«I due presidenti» – Terzo capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre |
Capitolo 3.
Quando giunsero le sue valigie diedi la mancia al lift. Lei fino a
quel momento aveva studiato attentamente la stanza in silenzio. Io,
invece, avevo provato a comportarmi come se fossi stato da solo ma,
ahimè, solo non lo ero più. Comunque volevi vederla, c'era un
estraneo in camera. Volevo cambiarmi, ma c'era sempre lei da
qualche parte. Pensai di telefonare a casa, ma mi accorsi che non
avrei potuto parlare in tutta tranquillità. In realtà in questo
modo il Bureau, più che proteggermi, mi marcava da vicino.
"Parli bene l'italiano?" - Le chiesi in italiano dandole del
tu.
"Sì. Mia madre era italiana." - Rispose in italiano con accento
americano. - "Mio padre era un ufficiale dell'aviazione Americana
di stanza alla base di Aviano, nel Friuli. Conobbe mia madre
là."
"Di dov'era il papà?"
"Pensacola. Florida. Per questo abbiamo detto all'Hotel che
provenivo da Miami."
"Anch'io ho una casa in Florida, proprio vicino Miami, più a
Nord."
"Beh, è un caso, perché questo non l'ho letto nelle tue note
caratteristiche."
"Ho cercato di tenerlo nascosto."
"Per via delle tasse?"
"E' una domanda professionale?" - Scherzai. - "No. E' tutto
regolare, ma la casa in Florida deve restare un posto dove nessuno
dei miei conoscenti possa trovarmi."
"Capisco. Hai genitori?" - chiese dandomi del tu.
"Non più. Mio padre se ne è andato due anni fa. Mia madre non c'era
già più."
"Mi dispiace. Ti mancano?"
"Da mia madre ho imparato ad amare e da mio padre ho imparato a
scrivere. Sì, mi mancano."
Sorrise. - "Come ti devo chiamare in pubblico?"
"Come tua moglie: Gina. Che non è poi tanto distante dal mio vero
nome, Jill."
"O.K., Gina." - Mi avvicinai, le presi la mano e gliela baciai. Poi
le strinsi le braccia e la baciai sulla guancia. Contraccambiò.
"Bene," - dissi. - "Prepariamoci per uscire. A che ora siamo a
pranzo?"
"Alle 12."
"Sempre presto in provincia, eh?"
"La tua è una battuta, ma in realtà Washington è provinciale. La
politica americana è provinciale. I politici vengono da tutto il
Paese, portandosi tutte le loro abitudini. Ma nelle grandi città si
pranza a qualsiasi ora del giorno e si cena dalle 5 a mezzanotte.
La gente normale, voglio dire..."
Io presi il mio montone, lei prese il suo e una Louis Vuitton
postina. Era evidente che conteneva un'arma.
Chiesi al nero di servizio all'ingresso di chiamarmi un taxi. I
taxi sono lì a pochi metri, ma conosco i portieri del Carlton e so
che non vogliono che siano i loro clienti a fare lavori che
spettano a loro. Mise il fischietto tra le labbra e cacciò un
terribile fischio come se i taxi fossero stati in Alabama. La prima
vettura accese il motore con calma e si portò avanti di un paio di
metri. Il portiere mi domandò dove volevamo andare e io gli chiesi
di indicarmi dove c'era uno shopping center sulla strada per lo
Smithsonian. Mi disse il nome, il Corner Mall, quindi lo disse
anche al tassista. Fece accomodare prima la mia compagna, poi me.
Gli diedi un dollaro e chiuse la porta senza sbatterla.
"Potevi chiederlo a me." - Disse Jill.
"Lo so, ma mia moglie non lo avrebbe saputo."
Restammo in silenzio finché non passammo davanti alla sede
dell'FBI. Me la indicò.
"Quello è l'Hoover Building."
"Già."
Poco dopo scendemmo all'ingresso del Corner Mall e le feci
strada.
"Andiamo a prendere un caffè." - Le dissi. - "Così parliamo un po'.
Non mi piaceva l'idea di restare in Hotel. O almeno non in questo
momento".
Prima di entrare, un barbone mi guardò come se mi avesse
riconosciuto. Estrassi un dollaro e lui lo prese come se fosse
stato logico riceverlo da me. E' un piacere non sentirsi un
estraneo a Washington.
"Perché non stai anche tu in piazza Lafayette?" - Gli chiesi con
rispetto. Davanti alla Casa Bianca ci sta un numero adeguato di
barboni. Sono gelosissimi, e guai a chi entra nel loro territorio.
