
"Meno un cazzo!"
"Va bene. Vuol dire che le esche le preparerai tu mentre piloterò
io."
"Dove andiamo?"
"Intanto prendi il largo. Poi ti piazzi sulla Dorsale Atlantica a
sei miglia dalla costa. Faremo pesca alla traina per alcune ore
sulla Corrente del Golfo. Poi, quando sarà più caldo, ci porterai a
prendere il sole e fare il bagno a Bimini."
"Fiuuu! E per 300 dollari pretendi che ti porti fino alle
Bahamas?"
"280 Dollari" - precisai. - "E mi riporti a casa per le otto, va
bene? Al diavolo, Phil. Saranno sì e no 30 miglia..."
"Sono 45."
"Senti, ti do 350 di dollari, OK? Però non parlare più di soldi
perché non sto lavorando."
"Su le ancore, ragazzi! Vedrai cosa ti faccio pescare per 400
dollari!"
"350 dollari, Phil."
Ci sistemammo riparati dall'aria del mattino mentre Phil dava gas
ai motori. Vidi scorrere prima la città e poi il mare. Guardai la
villa di un amico milanese sulla bocca del porto e la indicai a
Jill.
"E' di un pubblicitario." - Dissi, con riverenza.
"E' un lavoro che rende, vedo. Lavora in una città di provincia
anche lui?"
Diedi un'occhiata a Jill che teneva gli occhi chiusi. Riposava. Mi
faceva pensare alla nottata trascorsa insieme. Alla nostra voglia
di contatto fisico e alla dolcezza con cui ce l'eravamo
concesso.
Meno di un'ora dopo Phil aveva ridotto la velocità a 4 nodi, aveva
messo la barca parallelo alla costa, la prua verso Sud. Mi aveva
dato il timone per mettere a mare i calamenti. Quattro canne per
due persone.
La diminuzione del rumore dei motori aveva svegliato Jill, ma io
volevo approfittarne per telefonare a casa da lì. Una cellula
telefonica in oceano non era facilmente localizzabile.
"Scusa, Jill. Dovrei telefonare a casa. Potresti dare una mano a
Phil?"
Si alzò e mi lasciò solo. In Italia erano le due del pomeriggio di
sabato. Telefonai a mia moglie a casa.
Rispose mio figlio. Scambiammo due parole simpatiche, parlammo di
golf. L'indomani avremmo giocato entrambi, a 10.000 miglia di
distanza. In culo alla buca, figliolo. In culo alla buca, papà. Mi
passò la mamma.
"Ciao amore! Dove sei?" - Mi accorsi che dirglielo poteva essere
pericoloso per la nostra sicurezza. Mi avevano detto che di tenermi
sotto controllo telefonico e ambientale.
"Non lo so con precisione, ora. Come va?"
"Ci sono problemi?"
"No, certo, ma poi ti spiegherò..."
"Hai fatto tutto quello che dovevi fare?"
"Quasi. Forse ho fatto bingo."
"Hai trovato quello che cercavi?"
"Mi tocco le palle, ma forse sì. Lo saprò lunedì.
"Quando mi richiami?"
"Domani."
"Mi manchi." - Guardai Jill nel quadrato.
"Anche tu."
"Buona pesca!" - Mi disse in codice, riferendosi ai miei obiettivi
e ignorando che stavo proprio per iniziare a pescare. La mia
cultura mi impedisce di credere alla sfiga, ma la buona educazione
vuole che ad un pescatore non si debba mai augurare buona pesca. Le
mandai un bacio e chiusi la comunicazione. Poi, con beata
disinvoltura, mi toccai le palle.
Uscii a valutare la situazione. La giornata sarebbe stata bella.
Pensai al freddo di Washington e alla nebbia di Milano, e mi
rallegrai. Scesi a spiegare a Jill qualcosa sulla pesca d'altura,
quando vidi degli uccelli roteare ad un centinaio di metri da
noi.
"Philip! Portami sui tonni."
"Stiamo per arrivarci." - Urlò dal tuna tower.
"Li vedi quei gabbiani sulla termica? Sta portandoci là." - Indicai
a Jill gli uccelli che giravano intorno in cielo senza muovere le
ali. - "Se ci sono i gabbiani, vuol dire che hanno adocchiato
branchi di acciughe o sardine. E dove ci stanno i branchi, ci
stanno anche i predatori.
