«I due presidenti» – Quinto capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE
PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre |
Capitolo 5.
La mattina dopo ci svegliammo entrambi un po' prima delle 6. Lei
disse di sentirsi bene e che le dolorava solo il gomito. Voleva
riprendere in mano la situazione.
Cercò la Beretta nella sua Vuitton, ma non c'era perché l'avevo
presa io. La vide sul comodino, se la prese e la rimise a posto. Mi
diede un bacetto e si alzò. Scomparve in bagno mentre le guardavo i
lineamenti che trasparivano dalla camicia da notte. Insisto a dire
che aveva un bel culo.
Mi alzai anch'io e ordinai la colazione in camera. Lei uscì dal
bagno e mi chiese di guardarle le ferite. Le ginocchia non erano
gonfie ma sentiva male a piegarle; disse però che poteva camminare
senza problemi. Avrebbe messo un paio di pantaloni. L'ematoma
dell'anca non c'era quasi più; le sfiorai la coscia con l'esterno
delle dita e sentii il calore che la sua pelle liscia mi
trasmetteva. Il gomito era da rimedicare; le suggerii di fare un
altro bagno bollente in attesa della colazione. Accettò il
suggerimento. Però andai in bagno prima io e le aprii l'acqua
mentre mi preparavo. Quando chiusi il rubinetto, versai i sali
dell'albergo nell'acqua. Poi uscii.
"Dobbiamo preparare le valige." - Mi disse. - "Dobbiamo lasciare
l'Hotel perché stasera, quando lasceremo Deyton, andremo diretti a
Fort Lauderdale." - Bene. Avevano recepito la mia volontà.
"E' un'ottima idea." - Dissi allora. - "Sole, caldo, mare e aria
aperta. Farà bene anche a te."
Due ore dopo, una macchina dei Federali ci portava ad un aeroporto
militare di Washington, dove avremmo preso un bimotore a turboelica
del Bureau. Avevo lasciato malvolentieri il mio lussuoso Carlton
con i salottoni frequentati dalle vedove della politica e qualcosa
mi diceva che, almeno per quel viaggio, non l'avrei più rivisto. Le
cose a questo mondo non vanno mai come si pensa.
Io e Jill stavamo seduti dietro, Growe stava davanti a fianco
dell'autista.
"Questo è il programma di viaggio." - Disse col tono di chi dà
ordini. Quindi ascoltai la proposta con diffidenza, ma alla fine
decisi che andava bene anche a me. - "Ora vi portiamo a Deyton,
dove vi terremo sotto controllo. Discretamente." - Aggiunse per
prevenire qualche mio intervento sgradito. - "Per quanto ce ne
avrà, Mr Barbini?"
"A Deyton? Dipende. Se mi danno una mano, basta la mattinata. Se mi
boicottano, non basterà tutta la giornata."
Mi accorsi che non avevo dato neanche stavolta una risposta chiara
e precisa. Se ne era accorto ovviamente anche lui.
"Se sapesse rispondere alle domande con la stessa precisione con
cui le sa porre..." - Protestò Growe. - "Per che ora dovremmo
essere in grado di prelevarvi, se dovessero, diciamo,
collaborare?"
"Per l'una o le due al massimo."
"Facciamo alle 2. Un nostro aereo vi preleverà a Deyton alle 2 e vi
porterà ad Atlanta. In volo vi sapranno dire i dettagli della
tratta successiva."
"O.K." - Mi accorsi che la macchina stava per giungere all'altezza
del Cimitero di Arlington. Attesi un attimo, poi la fermai.
"Può accostare un attimo, prego?"
L'autista guardò Growe. Growe guardò me. - "Le serve qualcosa?"
"Mi consenta di fermarmi un attimo, abbia pazienza!" - Growe fece
cenno all'autista di fermarsi come se avesse capito la ragione
della richiesta.
Scesi in un attimo. - "Vengo subito." - Dissi. - "Ma non devo fare
la pipì." - Restarono tutti attoniti cercando di capirci qualcosa.
Growe aprì la porta e Jill scese dalla macchina con la mano nella
borsetta. Mi spiaceva aver preoccupato Jill.