Passando di là c'è da sperare che non ti scambino per uno di loro,
perché ti ammazzerebbero per impedirti di alterare
l'ecosistema.
"Là ci stanno i barboni." - Mi rispose con un gesto di nausea.
Entrammo al Corner.
"Sei un tipo strano, ma leghi con tutti, vero?"
"Magari." - Le dissi sorridendo. - "Intanto vediamo se mi riuscirà
di legare almeno con te che sei mia moglie..."
Mi fermai davanti ad un negozio di antiquariato che esponeva in
vetrina una collezione di soldatini di piombo. Soldati del Sud
contro quelli del Nord, Giacche Azzurre contro gli Indiani.
"Mi hanno sempre affascinato." - Le confessai.
"Eppure, mi pareva che non ti piacessero le cose militari... Non mi
hai neanche chiesto di vedere la pistola che porto con me."
"Sono un collezionista di armi antiche, ma non mi interessano le
nuove. Che arma hai con te? Spero che non sia il solito revolver
con canna da due pollici."
"No, infatti." - Sorrise professionalmente. - "Una Beretta calibro
22. Spero che tu non la sottovaluti, perché è..."
"E' molto migliore di un revolver calibro 38 con canna da 2
pollici. Il Bureau sta facendo passi avanti."
"Bontà tua... Ci stanno dotando tutti di automatiche. Molti della
vecchia guardia non le gradiscono affatto, ma io con questo
giocattolo sono precisa fino a 15 metri. Con l'altra lo ero a
malapena entro i 10."
"Una volta sapevo centrare da 10 metri il fondo di una bottiglia
facendo passare il proiettile dal collo."
"Mamma mia!" - Finse meraviglia. - "E quanto tempo fa?"
"Quando ho fatto il militare."
"Pochi mesi fa...?"
"OK, OK." - Tagliai corto. - "Speriamo di non averne bisogno."
"Infatti."
Entrammo in una caffetteria. Al tavolino lei chiese un caffè ed io
un capuccino. Ma portarono a entrambi la stessa cosa.
"Senti." - Mi disse seriamente. - "Abbiamo meno di due ore. Mi devi
parlare della tua azienda e di tua moglie. Tra un po' io devo
prendere effettivamente il suo posto. Dimmi tutto."
"Va bene. Io ti insegno a fare mia moglie, e stasera ti faccio
l'esame."
"Senti, se tua moglie fosse qui, faresti lostesso queste
battute?"
"Sì, naturalmente. Io sono fatto così. Puoi chiederglielo."
"Mi piacerebbe conoscerla, ma non so se piacerebbe anche lei
sapendo che in un modo o nell'altro sto prendendo il suo
posto."
"Io amo mia moglie e lei è tranquilla."
"Inizia parlando dalla tua azienda. Il tempo stringe. Hai
un'agenzia di pubblicità?"
"Ho più di un'azienda. Quella per cui sono venuto a Washington è
una ditta specializzata nella ristrutturazione tecnologica e
funzionale di musei. In Europa, ma soprattutto in Italia, ci sono
milioni di oggetti di interesse storico, artistico, scientifico.
Firenze raggruppa il 50% dei beni culturali d'Italia, e quindi il
20% del Mondo. Seguono Roma e Venezia, ma ogni città italiana ha
un'enorme quantità di beni di varia natura presso i musei. Il
problema è che le strutture museali riescono ad esporre non più del
10- 12% del proprio patrimonio. Tutto il resto giace nei
magazzini."
"Un delitto," - disse convinta - "se pensi che in USA di beni
artistici praticamente non ce ne sono per niente."
"Infatti, lo Stato Italiano potrebbe vendervi il 10% di quello che
avanza, e pareggiare così il proprio debito pubblico... In Italia
si sta cercando di far sì che i musei diventino economicamente
attivi come aziende private e che possano consentire almeno la
disponibilità iconografica dei beni non esposti."
"Iconografica?"
"Oggi si direbbe disponibilità virtuale: se non la puoi toccare,
che sia almeno possibile prenderne visione. Noi ci siamo inseriti
in questo processo. Facciamo progetti e li realizziamo... Devo dire
che ho preso molti spunti dalle strutture museali americane, ma
sostanzialmente ho creato un mio sistema di informatizzazione
iconografica standard, un know-how adatto ai nostri codici
culturali, a quelli europei voglio dire."
"Sento con piacere che professionalmente sei serio."
"Sono sempre serio. Anche quando sembra che spari cazzate."
"No comment. E con lo Smithsonian, avete avuto contatti precedenti
a questo? Cosa ci vai... cosa ci andiamo a fare oggi?"
