«I due presidenti» – Secondo capitolo

Spy story di Guido de Mozzi

IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI


PERSONAGGI

MARCO BARBINI
IMPRENDITORE ITALIANO

GINA BARBINI
MOGLIE DI MARCO

SAOUL GROWE
AGENTE SPECIALE DELL'FBI

JILL MOORE
AGENTE NSA

JEFF FLIT
CAPO OPERAZIONI NSA

A. CHITTUM E P. VINERY
AGENTI NSA

ROLAND GARCIA
VICEDIRETTORE AIR & SPACE SMITHSONIAN ISTITUTION

GREGORY LEVITAN
DIRETTORE DEL MUSEO DI DAYTON

MANNY LARSEN
CAPO DELL'UFFICIO STORICO DELL'USAF

COLONNELO KENNETT, MRS DOLAN, MR JACOBS
DELL'ARCHIVIO STORICO DEL PENTAGONO

GEORGE BUSH
PRESIDENTE USA USCENTE

BILL CLINTON
NUOVO PRESIDENTE USA

A mia Madre
che mi ha insegnato ad amare,
a mio Padre
che mi ha insegnato a scrivere.



Capitolo 2.



La prima cosa che feci la mattina dopo fu di telefonare in ufficio per vedere come stavano andando le cose. Mi ero fatto portare la colazione alle 6, in Italia le 12.
Mia moglie mi chiese se stava andando tutto bene. Risposi di sì.
La segretaria mi disse di aver ricevuto un fax dallo Smithsonian per informarla che sarei stato a pranzo con il Vicedirettore dell'Air & Space. - "Il viaggio inizia bene, dunque." - Aveva concluso.
Entrai nella vasca da bagno bollente e rimasi lì a riflettere.
Non era per niente certo che il viaggio fosse cominciato bene, anzi provavo un'antipatica sensazione infantile di pericolo. Probabilmente mi ero cacciato in un casino, e non avevo più vent'anni quando me li cercavo io.
Growe aveva accuratamente tralasciato dal curriculum quelli che anche uno come lui poteva effettivamente definire difetti. Mi chiesi quindi quale fosse il suo gioco veramente. Ma non trovando risposte, cercai di capire a quale gioco avrei dovuto prepararmi io, che conoscevo i miei difetti.
Di formazione sono un creativo e di conseguenza non valgo molto nella pratica. E questo me l'aveva fatto capire più o meno chiaramente anche lui. "Lei funziona meglio quando deve improvvisare..." Ma sono uno sbadato, perdo le robe, non sono fisionomista, dimentico... Non avevo più voluto portare la pistola con me perché una volta l'avevo lasciata dal barbiere insieme al telefonino. Sostanzialmente, senza mia moglie e la mia segretaria faccio disastri. Ma il peggio è che sono impulsivo; altrimenti come cazzo pensa che uno si guadagni una decorazione sotto le armi? Per non parlare della guida, diciamo, sportiva; per forza non prendo mai multe, l'auto grossa è intestata a mia moglie...
Ma dato che in compenso sono abituato a lavorare in qualsiasi condizione psicologica, misi da parte il problema e pensai al mio lavoro. Uscii dalla vasca preparandomi su ciò che avrei detto al Vice Direttore dello Smithsonian. Quello sì era un colpo di fortuna insperato, forse l'unico lato positivo della faccenda.
Riordinai le carte, scrissi un paio di fax per l'ufficio e guardai l'ora. Era ancora presto per scendere dal barbiere. Accesi la televisione per le notizie del mattino.