"Abbiamo due esche vive, sono su queste canne sullo specchio di
poppa, una in superficie e l'altra in profondità. E due
artificiali, queste che teniamo distanti con gli outridgers; anche
per loro una in profondità e una in superficie. Dopo una prima
passata sul branco riesci a capire qual'è l'esca migliore e se vuoi
le metti tutte così."
A piena smentita della lezione che le avevo impartito, beccarono
contemporaneamente un vivo in superficie e un artificiale in
profondità.
Corsi a prendere quella vicina a lei e glie la misi in mano.
"Gira, gira!" - Le urlai dopo aver predisposto il mulinello.
Quindi corsi all'altra canna e mi misi anch'io a girare il
mulinello. Lei chiamava aiuto. Era più forte di lei, diceva, ma
sapevo che poteva farcela da sola. Dall'alto Phil urlava comandi
sia a me che a lei. E' difficile recuperare due prede
contemporaneamente, se non altro perché la barca non può fare il
gioco di entrambi i pescatori.
E infatti io persi la preda. Lei voleva passarmi la sua canna, ma
feci cenno di no e mi avvicinai con in mano il raffio. Era un
lavoro che doveva fare il capopesca, che non c'era. Dopo un quarto
d'ora di lotta estenuante tra Jill e il pesce, vidi la preda. Era
un barracuda.
"Passami la canna!" - Le dissi.
"Proprio adesso che sto per prenderlo?"
"E' un barracuda!"
"Non mi fa paura!" - Urlò.
"Non me ne frega di cosa ti faccia. Non è commestibile e si ributta
in acqua. Niente raffio. Capito?"
Mi passò la canna. Tirai su la bestia che per essere un barracuda
era enorme (almeno 80 centimetri), tagliai l'esca e lo buttai
provvisoriamente nella ghiacciaia. Sostituii l'esca tagliata con
altra intatta, e solo dopo aver ributtato il calamento pensai a
liberare il barracuda e rimetterlo in acqua.
Le cose andarono meglio il passaggio succcessivo e quello dopo
ancora, solo grazie al fatto che non si attaccarono più di uno alla
volta. In un'ora avevamo preso un tonno, tre wahoo, due kingfish e
altri barracuda che ebbero la fortuna del primo. D'un tratto però
entrammo probabilmente in un branco di tonni, perché tutte le canne
si misero a tirare all'impazzata contemporaneamente. Perdemmo tutti
i calamenti, uno dopo l'altro, in pochi minuti.
A mezzogiorno Phil mi chiese se era ora di mettere la prua per
0-9-0 in direzione di Bimini. Gli risposi di sì. Mi chiese se
poteva issare le insegne della barca che ha pescato e gli risposi
di no. Jill mi si avvicinò.
"Ha detto Bimini?"
"Esatto. Ma tanto, tu ce l'hai un passaporto, no?"
"Sì, naturalmente. Ma l'ultima cosa che voglio è fare dogana
registrando il mio passaggio alla frontiera delle Bahamas."
"Phiiil!" - Urlai in alto perché mi sentisse con i motori che
avevano ripreso potenza.
"Dimmi, Marco!"
"Puoi portarci a Bimini senza fare dogana?"
"Che cosa? Vieni su! Non ho capito niente!".
"Salii sulla scaletta e gli dissi che non volevamo lasciare
tracce."
"Mamma mia!" - Commentò. - "Non ho mai visto una segretezza tale
per un'avventura, come si dice, del cazzo."
"Spiritoso!"
"OK. Va bene. Ora lo chiedo per radio."
"Che cosa?"
"Se un amico di Bimini mi lascia accostare senza burocrazia."
"Bene. Fallo e basta." - Tornai giù.
"Se non ci sono problemi andiamo a fare il bagno a Bimini senza
dire nulla a nessuno."
Lei non rispose, scettica.
"Se vuoi un consiglio..." - Le dissi. - "Mettiti in costume. Il
tempo è bello e tra un'ora faremo il bagno."
"Resta il problema del reggiseno."
Tornai su da Phil.
"Ce l'hai un costume da bagno per Jill?"