"Abbiamo realizzato il sistema informatizzato multimediale per un
museo italiano di Aeronautica. Ovvio che dovessi conoscere anche
l'Air & Space Smithsonian."
"Copiato bene?" - Disse sorridendo.
"No, il nostro museo è sicuramente migliore." - Sorrisi anch'io. -
"In realtà avevamo avuto molti incontri e contatti a vari livelli,
ma la sproporzione dimensionale non aveva messo a rilievo
particolari affinità."
"Oggi devo incontrarmi con qualcuno del Museo per acquisire una
serie di informazioni iconografiche ed informatiche che l'Istituto
mette a disposizione di tutti gli enti culturali del Mondo."
"E cioè?"
"Loro hanno tutte le foto didascalizzate disponibili in tema
aeronautico."
"Tutte?"
"Si fa per dire. Ne avranno una decina di milioni."
"E' una battuta?"
"No. Sono contenute in una sola decina di videodischi laser. Ogni
disco contiene oltre 50.000 foto per facciata. Ogni frame è una
foto connessa ad un time-code che ne consente il rapido
reperimento. Con una tastiera o un telecomando puoi individuarla in
una frazione di secondo e, se ti serve, chiederne una stampata. Mi
segui?"
"Forse. Se ho ben capito, il vantaggio dei CD video sta nella
riduzione di spazio di archiviazione e nella qualità delle
immagini..."
"Non sono C.D., cioè non sono Compact Disc. Non sono per niente
compatti: sono grandi come gli L.P., i Long Playing. Sono in
policarbonato come gli altri, ma...
"E come fai a trovare le immagini che cerchi?"
"Col programma di software. Sempre che tu sappia cosa cercare."
"E' questo che intendevo: e se non lo sai?"
"Io per esempio non so esattamente cosa cercare. Ma se ti danno un
programma di archiviazione riesci ad arrivarci per isolamento
tematico o altre logiche di segmentazione."
"E tu, dunque, oggi vuoi comperare i videodischi dell'Air &
Space?"
"No. Loro regalano o non danno nulla. Quello che non possono darti,
però, possono fartelo consultare sul posto."
"Quindi sei venuto a chiedere omaggi?"
"Esatto, a mendicare, ma per conto del mio cliente. Me li daranno,
non preoccuparti. Non so invece se mi daranno le basi informatiche
di gestione. Non ho proprio un'idea precisa neanche di cosa
dispongano in realtà. Lo sapremo presto."
"E tua moglie, saprebbe sostenere un dialogo su tutto questo?"
"Lo credo bene, è il direttore della Ditta..."
"Ah, allora io sarei il direttore!"
"Non montarti la testa. Non puoi essere moglie a metà: o tutto o
niente."
"Dovrei fare interventi anch'io?"
"Sì, stasera... Scusami, è una battuta scontata. Di' quello che ti
senti di dire. Non fare interventi su ciò che non sai,
naturalmente. Se vorrai sapere qualcosa, chiedimelo dopo. Insomma
usa il buonsenso."
"Tua moglie è conosciuta allo Smithsonian?"
"Solo telefonicamente."
"Il suo inglese?"
"Non come il tuo, ma il suo italiano..."
"Spiritoso!"
Ci stavamo affiatando.
"Tu, mia moglie, segui la prassi tecnico amministrativa. I diritti
d'autore, gli aspetti doganali, i permessi d'uso, le liberatorie
eccetera."
"Di questo non ne so proprio niente!"
"Non importa. Ora ti do un po' di bigliettini anonimi della ditta.
Riportano indirizzo, telefoni e fax, partita IVA. Studia a
memoria."
"Mi basterà una letta." - Diceva sul serio, beata lei. - "Ancora
una cosa. Tua moglie, negli incontri ufficiali, si comporta da
manager o da moglie?"
"Da moglie." - Mentii.
"Parlami di tua moglie. E' una bella donna?"
"Sì. Non ha la tua età, ma è giovane lostesso."
"Mora?"
"No. E' una donna bianca."
"Mi riferivo ai capelli... Oh, sei uno stronzo!"
"E' bionda." - Sorrisi.
Tornò seria. - "Cosa ti piace di lei?"
"E' una donna in carriera."
"Lo era anche quando l'hai conosciuta?"
"Sì, naturalmente. Mi piacciono le donne in carriera."
"E l'hai amata solo perché era una donna in carriera?"
"Ma neanche per idea! L'ho amata perché era dolce e femminile,
responsabile e generosa, concreta e seria. Quello che mancava a
me." - Non avrebbe mai potuto accusarmi di averle tenuto nascosto i
miei difetti.
"E il fatto che fosse una donna in carriera, allora cosa
c'entrava?"