Entrai di qualche metro all'interno dei confini di Arlington
togliendo dalla tasca un sacchettino di nailon preso in Hotel, mi
chinai e raccolsi un po' di ghiaino bianco. Misi in tasca il nailon
e risalii in auto. Chiusero le porte e ripartimmo. Tolsi il
sacchetto di nailon dalla tasca e lo misi nel beauty.
Non sapevano come chiedermi cosa diavolo avessi fatto e io non
dissi nulla. Per 5 minuti Growe non parlò, poi riprese a
parlare.
"E' stata trovata l'auto."
"Era rubata?"
"Era un'auto a noleggio."
"Questa è una notizia! Allora sapete chi l'aveva noleggiata." -
Dissi raggiante.
"No. Avevano dato documenti falsi."
"Non avevano pagato con Carta di Credito?"
"E magari avevano dimenticato a bordo le istruzioni di come
sopprimere un personaggio indescrivibile come lei..."
"Mi prende in giro?"
"E' astuto, Mr. Barbini. Ha ragione, la sto prendendo in giro." -
Poi, alzando la voce impaziente: "Cosa diavolo vuole che abbiano
pagato con Carta di Credito?"
"Che cazzo ne posso sapere io? Siete voi i professionisti. Si fa
per dire, professionisti..."
"Ha qualche reclamo da fare?" - Si riferiva a Jill, lo stronzo.
"Sì. Non mi va il suo tono. Anzi la sua interferenza da quando sono
arrivato. Io sono un normalissimo cittadino..."
"O.K., O.K." - Disse alzando le mani in tono di resa. - "Diamoci un
taglio. Siamo tutti un po' nervosi."
"Lo credo bene. La trappola che mi hanno teso dimostra che la
segretezza dei miei programmi, dei miei contatti, dei miei
spostamenti, non esiste per niente. Avete un buco
nell'organizzazione."
"O potrebbe aver parlato troppo lei..."
"Sì, con voi." - Insistei.
"Senta. Dobbiamo andare avanti così." - Disse con tono più
accomodante. - "Non siamo ancora in grado di chiudere la faccenda."
- Pausa. - "Lei collabora ancora, vero?"
"Non vedo come non potrei. State facendo tutto voi..."
"Allora la prego. Vada avanti con il suo lavoro. Noi penseremo alla
sua sicurezza."
"Alla nostra." - Indicai Jill.
Stava per rispondere, ma si trattenne. Jill mi toccò la gamba con
la parte sana del ginocchio e l'argomento finì lì. Mi accorsi però
che da quel momento non avrei lasciato Jill molto volentieri.
Il piccolo bimotore aveva dei finestrini troppo avanzati per vedere
fuori stando seduti, per cui non lo trovavo molto comodo. In
compenso atterrammo a Deyton dopo solo un'ora e mezzo. Ci fecero
portare i bagagli (beauty compreso) in un deposito militare, quindi
ci portarono al Museo dell'US Air Force di Deyton. Stavolta ad
attenderci c'era il Direttore, Comandante Gregory Levitan. Gli
avevano spiegato che eravamo sotto protezione dell'FBI e lui si era
adoperato per facilitarci le cose.
"Dottor Barbini, come va?"
"Bene, grazie, Comandante."
Sulla sessantina, ancora scuro di capelli, corpulento, dallo
sguardo aperto, sereno. Era in divisa, ed aveva un sacco di
lustrini sul petto. In compenso aveva un paio di scarpe comode,
fuori ordinanza, nere. Sembravano scarpe da golf... senza chiodi
naturalmente.
"Prima di affrontare il lavoro," - disse con apprensione -
"parliamo di cose serie. Quando mi hanno annunciato la sua visita,
mi hanno informato che lei è un accanito golfista. Lo sono anch'io.
Come va il suo Golf in questo periodo?"
"Non molto bene, ahimè. E' un periodo che, o per il freddo o per il
lavoro, non mi riesce molto di giocare."
"Come sempre è il lavoro che rovina l'uomo. So che lei è titolare
di un'azienda che realizza strutture museali. Conosce il nostro
Museo?"