Mr. Barbini, un messaggio per lei al canale 3.
Ancora! Probabilmente c'era lo stesso inutile messaggio della sera prima, ma l'istinto mi portò lo stesso sul terzo canale dove, con sorpresa, stavolta trovai un messaggio. Anzi, un numero, probabilmente telefonico. Attesi un attimo, poi presi il telefono. Ci ripensai e riposi la cornetta. Cosa dovevo fare? Con chi avrei parlato? Avrei avuto bisogno di consultarmi con Growe o qualcuno di loro perché non avevamo previsto un'evenienza del genere. Mi accorsi che non mi avevano dato nessun numero di telefono.
Ma allora cosa avrei dovuto fare? Ricopiai il numero di telefono e composi il numero. Sentii il cicalino della Southern Bell, la Compagnia dei telefoni.
"Il numero è incompleto, è stato formulato male, le linee sono sovraoccupate, o deve formulare il prefisso telefonico anteponendo l'Uno o lo Zero. Riprovi tra un po', rifaccia il numero più lentamente. Componga lo zero per verificare il numero con l'operatore..." - Un intero discorso ma nessuna risposta.
Riprovai di nuovo. Stesso risultato. Tentai ancora una volta. Niente. Si stavano avvicinando le 9. Amareggiato per l'insuccesso, chiusi la TV lasciai la stanza. Uscendo guardai il secondo letto intatto.
Dovrei portare sempre con me una segretaria, pensai sorridendo. Costerebbe il doppio, ma farei meno casino.
Uscii di camera ed entrai in ascensore tutto solo, senza aiuti.
"Dove va?" - Chiesi ad una signora in ascensore.
"Going down." - Rispose l'ascensore.
"Thank you." - Dissi grato alla signora incredula. Mi era tornato il buonumore. Scesi dal barbiere.
"Basement." - Confermò l'amico elevator.
C'era un sacco di gente, altro che isolamento del locale! Mi venne incontro una giovane signorina.
"Il signore desidera?"
"Perché no?" - Sorrisi.
"Scusi?"
"Shampo e frizione."
"Prego." - Mi fece accomodare in una poltrona libera. La poltrona alla mia destra era occupata da un altro signore al quale stavano facendo la barba a rasoio; quella alla mia sinistra era vuota.
La signorina mi preparò con cura. Asciugamano caldo attorno al collo, la testa indietro. Inclinò lo schienale ed iniziò a lavarmi i capelli. Sapeva lavorare bene e con movimenti piacevoli. Mi lasciai pian piano andare tra le sue mani, e dopo un po' il colloquio della sera prima parve del tutto sfocato.
Quando mi fece alzare, ruppe la fialetta della frizione ed iniziò a versarmela sui capelli. Chiusi gli occhi godendomi il massaggio.
Tutto andava bene sotto le dita esperte della coiffeuse. E con la sensazione che nessuno più si sarebbe fatto vivo, per un attimo mi rilassai davvero, poi però subentrò l'apprensione, perché questo poteva comportare anche il mancato incontro con il Vice dello Smithsonian. Ed io stavo perdendo tempo dal barbiere? Ma no! Avevano anche informato il mio ufficio per confermarmelo... Dio, che confusione angosciante.