"Mi piaceva... mi piace scopare con donne in carriera, le donne che
sanno cosa stanno facendo al mondo. E quindi volevo farmi anche
lei. Poi, quando l'ho conosciuta, me ne sono innamorato..."
"... E così è stata lei a scoparti."
"Esatto. Alla lettera."
"Tua moglie avrebbe fatto questa battuta?"
"Penso proprio di sì..."
"Un'ultima cosa. Quando si rivolgono a tua moglie le dicono
contessa?"
"In Italia no, sarebbe ridicolo. Ma qui in USA, ci tenete così
tanto..."
"Signora contessa..." - Disse sospirando e fingendosi
orgogliosa.
"No. Solo contessa. «Signora contessa» sarebbe una presa in giro
anche qui da voi."
Rimase un po' a pensare su quanto avevamo detto. Rilesse indirizzi
e numeri di telefono, poi si diede forza e si alzò.
"OK. Quando vuoi possiamo andare." - Pagai il conto ed uscimmo.
Lei riusciva mantenere il contatto con me come se fosse davvero mia
moglie. Tuttavia mi teneva sotto braccio quasi senza toccarmi, e
penso lo facesse per restare pronta ad eventuali imprevisti. Stava
tenendo sempre la situazione sotto controllo. Prendemmo un taxi, e
via.
Giungemmo a L'Enfant poco dopo le 12, ma il Vice non era ancora
arrivato. Il posto riservato era messo in modo che potessimo
controllare tutto guardando in un'unica direzione. Il Vice giunse
alle 12 e un quarto. Capii subito che era lui e ci alzammo.
"Piacere, Barbini. Mia moglie..."
"Garcia." - Si presentò con un sorriso caldo e rassicurante. Meno
male. Non mi piace la gente troppo seria.
"Parla anche spagnolo?" - Gli chiesi, riferendomi al suo
cognome.
"No. Di origine forse la mia famiglia sarà stata spagnola, ma io so
dire solo muchas gracias e adiòs, ma non ho mai neanche occasione
di dirlo."
"Adiòs?"
"No, muchas gracias."
"De nada." - Risposi spontaneamente.
"Lei deve essere una persona importante." - Mi disse senza malizia
e con due occhi sorridenti. - "E' riuscito a prendere un
appuntamento con me nel giro di dodici ore. C'è gente che deve
attendere più di un mese."
"Probabilmente saranno amici..."
Jill studiava il mio modo di condurre i rapporti con la gente.
"No. Quelli devono attendere almeno tre mesi."
"Mia moglie ha amici altolocati qui a Washington." - Dissi
restituendo a Jill lo sguardo che mi aveva lanciato poco prima. Lei
si limitò a sorridere con prudenza.
"Beata lei." - Disse ironicamente Garcia. Poi si rivolse a me. -
"Cosa può fare per lei lo Smithsonian Air & Space?"
Parlammo dello Smithsonian e della mia ditta e dei rapporti
precedentemente avuti, scherzando battuta su battuta. La mia
compagna si divertiva pur guardandosi intorno. Lui ogni tanto si
rivolgeva galantemente a Jill, che cercava di dimostrarsi molto
interessata all'argomento.
"Quanta gente lavora all'Air & Space?" - Chiesi a Garcia.
Ci pensò un attimo, e poi disse tristemente: - "La metà. Non di
più."
Talmente sottile, che rise prima Jill di me, e lui l'apprezzò. Era
scontato che l'avrei raccontata a Trento parlando dei dipendenti
provinciali.
Mi chiese come ero arrivato alla comunicazione interattiva, e gli
risposi che c'ero entrato iniziando dalla pubblicità: - "Un brutto
lavoro, ma che qualcuno deve pur fare!"
Questa era la mia battuta di sempre, ma lui non ci trovò nulla da
ridire.
"Perché questo atteggiamento negativo nei confronti della
pubblicità?" - Chiese pro forma.
"In Italia la pubblicità è considerata la madre di tutte le
corruzioni."
"E allora?" - Scoppiammo a ridere.
"A proposito," - dissi con malizia, - "come è entrato allo
Smithsonian?"
"Dalla porta principale. Trent'anni fa, un giovane pilota americano
si scontrava sui cieli della Corea con un aereo cinese. L'aereo
nemico cadde e il pilota morì. Il pilota americano riuscì ad
atterrare con l'aereo semidistrutto proprio quando si trovava in
zona una troupe cinematografica. Il filmato fece il giro degli USA,
e per il pilota la gloria fu tale che poté far a meno di lavorare
per tutta la vita."