"Ho avuto la fortuna di conoscerlo due anni fa. Prima di progettare
il Museo Aeronautico di Guidonia avevo voluto vedere tutti i più
famosi. Sono stato a Washington, a Tucson, a Santa Monica, a Miami,
a Daytona, a Seattle. Ma anche a San Paolo..."
"Il Brasile ha musei del volo?"
"Sì ce n'è uno a San Paolo, ma non è un gran che. E' a malapena una
collezione di vecchi aerei."
"In Europa, quanti ce ne sono?"
"Esattamente non lo so, ma io ho visitato a Londra il British
Museum e quello della RAF, che tre anni fa ha inaugurato un
padiglione dedicato alla Battaglia d'Inghilterra; quello degli
Idrovolanti a Shannon, in Irlanda, praticamente non ha velivoli;
quello di Parigi è importante, ma passa inosservato perché... è a
Parigi, che ha ben altre attrazioni; il Deutsches Museum ha..."
"In Italia ce ne sono altri oltre a quello che ha progettato
lei?"
"A Milano c'è un padiglione dedicato al volo al Museo della Scienza
e della Tecnica, come il British o il Deutsches Museum; poi c'è n'è
uno a Vigna di Valle, a due passi da Roma, sul lago di Bracciano.
Ma il più bello, voglio dire prima che venisse realizzato quello di
Guidonia, è certamente il Museo Caproni di Trento..."
"Lo dice perché è di Trento?"
"Lo dico perché lo conosco. Lei lo ha visto?"
"La famiglia Caproni mi aveva invitato all'inaugurazione, ma io non
avevo potuto venire."
"Pensi che erano state invitate 300 persone, ma ne erano venute più
di 2.000..."
"Un bel successo. Sua moglie ha già visitato il nostro museo?"
Fui prudente. - "No. Oggi è la prima volta."
"Venga allora. Parleremo camminando verso il mio ufficio, così
potrà goderselo."
E fece bene, perché è uno spettacolo vedere quei giganteschi
apparecchi che pare impossibile riuscissero alzarsi dal suolo. Ad
un certo punto Jill si attardò a guardare la cabina di un
dirigibile enorme, e ci fermammo per lasciarglielo ammirare. Pareva
un bambino davanti ad un negozio di giocattoli. Sotto il
dirigibile stava la scritta L. Zeppelin.
"E' questo il famoso Led Zeppelin?" - Chiese candidamente.
Il Comandante scoppiò a ridere ed io rimasi sulle mie, perché mia
moglie non ne avrebbe sparata una del genere.
"E' un Luft Zeppelin." - Corressi amabilmente Jill. - "Led Zeppelin
è un famoso complesso musicale pop. Il suo pezzo più famoso è The
Stairway to the haven, La Scala per il paradiso, ma non credo
avessero pensato ad un dirigibile quando l'hanno scritta."
"Non aprirò più bocca." - Rispose Jill con un imbarazzo pronunciato
in maniera più elegante che credibile.
Proseguimmo in mezzo all'esposizione di aerei più grande del Mondo
(Tucson è più grande perché li espone all'aperto, nel deserto, ma
forse è più un deposito che un museo).
"Cosa la porta qui da noi?"
"Io e mia moglie stiamo raccogliendo per il Museo di Guidonia del
materiale storico relativo all'attività aerea degli USA in Italia
dal 1943 in poi."
"Perché proprio dal '43?"
"Perché quest'anno ricorre il 50° anniversario della caduta del
Fascismo, e il Museo di Guidonia vuole dedicare un'intero
padiglione all'attività aerea dei Liberator."
"Allo Smithsonian di Washington ha trovato qualcosa?"
"Mi hanno dato copia di tutti i videodischi disponibili e dei loro
software di gestione."
"Sono gli stessi che potevamo darle anche noi. Non so se..."
"No, grazie. Non sono venuto da voi per i videodischi. Io e la mia
signora abbiamo già fatto un primo screening del materiale
disponibile ed abbiamo isolato tutte le missioni a partire dal
luglio del 1943."
"Missioni USA?"
"Sì."
"Di bombardieri?"