Finito lo shampo pagai ben 20 dollari, ne lasciai altri tre di mancia, ottenni un piacevole sorriso dalla bella parrucchiera, mi alzai e mi diressi all'ascensore. A questo punto avevo tutto da preparare. Cartella di lavoro, time-table, argomenti, taxi, incontri e chiacchiere con le Relazioni Esterne dello Smithsonian. Loro mi avrebbero portato dal Vice Direttore, se c'era davvero.
L'ascensore si fermò subito e spalancò le porte informandomi che si era al primo piano. Entrarono due uomini, uno dei quali era l'Agente speciale Growe.
Sentii il calore arrossarmi le guance. Era come se non mi fossi recato ad un appuntamento con lui. Poi mi resi conto di essere stato assolutamente corretto e cercai di rilassarmi di nuovo.
Aspettai che fossero loro a condurre il dialogo. Ma fino al quinto piano fu solo l'ascensore a parlare, col quale non me la sentii di scambiare una parola. Growe era rimasto in silenzio, ed io capii che non era il caso di parlare.
Arrivammo al quinto piano ed uscimmo. L'altro non doveva essere dei suoi. Precedetti Growe nella mia stanza chiedendomi rapidamente se l'avevo lasciata in ordine. Appena entrati lui chiuse la porta e vi si appoggiò con le spalle.
"Finito tutto?" - Chiesi finalmente. La mia parte l'avevo giocata e non volevo che si dimenticassero della loro, il mio incontro con il Vice Direttore dello Smithsonian.
"Signor Barbini..." - Disse infine Growe, come se quello che stava per dirmi fosse una seccatura per lui. - "Credo che dovremo spiegarle qualcosa di più. Siediamoci un attimo. Temo che dovrà cambiare i suoi piani di lavoro."
"Ossignore!" - Sbottai. - "Salta la colazione con il Vice?"
"Abbiamo commesso un errore." - Disse, cercando di valutare la mia reazione. Quindi mi guardò negli occhi. - "La sua vita potrebbe essere in pericolo."
"Puttanate." - Risposi sollevato. - "Mi dica come stanno le cose e poi si tolga dai piedi. Non devo nulla a nessuno e nessuno mi ha mai dovuto nulla."
"Si metta comodo e non se la prenda. Per favore." - Da come l'aveva detto, quel per favore non doveva pronunciarlo spesso. E così ottenne quello che voleva.
Lo guardai con attenzione. Era di corporatura massiccia, non pareva essere piacevole avere da discutere con lui, e non sembrava portato a infondere tranquillità.
"Signor Barbini." - Mi disse di nuovo. - "Le cose si sono complicate. Non so da che parte incominciare."
"Dall'inizio." - Dissi.
"Dall'inizio non posso."
"Allora, arrivederci." - Feci per alzarmi, ma ero io nella mia stanza. E in ogni caso mi avrebbe impedito di andar via.
"Stavolta potrei arrestarla, se mi obbligasse."
"Per salvarmi la vita?" - Ironizzai.
"No. Per motivi di sicurezza nazionale."
"Sta dicendo che io potrei mettere in difficoltà la sicurezza di questo Paese? Non mi faccia montare la testa."
"Senta..." - Ora sembrava in vena di confidenze. - "Lei forse non sa che in questo momento abbiamo due presidenti..."
"Lo so. Bush e Clinton. Il primo lo è fino al prossimo 20 gennaio, il secondo lo è dallo scorso 3 novembre. Due galli nello stesso pollaio." - Non rise alla battuta.
"Bene. Uno sta alla Casa Bianca e l'altro dovrebbe stare qui. In questo albergo. E' quasi una tradizione. Oggi però è in altra località perché ci era stata segnalata la concreta possibilità che qualcuno avrebbe cercato di avvicinarlo per mettere in pericolo la sua Immagine. Quella del Nuovo presidente, voglio dire."
"Allora Clinton c'entrava effettivamente in qualche modo con la persona che era stata scambiata per me?"
"La persona che dovevamo intercettare aveva un ruolo di collegamento. Secondo le nostre informazioni qualcuno avrebbe cercato di screditare il nuovo presidente dando vita ad uno scandalo di un certo rilievo. Devo ammettere che sono cose piuttosto comuni..."
"Cosa, gli scandali?"
"Questi tentativi di attribuire ai personaggi importanti colpe di ogni genere."
"Colpe, che questi personaggi non commetterebbero mai, vero?"
"Comprendo la sua battuta. Ma, vede, noi controlliamo le personalità dalla testa ai piedi. E' difficile che un candidato diventi presidente se ha commesso qualche errore in passato."
"Capisco. E cosa ci guadagnerebbero questi millantatori di discredito?"
"Come li ha chiamati?"
"E' un neologismo ad-hoc, uno dei miei vizi e stavolta può essere anche riuscito male. Vada avanti. Tra tre ore sono a pranzo con il Vice Direttore dello Smithsonian..." - Cercai una sua reazione. Ma se ne aveva avute, le aveva dissimulate bene.
"Ricatti di ogni genere. L'uomo di successo li attira come le mosche il miele."
"In questo caso, però, mi pare di aver capito che non si tratta dei soliti ricattatori..."