"Può fare il bagno senza."
"Lo so, ma non ci tiene."
"Nel gavone di prua, insieme all'ancora di rispetto, c'è una
scatola con dentro cazzate del genere."
"L'ancora..." - dissi - "insieme al pettine, i costumi da bagno,
pezzi di scimmia, il pane..." - Feci per scendere dalla
scaletta.
"Mi hanno dato l'OK." - Mi disse ancora Phil. - "Possiamo dare
fondo in rada a Bimini Est-Sud Est. Mi costerà un po'..."
"Cazzi tuoi."
"Facevo per dire..."
Nella scatola dell'ancora c'era davvero un costume da donna. Forse
gli serviva per pulire per terra, ma al momento era asciutto e
pulito. Lo presi e lo portai a Jill, che lo guardò con disprezzo,
ma lo accettò e andò a cambiarsi.
Quando uscì, le feci vedere il colore blu intenso che la Corrente
del Golfo assume nel tratto più veloce.
"E' molto veloce, se pensi alle dimensioni del fenomeno. Farà 4 o 5
nodi, quasi come una barca a vela col vento in poppa. Phiiil!"
"Dimmi Marco!"
"Perché siamo solo adesso sulla dorsale della Gulf Stream? Non
dovrebbe essere a 6 miglia dalla costa americana?"
"Non sempre." - Urlò. - "La corrente è una cosa viva. Oggi è a 5
miglia, domani a 20... Come dici tu, la natura, il tempo e i
ricchi, seguono sempre il loro corso."
Jill era affascinata da quanto andava scoprendo e seguiva con lo
sguardo il dialogo.
"Phil si riferiva ad un proverbio italiano?"
"Quello della natura? Sì," - sorrisi. - "Perché?"
"Perché mi suona tanto come traduzione dall'italiano. Com'è
l'originale?"
"Beh, è in dialetto. Non so se lo capisci. Suona così: El temp, el
cul e i siori, i fa quel che i vol lori. Significa..."
Scoppiò a ridere. - "L'ho capito. Ha Ha!"
"A sì? E cosa significherebbe quel che i vol lori?"
"Quello che vogliono. Loro. E Phil, lui sa cosa vuol dire?"
"Non è la prima volta che lo traduco. Una volta, tornando dal
Québec, feci il viaggio aereo a fianco del vescovo di Montréal. In
uno scambio di battute filosofiche, Sua eminenza citò Cartesio. Per
tagliare corto gli citai lo stesso proverbio."
"In francese?"
"No. In latino. Tempus culusque domini, omnia ei licet."
"Ha Ha! E che significa?"
"La stessa cosa, ma in latino."
"E lui?"
"Acuto. Aveva risposto. Poi mi chiese la fonte."
"E tu glie la hai data?"
"Certo." - Risposi. - "Gli feci il nome di mio cugino, professore
di latino e filosofo per eccellenza. Il vescovo avrà certamente
citato il suo nome alla prima occasione."
All'una e trenta il Fish Buster aveva buttato l'ancora nel mezzo di
una baietta incredibilmente blu a sfondo bianco. Per quanto
abituato, anche Phil si guardava intorno soddisfatto che la sua
barca potesse portarlo in posti del genere.
"E' di tuo gradimento?" - Chiesi a Jill che pareva elettrizzata
dallo spettacolo.
"Io mi butto!" - Disse sorridendomi come una bambina. Aveva
dimenticato ogni precauzione e ne aveva ragione.
"Aspetta." - Le dissi. - "Andiamo sopra e ci buttiamo da lì."
"Sì, sì. Tuffiamoci da lì." - Phil aveva già recuperato l'emozione
del panorama, aveva spento i motori ed era sceso dal flying-bridge
per fare quel sacco di cose che i comandanti fanno quando la loro
barca sta all'ormeggio o all'ancora.
Mi tuffai prima io e mi si sfilò un po' il costume da bagno. Quindi
attesi Jill. Si tuffò anche lei con un urlo alla Tarzan. Si sfilò
un po' il costume anche a lei.
"Dai, caviamocelo del tutto!" - Dissi, togliendomi il costume e
buttandolo a bordo. Mi avvicinai a lei.