"Di tutti. Dei Liberator, appunto, ma anche di altri
aeromobili."
"Qui, noi abbiamo tutto un padiglione dedicato al Bomber Command
della Seconda Guerra. Abbiamo tutti i dati relativi alle
operazioni, ma le disposizioni strategiche o tattiche sono in
archivio. Per la precisione, cosa vorrebbe ricercare?"
Jill fino a quel momento aveva partecipato allo scambio di parole
come se fosse davvero mio partner anche sul lavoro, ma ora si era
fatta attenta alla risposta che avrei dato.
"Mi piacerebbe conoscere tutto quello che stava dietro ad ogni
operazione di bombardamento. Chi lo decideva, perché, da chi
riceveva indicazioni o disposizioni, a chi le dava..."
Fischiò. - "Così, genericamente, si tratta di materiale di una
vastità enorme. Dovrebbe essere più preciso. Se ad esempio volesse
conoscere tutti i piani di volo che hanno accompagnato le missioni
di bombardieri che hanno colpito Berlino, ne abbiamo qualcosa come
10.000..." - Aprì la porta del suo ufficio e ci fece strada.
"Capisco." - Risposi pensieroso. Il fatto era che avevo le idee ben
chiare, ma non sapevo come esprimerle senza venir sospettato di
nutrire secondi fini nella mia visita in USA.
Ci fece accomodare e si sedette anche lui.
"Sarebbe possibile, ad esempio, isolare tutte le missioni di
bombardamento che hanno avuto come obiettivo una città, diciamo,
come Trento nel corso del mese di settembre 1943?"
"La città che ospita il Museo Caproni? Sì, naturalmente. Dove si
trova di preciso?" - Rispose mettendosi al computer. - "Se ricordo
bene è nelle Alpi del Nord-Est... Eccola qua, sull'asta del fiume
Adige."
"Esatto, tra le Dolomiti e il lago di Garda."
"Il IV Stormo. Possiamo recuperare le rotte, i rapporti, anche nei
più piccoli dettagli. Le foto le ha già, con i videodischi dello
Smithsonian."
"E se volessi conoscere i dettagli sulle ragioni di queste missioni
che vanno, diciamo dal 1° settembre 1943 alla fine di aprile 1945?"
- Dissi mettendo sulla scrivania gli elaborati che io e Jill
avevamo stampato il giorno prima.
"Certamente, ma non da noi. E si tratta di materiale tuttora
riservato." - Disse sfogliando i tabulati. - "Non potrei farglielo
vedere senza il permesso del Dipartimento della Difesa degli Stati
Uniti."
"Avevo letto che sarebbe stato tolto il segreto militare da questi
archivi..."
"E' una proposta di legge che l'Amministrazione Clinton ha promesso
di far approvare ad elezioni concluse vittoriosamente. Ma come lei
sa, pur avendo vinto, non si è ancora insediato alla Casa Bianca.
Poi ci vorranno i tempi tecnici, il cambio dei vertici, lo studio
delle commissioni... Ci vorranno almeno due anni, ammesso che venga
approvata dal Congresso."
"Chi potrebbe dare il permesso, in questo momento?"
"I vertici dello Stato, naturalmente. Oppure i capi Dipartimento,
se ritengono che il materiale espressamente voluto da lei non sia
lesivo del Segreto di Stato."
"Lei, potrebbe concedermi il permesso di dare anche solo
un'occhiata ad una serie di informazioni?"
"Francamente non mi sembra il tipo che si accontenti di
un'occhiata, ma comunque non è possibile. Potrei però consultarmi
con il Capo dell'Ufficio Storico dell'US Air Force."
"E chi sarebbe?"
"L'ammiraglio Manny Larsen."
"Un ufficiale di Marina a dirigere l'archivio militare
dell'Aeronautica?"
"Esatto. Per quanto strano, è così. E' uno dei massimi storici ed
esperto delle operazioni del servizio segreto militare."
"E potrebbe consultarsi con l'Ammiraglio per chiedergli
l'autorizzazione di visionare i carteggi di una serie di
operazioni?"
"Sì, posso farlo, ma non le garantisco nulla. Dipende da lui."