"No. Questi vogliono sfruttare una situazione soggetta al segreto di stato, e quindi protetta dal fatto che la verità non può essere fatta conoscere, per alimentare una chiacchiera del tutto infondata sul nuovo Presidente."
"Quindi, ripeto, come avevo detto ancora ieri sera, Clinton c'entra."
"Sì, ma non come intendeva lei."
"Io non intendevo proprio nulla. Mi scusi, ma avevo capito bene, quando mi ha detto che la mia vita sarebbe in pericolo?"
"Sono successi due fatti assolutamente imprevedibili, almeno non nelle normali percentuali di rischio.
"Uno sta nel fatto che loro, stanotte, si sono messi in contatto con lei. Non sappiamo come, ma l'hanno fatto riuscendo a superare i filtri normalmente attivati in questi casi. Lei non se ne è accorto, o cosa diavolo sia successo non lo so, ma loro comunque hanno mangiato la foglia.
"L'altro sta nel fatto che avrebbero deciso di sospendere tutto. Con il particolare che nel loro piano di disimpegno lei sarebbe una persona sbagliata. Una persona, come si dice in gergo, comoda."
"Io sarei comodo? Guardi che io sto benissimo come sono."
"Cioè, comodo? Dio mio, ma lo sa che è proprio difficile parlare con lei?"
"Senta. Le do un paio di minuti per convincermi che la mia vita è in pericolo. Trascorsi i quali, le nostre strade torneranno a dividersi e amici come prima. OK?"
"Abbiamo lasciato credere che lei intende andare avanti lo stesso, da solo."
Pausa per mettere a fuoco.
"Vuol farmi capire di aver voluto far credere loro che io... li avrei traditi?"
"E' più o meno quello che abbiamo fatto."
"Io non ho mai tradito nessuno in vita mia, disgraziati che non siete altro! Potevate almeno consultarmi. Io non ci sto per niente. Anzi, se ne vada! Fuori di qui. E lasci perdere il mio incontro con il Vice dello Smithsonian, mi arrangio da solo come ho sempre fatto. Anzi, no; l'incontro me lo dovete lostesso."
Era rimasto ad ascoltarmi con pazienza.
"Lei sa che se glielo avessi chiesto, lei avrebbe accettato."
Silenzio da parte mia.
"Quindi, ho pensato che fosse meglio lasciarla dormire e fare di nostra iniziativa."
"Non ho parole. E se me ne tornassi a casa subito?"
"Metterebbe a rischio la vita dei passeggeri e dell'equipaggio del suo volo, e noi non potremmo permetterlo."
Mi lasciai cadere in poltrona; poi, però, ripresi la mia vena.
"E poco fa mi avete lasciato solo giù dal barbiere?"
"Era più protetto lei del Presidente. Anche la signorina che le ha fatto lo shampo era dei nostri."
"E le ho dato anche la mancia. Beh." - Sorrisi senza allegria. - "Non era poi tanto male. Quando racconterò che una dell'FBI..."
"Avrà momenti di maggiore intimità con noi e conto che lei vorrà mantenere la riservatezza del caso. Le abbiamo attivato un servizio di sicurezza personale. Lei potrà fare quello che vuole, purché lo faccia come vogliamo noi. OK?"
"Forse non ho ancora capito molto bene la situazione."
Sbuffò ma accettò di ripetere daccapo.
"Stanotte hanno cercato di mettersi in contatto con lei telefonicamente. Abbiamo intercettato una telefonata ed abbiamo impedito il contatto. Hanno sentito suonare a vuoto in camera sua..."
"Nesuno mi ha chiamato stanotte".
"Siamo stati noi a deviare la telefonata. Non volevamo che lei rispondesse."
"Però mi hanno lasciato un messaggio nella segreteria telematica."
"Cos'ha detto?" - Era sorpreso.
"Hanno lasciato un messaggio nel terzo canale."
Alzò la cornetta per parlare con il centralino.
"Ho già cancellato il messaggio."
"Dannazione! Ecco cosa succede a lavorare con i dilettanti!"
"Esatto. Però mi sono scritto il numero."
"Quale numero?"
"Mi chiedevano di telefonare ad un certo numero, ed io me lo sono scritto. Eccolo."
Lo guardò eccitato.
"Signore, fa' che non abbia telefonato." - Disse rivolto al Cielo.
"Sì." - Dissi dopo un attimo di voluto silenzio. E lui si lasciò cadere in poltrona. - "Ma non sono riuscito a comunicare perché c'era un guasto sulla linea."
"Dannazione!" - Urlò di nuovo alzandosi. - "Mi dica tutto in una volta! Cosa diavolo ha fatto?"
"Ho tentato di fare il numero, ma rispondeva un messaggio registrato della società dei telefoni che suggeriva di controllare il numero perché era sbagliato."
Guardò il numero. - "Provi a ricordare cosa ha fatto esattamente."
"Il numero, così com'è."
Lo guardò ancora. - "Così il numero effettivamente non va bene. Deve averlo copiato male. Provi a ricordarsi cos'altro c'era scritto."
"Certo che lo ricordo. C'era il prefisso di Washington, ma ovviamente non l'ho ricopiato perché non occorre comporlo, dato che siamo a Washington."