"Fermo, fermo. Faccio da me." - Se lo tolse e lo lanciò in
barca.
"E il reggiseno?"
Ci pensò, poi finalmente tolse anche quello.
"Hai finito di girarmi la schiena?" - Le dissi ridendo delle sue
tette.
"Stronzo..."
Iniziò a nuotare verso la spiaggia. La seguii. Phil ci aveva
osservati soddisfatto per poi andare in coperta.
"Che bello!" - Disse, lasciandosi cadere a prender fiato
sull'incredibile sabbia bianca.
Mi sdraiai vicino a lei e incrociai una gamba sulla sua. Restammo
così rigirandoci al sole per un buon quarto d'ora. Fui io a
prendere la parola.
"Chi sei tu veramente?" - Le chiesi d'un tratto, cogliendola di
sorpresa.
Nessuna risposta. Allora parlai ancora io.
"L'altra sera, quando ho preso la pistola dalla tua borsetta,
scusami, ma ho frugato un po'. Non avevi il distintivo dell'FBI
come mi aspettavo, ma solo il Passaporto (tra l'altro diplomatico)
e un tesserino, con la tua foto, una banda magnetica, un codice a
barre e un numero piuttosto lungo. Niente nome. Chi sei
veramente?"
Silenzio per un po'.
"Allora? Ti ho dato tempo abbastanza per trovare una spiegazione.
Non ti pare?"
"Hai trovato una carta di credito. Nient'altro."
"No. Conosco quelle tesserine. Appartengono ad un Servizio del
Dipartimento di Stato, non della Giustizia. Cosa sei
veramente?"
Si girò verso di me. Mi ricordai come la sera prima avevamo fatto
l'amore e mi sentii vergognare per come mi comportavo. Tenni duro
perché sapevo che anche lei avrebbe dovuto sentirsi morire per
quello che stava accadendo. Era una partita imprevista e al buio.
Non sapevo come sarebbe andata a finire e, come tutti i giocatori
d'azzardo, avrei preferito giocare con tutto il mazzo, o almeno
conoscere le carte dell'avversario.
"Se non rispondo, cosa puoi fare, mi lasci qua?" - Mi guardò
sentendosi improvvisamente nuda, come in effetti era.
"Possiamo anche lasciarti qui." - Sorrisi per sdrammatizzare, ma
ormai avevo gettato il sasso. Stavo per fare marcia indietro, ma
lei mi attaccò.
"E' per questo che mi hai portata qui? Non è stata la tua dolcezza
a scegliere un posto incantato per noi, vero? E' così che tua madre
ti ha insegnato ad amare?"
Jill si girò a pancia in giù, ed automaticamente mi ritrovai
attratto dal suo sedere. Questo mi riportò i piedi per terra.
"Se è per questo, non sono sicuro neanche che mio padre sia
riuscito ad insegnarmi a scrivere... Senti, è l'ultima chance. Chi
sei, veramente?"
"Avevi detto giusto l'altro ieri." - Iniziò dopo un po', guardando
la sabbia appoggiata sui gomiti. - "Sei andato a letto con una
spia."
"Sei della CIA, vero?" - Mi sdraiai al suo fianco.
Non rispose ma non ce n'era bisogno. Più di una volta avevo sentito
parlare di quelle tessere alla Farnesina, il Ministero degli Esteri
Italiano, perché volevano istituirle anche presso i nostri Servizi.
Il problema era un altro: cosa diavolo mi tenevano nascosto di così
grande da far scomodare Federali e CIA insieme per Nessuno come me?
Avevano mentito su tutto? E lei, aveva scopato con me perchè faceva
parte dei rischi o dei doveri del suo lavoro?
"Non so se vuoi interrompere il dialogo con me. Ma ti prego di
dirmi una sola cosa, prima. Ieri, hai scopato con me perché hai
voluto approfittare della situazione, o davvero impazzivi per me
come dicevi mentre te la spassavi stanotte?" - Si alzò in piedi.
Balzai su anch'io.
"E tu, stronza, hai scopato perché non potevi farne a meno, o
perché mi amavi, come mi hai giurato per tutta la notte?"