Contrariamente al consumistico Smithsonian, il Museo di Deyton
faceva respirare un'atmosfera decisamente militare. Il comandante
si mise a sfogliare con attenzione ciò che gli avevo messo in
mano.
"Dottor Barbini." - Disse accigliato alla fine della lettura. - "I
bombardamenti non sono mai stati un vanto per gli USA. Pensi che
l'Enola Gay, l'aereo che ha sganciato l'atomica su Hiro Shima era
stato esposto allo Smithsonian per un po' di tempo, ma venne ben
presto tolto e ricoverato in un capannone della periferia di
Washington..."
"Comprendo; devono essere moltissimi i Giapponesi che visitano ogni
anno il Museo..."
"Questo solo per dirle che al Dipartimento di Stato non è mai
piaciuto che un giornalista straniero venisse a mettere il naso in
questi archivi."
"Capisco. Ma anche lei la pensa così?"
"Come la penso io è indifferente..." - Indicò il foglio che gli
avevo dato. - "Sono certo però che lei non ha detto tutto sulle sue
intenzioni. Io sono a capo di un museo, ma sono anche un
ricercatore, e intuisco che a lei interessa qualcosa di molto più
mirato. Lei non mi parla solo di operazioni strategiche, ma di
specifiche missioni localizzate, per lo più singole e a raggio
strettamente limitato. Mi pare qualcosa di più di una
commemorazione storica..."
"Ha ragione. - Dissi. - "Ma non riguarda il vostro Paese e non
riguarda neanche il concernente del materiale che vi ho chiesto di
esaminare. Questa è solo una fase, e neanche la più importante," -
mentii - "di un'inchiesta che sto svolgendo nell'ambito di una
ricerca storica locale promossa dal museo. Accetta di
aiutarmi?"
Prese il telefono e si fece chiamare l'Ammiraglio a capo
dell'Ufficio Storico dell'USAF. Rimase a rileggere in silenzio la
mia richiesta in attesa dello squillo di telefono.
"Pronto? Ciao... Sì, bene. Anch'io." - Scambiarono un po' di
convenevoli. Parlarono anche di golf e ne presi nota. Se avevo
capito bene, il Comandante Levitan doveva essere molto più bravo
dell'Ammiraglio che stava dall'altra parte del filo.
"Senti," - disse. - "C'è qui davanti a me un amico con cui gioco a
Golf di tanto in tanto. Uno studioso storico Italiano. Vorrebbe
ficcare il naso in un Mac-Sette."
Sentivo l'altro che parlava mentre il Comandante annuiva e ogni
tanto diceva di sì.
"Beh sì. Sì. Certamente."
Mise una mano sulla cornetta e mi chiese sottovoce: "Che handicap
ha?"
"Handicap 17" - Risposi, precisando che come sempre non era un buon
momento per il mio Golf.
"Gioca bene." - Gli mentì. - "Se preferisci può far coppia con
te... Esatto. Come hai detto? Certo; d'accordo, un dollaro a buca.
Aspetta che chiedo."
Si rivolse a me. - "Che ne dice di giocare domenica mattina con
l'Ammiraglio contro me e un mio amico, 1 dollaro a buca?"
"Dove?" - Dannazione! Se domenica dovevo essere già di ritorno, il
viaggio in Florida sarebbe saltato.
"A Miami. So che lei sarà in zona..."
"Affare fatto." - Sospirai di sollievo.
"Accettato, Manny. Poi non dire che non ti favorisco..! Va bene,
d'accordo. A domenica. Ciao." - Chiuse il telefono. - "Il Golf
schiude le porte del Mondo, mi pare. No?"
"Lei pensa che l'Ammiraglio sia disponibile..?"
"Lei lo faccia vincere..." - Da come lo disse, sarebbe stato più
probabile un miracolo. - "Poi gli chieda di accompagnarlo a
Washington lunedì mattina. D'altronde, è solo lì che può
eventualmente mettere le mani sui documenti operativi che mi ha
chiesto. Qui da noi, adesso, può solo recuperare i riferimenti di
archiviazione, però si porterebbe avanti con la ricerca perché io
potrei comunicarli subito via fax a Larsen."