"In questo caso, invece, doveva farlo." - Disse rianimandosi. - "Perché nelle lunghe distanze, anche se nella stessa area, deve comporre l'1, il prefisso e il numero dell'abbonato. Se lei non l'ha fatto, per forza le ha risposto il disco della Southern Bell."
Era raggiante. Telefonò in reception, dove scoprì che il messaggio era stato fatto pervenire dopo che loro avevano fatto intercettare le chiamate. Avevano ancora una volta superato i filtri senza problemi. Loro non dovevano essere proprio dei dilettanti.
Chiamò un suo agente e gli diede il numero con alcune disposizioni, che pronunciò a bassa voce perché non lo sentissi. Poi mi rivolse la parola di nuovo.
"Bene. La fortuna sembra ancora dalla nostra. Ora le dico cosa dovrà fare... Se vuole restare in vita." - Ma non mi spaventò come avrebbe voluto.
"Innanzitutto, lei potrà fare quello che vuole fare, purché rimanga in compagnia di uno dei miei che la accompagnerà per tutto il soggiorno negli USA."
"Vuol dire che la mia privacy è andata a puttane?"
"La veda come vuole. Ma non le sembra che avere una scorta dell'FBI sia uno status symbol? Sa quanti vorrebbero averla solo per sentirsi o farsi credere importanti? I senatori e deputati privi di scorta si sentono tagliati fuori."
"Io ho già avuto una scorta, e in quel periodo non mi sentivo e non ero più libero di un sorvegliato speciale. Non potevo guardarmi una vetrina in santa pace, bermi una birra per i fatti miei, frequentare qualche innocente amichetta. E poi, lo si capisce a distanza che il tuo compagno è uno sbirro; non solo non ci cascherebbe nessuno, ma ti evitano anche gli amici."
"In Italia, forse."
Bussarono alla porta e lui aprì. Probabilmente sapeva chi era. Entrò una donna sulla trentina. Bella in viso, capelli corti castani, occhi chiari, alta, magra, poche tette. Vestiva italiano, anche se non costoso. Un montone marrone sulle spalle lasciava vedere una maglietta beige sopra una gonna che arrivava appena sopra il ginocchio. Le gambe parevano lunghe e slanciate. Sembrava un'intellettuale. Appena possibile le avrei dato un'occhiata al culo. Che fosse dello Smithsonian?
"Le presento Miss Jill Moore."
"Incantato." - Le diedi la mano.
"Sua moglie." - Concluse Growe.
"Moglie di chi, scusi?" - Mi guardai automaticamente intorno.
"La signora... è la contessa Gina Barbini." - La indicò con il pollice.
Rimasi senza parole e la giovane mi sorrise con professionalità.
"Agente Moore." - Confessò la signorina. - "Parlo italiano, se lo preferisce. Lo conosco bene ed ho una certa preparazione di informatica. Mi sono specializzata in scienza delle comunicazioni."
"E sa organizzarsi molto bene..." - Un riferimento di Growe ai miei difetti personali. Lo guardai.
"E perché ha parlato di moglie?"
"Sarò io la sua scorta." - Disse semplicemente Miss Moore affabile. - "Si era pensato di presentarmi come Valentina, la sua segretaria, ma alla fine abbiamo convenuto che la presenza di una moglie avrebbe dato maggiori giustificazioni nei momenti di intimità."
"Potevate farmi avere una segretaria e una moglie!" - Dissi riprendendo senza motivo il mio buon umore.
"Lei non viaggia mai con entrambe." - Intervenne sicuro di sè Growe. - "Anche sua moglie lavora con lei, nella sua azienda, dunque più comodo che sia sua moglie ad essere presente sempre, sia negli incontri di affari che in camera da letto."
Il bastardo credeva di avermi in pugno.
"Come le ho detto," - continuò, - "lei dovrà solo fare quello che avrebbe fatto se non ci avesse incontrati. OK? Le posso assicurare che non vedrà nessun altro dei nostri oltre alla signorina." - Si preparò ad uscire. Sapeva che avrei accettato volentieri.
"Dunque," - concluse - "tra un po' giungeranno in camera le valige di sua moglie che viene da Miami, come abbiamo detto in reception. Si sistemerà qui con lei."
Sorrisi anch'io galante. - "Quale letto preferisce, quello di destra o di sinistra?"
"Lei ha già scelto quello di destra, a me andrà benone l'altro."
Presi il telefono e chiamai il portiere.
"Mr. Barbini. E' arrivata mia moglie. Può far unire i due letti per stasera, prego?"
Risposta affermativa.
"Grazie." - Guardai di sfuggita miss Moore, la quale mi sorrise con gli occhietti socchiusi.
"Non faccia il furbo, Mr. Barbini. Se sono in grado di difendere lei, è evidente che so difendere anche me."
"Non ce n'è bisogno" - dissi pensando ad altro. - "Sono un gentiluomo."
Quindi, osservai, da moglie avrebbe potuto condurre il rapporto come voleva lei, e col mio benestare. Sì, Growe mi conosceva meglio di quanto avesse fatto credere.
Lui grugnì e se ne andò. Mi aveva lasciato in buone mani.


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