"Davvero hai bisogno di una risposta?" - Mi disse mettendosi in
posizione da conbattimento, gambe divaricate. Decisi di atterrarla
con una mossa di judò, ma non essendo vestita ebbi un attimo di
incertezza che le consentì di anticiparmi, tanto che mi trovai
steso pancia in giù senza capire come. Mi si mise sopra tenendomi
le mani dietro la schiena.
"Scotta la sabbia, amico?" - Mi si sedette comodamente sul
culo.
"Stronza, mi bruci l'uccello così. Cavati."
"Non ci penso neanche. Sono una donna-sopra io." - Niente male come
battuta di avvicinamento, tanto che allentò la presa quel poco che
bastava per lasciarmi girare di forza a pancia in sù. In un attimo
ero dentro di lei.
Forse fu il ricordo della notte, ancora troppo vicina. O forse
furono quella sabbia bianca e quel mare blu. Più probabilmente
avevamo solo bisogno di credere che non fosse stata una reciproca
strategia di lavoro. Dopo un po' anche le nostre labbra si
cercarono.
Tornammo a bordo, dopo aver fatto l'amore. A Bimini.
Phil ci issò a bordo e porse un asciugamano a lei. A me niente.
"Bravi, ragazzi." - Ci disse. - "Vi sto preparando da
mangiare."
"Ce l'ha già?" - Mi chiese invece Jill mentre si passava i capelli
con la testa piegata in dietro.
"Ce l'ha cosa?"
"La sabbia di Bimini."
"Quale sabbia?"
"La tua amica, quella della..."
"Oddio, la sabbia! Sì. Cioè no che non ce l'ha, brava. Era già due
volte che me la chiedeva. Se me la dimenticavo anche stavolta..." -
Cercai un sacchetto di nailon, ma quando lo trovai Jill me lo prese
di mano.
"Vado io. Quando torni a casa di' alla tua amica come sono andate
le cose." - Lasciò cadere l'asciugamano e, nuda, si rituffò in
acqua. Andò sul fondo e riempì il sacchetto. Tornò su sbuffando per
lo sforzo facendomi vedere che ce l'aveva fatta. L'aiutai a salire
e stavolta la lavai con un getto d'acqua dolce. Poi lavai anche me.
Era stato un gesto simpatico da parte sua, probabilmente proprio
per consolidare l'armonia ritrovata in zona Cesarini.
Dopo un po' eravamo a tavola. Era tutto così buono... Il tonno
pescato fatto in umido coi capperi, lo spumante trentino che regalo
di tanto in tanto a Phil, il pane fresco che si trova vicino
all'imbarcadero la mattina presto. Mangiammo tutti tre con
avidità.
"Come mai non è Ferrari?" - Chiese Jill.
"Perché quello lo tengo per me." - Risposi. Ma Philip ci aveva
comunque riservato un buon trattamento. Non so cosa pensasse di
noi, però certamente aveva capito che eravamo stati a due passi
dalla rottura.
Dopo il caffè fatto con la Moka e il Bourbon, Phil spreparò e ci
lasciò andare sul flying-bridge a prendere il sole, mentre lui
proseguiva le innumerevoli cose che ci sono da fare a bordo.
Sdraiàti vicini, lei mi toccava con un piede.
"C'è qualcosa che puoi dirmi?" - Sussurrai.
Silenzio.
"Sai almeno chi erano quelli di ieri?"
Sorrise.
"Dei nostri."
"Se erano i tuoi, perché non te lo hanno detto subito?"
"Perché erano i nostri. In questa operazione io sono in contatto
con i Federali, e non con la CIA."
"Ah Ah!" - Scoppiai a ridere anch'io.- "Vuoi dire che erano due
agenti? Abbiamo fregato due agenti della CIA?"
Ridemmo insieme. Fu il primo attimo di relax dopo la verifica sulla
spiaggia. Ne approfittai per porre altre domande.
"E chi è che mi ha teso un agguato allo Smithsonian. Lo sai?"
"Ci hanno teso un agguato. Se ben ricordi c'ero anch'io. No. Non lo
sappiamo ancora."