Mi sentivo elettrizzato.
"Mi scusi," - dissi ancora. - "Ma qual è il suo handicap?"
Si fece serio. Pensò attentamente e poi disse, scuotendo sconsolato
il capo: - "Mia moglie."
Un'ora dopo stavo lavorando in archivio del museo con Jill. Avevamo
a disposizione un paio d'ore di tempo per isolare i dati di
archiviazione che avrebbero potuto semplificare le cose a
Washington lunedì mattina.
"Ti ho fatto fare una figura di merda, prima, con la storia dei Led
Zeppelin, vero?"
"Ma no. Non più di tanto comunque. Ti sei comportata proprio come
una moglie."
"Tua moglie avrebbe fatto una gaffe così?"
"No."
"Ma da una moglie come me c'era da aspettarselo. Vero?"
"Da una moglie qualsiasi, intendevo dire." - Non raccolse.
"Dopo mi spiegherai qualcosa di più, vero?"
"Su cosa? Sugli Zeppelin?"
"No, su quello che stai cercando davvero. Non mi avevi parlato di
missioni notturne o di date."
"Va bene. Anche se è una cosa piuttosto noiosa..."
"Anche tu, alla fin dei conti, non mi consideri tua moglie a tutti
gli effetti, eh?"
"Mia moglie non sa niente di questa ricerca." - Mentii. - "Se non
ti ho considerato come una vera moglie è solo perché tu non
vuoi..."
"OK, OK."
"E' una cosa piuttosto delicata. Te ne parlerò a casa mia, a Fort
Lauderdale. Va bene?"
"Va bene." - Disse - "Ma almeno dimmi cosa devo fare."
"D'accordo. Però," - dissi facendo riferimento alla chiarezza, -
"mi dovrai dire anche tu qualcosa di più su di voi. Cosa stanno
combinando al Bureau? Perché hanno detto al Comandante Levitan che
sarei andato a Fort Lauderdale a giocare a golf?"
"Non me lo hanno detto. E' secret." - Ma lo disse sorridendo.
"Ho dormito con una spia, eh?"
"Posso aiutarti? Alle due ci aspettano." - Aveva cambiato discorso
con un buon argomento.
"Dobbiamo cercare tutti i riferimenti possibili che partono dal 2
settembre 1943."
"E' stata una data importante per l'Italia?"
"Il 2 settembre no, lo è stata solo per la mia città, e in modo
tragico. Ma l'8 settembre del '43 sì. Quell'8 settembre in Italia è
caduto il Fascismo."
"Mi spiace, ma non ne so molto."
"Anche in Italia non si studia molto il Fascismo nelle scuole. E'
come se, nascondendolo ai giovani, potessero cancellarlo dalla
Storia."
"Com'è che è caduto? Ci fu un attentato come per Hitler?"
"No. Ci fu una votazione, il precedente 25 luglio."
"Vuoi dire che il Parlamento non era mai stato soppresso?"
"Non fu il Parlamento. Fu il Gran Consiglio del Fascismo, il
parlamentino del partito, a votare la sfiducia al Duce."
"E lo ha sfiduciato?"
"Esatto. La maggioranza aveva votato contro Mussolini."
"Affascinante. E' sempre meravigliosa la Storia: un dittatore
battuto con un semplice voto democratico."
All'una e trenta, grazie al suo aiuto, avevamo già salutato il
Comandante e stavamo andando con un pullmino dell'USAF ad un
aeroporto militare diverso da quello dove eravamo atterrati.
Passammo vicino ad un fiume.
"E' il Miami? - Chiesi a Jill, che ovviamente non lo sapeva. Lei lo
chiese al secondo autista.
"Mi scusi, Sergente, ma come si chiama questo fiume?"
"E' il Miami, signora."
"Sì, è il Miami. Sei così bravo anche in geografia? Io non so
neanche qual'è il fiume che passa per Milano..."
"Non credo che passino fiumi per Milano." - Dissi ironico. -
"Sarebbero idioti a farlo."
Rise e mi diede un colpetto al braccio. Mi rivolsi al Sergente.