"Bella storia." - Dissi guardando interrogativo Jill. - "Ma questo
che c'entra?"
"Quel pilota si chiamava Roland Garcia."
"Era lei?" - Chiesi sorpreso.
"Sì. Grazie a Dio, da allora non ho più dovuto lavorare. Mi hanno
fatto subito Vice Direttore dell'Air & Space, carica che ho
tuttora. Si chiederà perché non sono diventato almeno Direttore?
Perché i direttori lavorano, ecco perché."
Ci facemmo qualche altra risata. Garcia non era male, in fondo.
"E l'anno prossimo andrò in pensione." - Concluse. - "Sono stufo di
non fare niente."
Alla fine del pranzo affrontammo l'argomento che ci aveva portati
allo stesso tavolo.
"Il signor Barbini ha desiderato incontrarla per uno scopo ben
preciso." - Disse Jill.
"Grazie cara." - Le dissi poggiandole dolcemente una mano sulla
coscia, come avrei fatto con mia moglie.
"Mi chieda ciò che le serve, e vedrò cosa posso fare."
"Vorrei avere tutti i videodischi dell'Air & Space disponibili
e i programmi di gestione. Sono stato chiaro e forte?"
"Videodischi delle immagini statiche o di quelle dinamiche?" - Jill
mostrò una smorfia da imbarazzo.
"Tutti quelli legati alle inventariazioni operative dell'USAF nella
Seconda Guerra Mondiale, teatro europeo."
"Ne abbiamo cinque di foto e sette di filmati. Glieli posso far
avere insieme ai programmi di gestione, se vuole. A cosa le
servono?"
"Servono al mio cliente, il Museo dell'aviazione di Guidonia. E'
stato inaugurato da pochi mesi."
"Non capisco cosa se ne faccia il Museo."
Non risposi.
"Se vuole," - proseguì, - "c'è una quantità di software disponibili
che potrebbero servirle per raggiungere facilmente il materiale
iconografico di tutte le missioni operative dell'epoca. Vi potrà
vedere i teatri dei bombardamenti prima, durante e dopo l'azione.
Le foto sono state scattate dagli operatori delle stesse Fortezze
Volanti, i cui riferimenti di identificazione sono in alto a
sinistra di ogni fotogramma. Per conoscere la logica tattica e
strategica di ogni singola missione, invece, dovrà rivolgersi al
Museo dell'US Air Force di Deyton, Ohio. Ma ci vorrà un bel po' di
tempo solo per vedere gli elenchi del nostro materiale. Può venire
quando vuole. Mi dia il tempo di accreditarla all'Ufficio Relazioni
Esterne."
Era quello che avevo già ottenuto per telefono io. La presenza
dell'FBI alla fin dei conti mi aveva solo rallentato i programmi,
ma non lo avrei detto a né a Garcia né a Jill.
"Le metterò a disposizione un tecnico." - Proseguì. Questo era
qualcosa più. - "Ma le faccio preparare subito i videodischi e i
software da portar via. O.K.?"
Ecco, questo era un gran risultato!
"E' molto gentile." - Disse Jill.
"Grazie." - Le rispose Garcia. - "Dove ha imparato così bene
l'inglese?"
"Mia madre era americana. Papà l'aveva conosciuta alla base aerea
di Aviano in Italia..." - Mentì Jill rovesciando la realtà.
"Complimenti." - Concluse Garcia.
Concordammo l'appuntamento per il pomeriggio. Lui fece uscire mia
moglie, che poté così fra l'altro controllare la situazione prima
di farmi uscire. Mi sentivo uno sciocco, con una donna che badava
alla mia sicurezza. Però dovevo ammettere che avere una donna come
scorta, è intimamente rassicurante. In ogni caso non provavo alcun
senso di paura o di disagio.
Ci salutammo.
Tornammo in albergo e, con le dovute precauzioni, entrammo in
camera. Mi sembrava di giocare a guardie e ladri.
Togliemmo i montoni, lei sfilò le scarpe, io tolsi la giacca e la
misi nell'armadio. Mi buttai sulla poltrona e la pregai di entrare
in bagno perché dovevo telefonare a casa e volevo stare da solo. Lo
fece.
Salutai mia moglie e le riferii dell'incontro, come faccio di
solito.
Quando Jill uscì dal bagno, mi ero tolto scarpe, cravatta e
pantaloni. Insomma ero in mutande. Forse mi ero fatto prendere
dalla familiarità della situazione. Lei finse di restare
indifferente, ma dopo un po' sbottò:
"E smettila di andare in giro in mutande!"
E così me le tolsi.
Entrai in bagno lasciandola senza parole.
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