"Ma Cristo, davvero non puoi dirmi qualcosa di più? Ti riesci a
mettere nei miei panni e comprendere che tutto è assurdo? Che non
ci sono ragioni valide per tenermi sotto controllo... Perché è me
che controllate... Vero? E' me che controlli." - La strinsi a me e
lei si lasciò stringere. La sua pelle scottava come la sabbia. -
"Cosa vuoi sapere da me. Dimmelo, ti posso aiutare. Ti posso dire
qualsiasi cosa, perché io non ho nulla da nascondere."
Mi guardò e mi abbracciò. Il piacere del suo calore mi provocava la
pelle d'oca. - "Ti amo, Marco."
Mi stava fregando, perché a questo mondo non è tanto bello amare,
quanto essere amati. Mi batteva il cuore, ma non mi aveva risposto
ed era chiaro che non voleva o non poteva rispondermi. Non mi
restavano che due cose da fare: o fidarmi di lei e aspettare il
momento della verità, o torturarla con qualsiasi mezzo fino a farla
parlare.
"Non ti dirò niente di più anche se ti amo, Marco. Almeno finché
non sarà tutto concluso. Ti posso solo promettere che se dovessi
correre pericolo, da qualsiasi parte provenga, io sarò dalla tua.
Allora ti dirò anche quello di cui non sono autorizzata."
Da qualsiasi parte provenga... Mi ricordò senza volerlo la fatidica
frase del governo Badoglio. Jill aveva dunque incluso la
possibilità che il pericolo potesse venire anche dai suoi? Non
disse di più.
Un paio d'ore dopo stavamo ancora sul flying-bridge, vestiti, a
goderci il tramonto sulla Florida davanti a noi, ormai vicini alla
costa.
Alle sette salivamo in macchina di Luigi che ci riportò a casa con
il nostro kingfish già pulito da Philip.
Misi il pesce in freezer perché quella sera non lo avremmo mangiato
di sicuro. Preparai due aperitivi a base di gin e telefonai a casa
di Gregory Levitan, a Miami, dove avrebbe dovuto passare il
week-end, per accordarmi sullo skin-game dell'indomani.
"Pronto, casa Levitan." - Risposero dall'altra parte del filo.
"Sono il dottor Barbini, c'è il Comandante?"
"Il Comandante non c'è. Verrà domani. Oggi c'è stato un
contrattempo."
"Ah." - Dissi un po' deluso. - "Ha almeno lasciato un messaggio per
me?"
"Mr Barbini, ha detto?"
"Sì. Barbini."
"Forse doveva giocare a golf con lui domani?"
"Esatto."
"Temo di doverle dare una brutta notizia, Mr Barbini. L'Ammiraglio
Larsen, che doveva giocare con voi domattina, è morto sei ore
fa."
"Morto, ha detto?"
"E' stato ucciso. Un colpo di pistola alla testa. Mentre si recava
all'Aeroporto di Washington per venire qui. Era fermo al semaforo,
quando si è avvicinato alla sua auto un barbone. L'Ammiraglio dava
sempre un dollaro ai barboni di quell'incrocio ed ha aperto il
finestrino. Il barbone gli ha sparato. Un solo colpo. Alla
testa."
"Un barbone?" - Dissi allibito, quasi soprapensiero.
"Con tutta probabilità l'assassino era solo travestito da barbone,
sir."
"Sono senza parole..." - Dissi poi. - "Mi dispiace. Dove posso
trovare il Comandante Levitan, adesso?"
"E' volato da Deyton a Washington dall'amico ucciso. Arriverà a
Miami stasera tardi. Lo può trovare qui domattina."
Ringraziai e chiusi il telefono.
"La cosa si fa più seria." - Dissi a Jill che mi guardava
interrogativa anche se aveva capito il senso della telefonata. -
"Hanno ucciso Larsen."
"Stai... pensando che la morte sia riconducibile a te?"
"Tu che ne pensi?"
"Io devo pensarla come la polizia, in questi casi. E la polizia
pensa sempre alle soluzioni più semplici, più logiche. Sono troppe
le coincidenze. Dobbiamo pensare che ci sia una qualche relazione.
Almeno finché non ne sapremo di più."
Prese la sua radiolina. Scambiò alcune frasi in codice, ma il suo
tono era piuttosto duro.
Controllò le chiusure di casa e si mise con me sul divano senza
parlare, con la borsetta aperta a portata di mano.
(Precedente)
(Successivo)