"Mi scusi, ma potrebbe fermarsi vicino al fiume un attimo?"
"Vicino al fiume, ha detto?" - Guardò interrogativo anche Jill, ma
non ricevendo nessuna dritta, fece cenno all'autista di
accostare.
"Va bene qui, signore?"
"Sì grazie." - Scesi dall'auto e, mentre il sergente e Jill
uscivano a guardarmi le spalle, io corsi giù per le scalette che
portavano all'acqua. Probabilmente anche il sergente pensava che
dovessi fare la pipì. Dio sa invece cosa stava pensando Jill.
Presi un altro sacchettino di nailon e cercai di mettervi dentro un
po' di sabbia del fiume. Un lavoro faticoso perché era tutto
gelato. Ma non me ne serviva molta e dopo un po', con un paio di
unghie rotte, risalivo alla macchina. Avevo preso un sacco di
freddo. Il Sergente non disse nulla; probabilmente ne aveva viste
di peggio.
"Prima, quando Growe mi ha telefonato per aggiornarsi," - disse
Jill dopo un po', - "mi aveva chiesto se sapevo cosa diavolo avevi
fatto ad Arlington. Gli avevo detto che non lo sapevo e che erano
fatti tuoi. Ma visto che ti sei ripetuto, e sempre che non mi mandi
a quel paese, non è che potresti dirmi appunto cosa diavolo ci fai
con quei reperti che hai prelevato?"
"Mi domandavo quanto avresti aspettato a chiedermelo. Volevo
dirvelo subito, ma pareva che non vi interessasse."
"Beh, la curiosità..."
"Sono anni che, ogni volta che mi reco in un posto nuovo, raccolgo
dei campioni di sabbia per una mia cara amica che ne fa la
raccolta."
"Raccoglie sabbia?" - Disse disgustosamente.
"Sabbia, sì. Ma solo dei posti più importanti," - mi affrettai a
dire come per rendere più logica la collezione. - "A dir la verità,
ad Arlington ho raccolto del ghiaino bianco, ma è altrettanto
significativo..." - Mi ascoltava come se parlassi turco.
"Ma non eri già stato a Washington?"
"Le avevo già portato terra del giardino della Casa Bianca,
sabbiolina dell'Obelisco, argilla del Potomac, terriccio del
Campidoglio, sabbia dei Memorials di Jefferson, di Lincoln e di
Roosvelt... Non le avevo ancora preso qualcosa del cimitero
di..."
"Roba da non credere."
"Non devi crederci, anzi, non devi farci niente. Come dicevi tu,
sono fatti miei. E della mia amica, naturalmente."
"Amica amica , o amica amica?"
"Amica, punto e basta."
"Ma il fiume di Deyton, che interesse può avere?"
"Il nome: Miami. Le ho portato sabbia di Hollywood della Florida
che conserva vicino a quella di Hollywood della California. Degli
Universal Studios di Orlando e di Hollywood. Ho preso sabbia di
Daytona della Florida, ed ora le porto sabbia di Miami di
Deyton..."
"Dio mio, devi essere matto!"
"No, sono un amico."
"Toccata, scusami. Deve essere bello avere un amico come te..."
"Ce l'hai mi pare, no?"
Non rispose e si girò dalla parte del finestrino.
Più tardi salimmo su un jet militare che portava noi ed altre tre
persone, di cui una in divisa militare, ad Atlanta. Era più veloce
di quello della mattina, perché l'intenzione era di portarci con
mezzi apparentemente normali ad un aeroporto gigantesco del Sud,
dal quale partono tutte le compagnie per tutte le parti del
Mondo.
Giunti ad Atlanta due ore dopo, infatti, ci vennero a prendere
tutti cinque con un pullmino e ci portarono ad altri aerei in
attesa di decollo. Per noi fu un magnifico Citation S2 che ci portò
in meno di un'ora e mezzo al North Perry Airport, un piccolo
aeroporto executive di Hollywood in Florida, 10 miglia Sud da Fort
Lauderdale.
Appena scesi venimmo accolti da una piacevole vampata di
calore.
"Quanti gradi?" - Chiesi ad uno dei piloti.
"Sono 79 gradi Fahrenaith." - Che corrispondono ai 27 gradi
centigradi, pensai.
Salutammo i due piloti che ci avevano accompagnati nell'hangar.
Due poliziotti in divisa marrone, in una macchina con le insegne
della polizia di Stato della Florida, caricarono i bagagli senza
meravigliarsi della mancanza di peso della sacca da golf, e ci
accompagnarono a casa mia percorrendo la University Nord e quindi
la Stirling East fino all'Emerald Golf & Country Club di Fort
Lauderdale.
All'ingresso del villaggio c'era uno dei soliti guardiani che mi
riconobbe.
"Che sorpresa, dottor Barbini! Non la stavamo mica aspettando!"
"Infatti, è un'improvvisata anche per me. Non ti sarai mica
affittato casa mia?" - Gli chiesi scherzando.
"Dio mio, no, no!" - Disse con forza.
"Stavo scherzando." - Ma non lo avevo rassicurato proprio del
tutto.
"Benvenuta signorina!" - Disse alla mia compagna. Poi, rivolto a
me: - "E' sua nipote, vero? Che grande che si è fatta! Quanto
rimanete?"
"Tre giorni in tutto. Ciao, ci vediamo." - Alzai il beauty per
salutare come faccio di solito.
Poi, rivolto a Jill in italiano, dissi: "Hai visto? Non ha neanche
cagato i poliziotti, come direbbe la tua cara cugina."
Alzò la stanga, ma prima di farci entrare diede un passi ai
poliziotti. - "Dovete ridarmelo quando uscite. O.K. ragazzi?" - Il
più anziano aprì il finestrino e sputò.
"Mi ha dato l'impressione che ogni tanto si affitti davvero casa
tua..." - Disse Jill sorridendo.
"Ma non può materialmente farlo. Controllano tutto e i controllori
sono troppi per mettersi tutti d'accordo."
"Cos'è la storia della nipote?"
"Ma niente. Una volta sono venuto qui con una ragazzina di
vent'anni, e me l'hanno menata per sempre."
"Solo una volta?"
"Una o due. Tre al massimo."
"Capisco. Quindi con i vicini è meglio dire che sono tua
nipote?"
"Beh, potrei dire che sei mia sorella o mia zia. Ma dato che
saresti mia moglie..."
"Al diavolo, stronzo!"
I poliziotti ci lasciarono non appena aperta la casa e verificato
insieme a Jill che non c'era nessuno dentro.
"E' un fatto positivo, comunque." - Dissi mentre accendevo l'aria
condizionata, il riscaldamento dell'acqua di casa e della Jacuzzi
in giardino.
"E' positivo cosa?" - Rispose lei aprendo le finestra studiando
così la situazione nei particolari.
"Ogni volta che sono arrivato qui senza preavvisare nessuno,
sapevano che sarei arrivato. Stavolta, no. Avete fatto davvero un
bel lavoro. L'organizzazione comincia a tenere." - La guardavo
mentre studiava alcune prospettive della casa. Misi sotto carica il
telefono portatile.
"E in ogni caso," - continuai, - "sei la prima delle mie amiche che
invece di ammirare la casa e farmi i complimenti, la sta studiando
per preparare una via di fuga. Dico bene?"
"Già."
"Cosa facciamo per la cena? Andiamo all'Outback?"
"E dov'è?"
"Sulla Diciassettesima Strada, prima del ponte levatoio. A cinque
miglia da qui."
"Va bene. Domani però comperiamo da mangiare e preparo io." - Mi
disse.
"Anch'io so cucinare, e bene. Sono un Italiano..."
"Allora vedremo chi sa farlo meglio. O.K.?"
"L'importante è farlo."
"Già." - Ma non aveva capito.
"Non è male casa tua."
"Grazie a Dio sei anche tu una donna come tutte le altre!"
"Con le zanzariere che hai messo, non può esserci contatto con
l'esterno senza fare rumore." - Mi disse con tono
professionale.
"Ma di cosa parli?"
"Della sicurezza."
"Fanculo. Pensavo che parlassi di casa."
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