Belle Epoque. (Erotica storia d’amore di fine ottocento)
Ottava Puntata
Quella notte eravamo diventati
amanti e da quel momento mi diede del tu, anche se non di fronte ad
altre persone. Inoltre, per quanto cercassimo di accoppiarci con
rigore scientifico, in realtà lo facevamo ogni volta che lo
desideravamo. E il rapporto che più ci legò fu il semplice,
antichissimo e dolcissimo bacio. Ci baciavamo sulle scale,
nell'erba, in salotto, a tavola... Ogni occasione era quella buona.
Da parte mia cercavo di darle quel calore che un uomo deve sempre
dare a una donna in qualsiasi modo la possieda. Da parte sua
cercando di farmi sentire desiderato e amato senza secondi fini.
Una sensazione che davvero non avevo mai provato.
Iniziammo a divertirci, andando in giro per la proprietà, senza mai
uscire dal parco come ci era stato giustamente raccomandato. La
colazione ce la facevamo portare a letto; pranzavamo
preferibilmente in giardino, sotto gli alberi; cenavamo a lume di
candela anziché con il lampadario a gas. Per i pasti ci cambiavamo
d'abito come voleva il nostro status di aristocratici, ma parlavamo
sempre di finanza ed economia, scienze e filosofia, arte e cultura,
come non si usa affatto tra nobili alla presenza delle signore.
Qui sotto, l'Odalisca di Ingres
Era
una splendida conoscitrice di pittura contemporanea. Mi accennò ad
una corrente artistica di Milano, dove i salotti culturali
ricercavano quei pittori alla moda che venivano definiti
Macchiaioli, il cui nome, per me che non li conoscevo, era
di per sè tutto un programma negativo. Concordò con me che l'arte
stava attraversando un periodo di transizione, ma non condivise la
mia avversità per le nuove forme espressive e me ne diede le
ragioni. Ma restai nella mia opinione di non acquistare mai
un'opera fatta da un macchiaiolo…
Parlammo di letteratura, perché proprio in quel periodo era uscita
la Storia della letteratura Italiana scritta dal De
Sanctis. Io, dopo l'esperinza fatta per scrivere della terza Guerra
d'Indipendenza, sostenevo che qualcuno lo avesse incaricato di
scriverla proprio per costruire l'immagine di un Regno d'Italia con
una storia letteraria alle spalle. Lei, che aveva letto Le
confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, sosteneva invece
che il Paese avesse già una notevole consistenza letteraria e che i
confini non potevano fermare la cultura. Cercò anche di descrivermi
i contenuti delle Confessioni perché io non l'avevo letto.
Viceversa le commentai il Carducci, il Foscolo e il Parini,
sostenendo maliziosamente come quest'ultimo avesse descritto Il
Giorno del giovin signore ispirandosi agli aristocratici
piemontesi e non a quelli veneti. Non gradì la battuta perché una
battuta non era, ma alla fine, riconobbe che noi nobili
veneziani... Beh, noi siamo noi.
Parlando di economia, mi parve molto più preparata di quello che
avrebbe potuto essere una donna. Dovetti pensare che il marito
fosse un personaggio importante nel sistema economico del Paese.
Cercai di saperne di più con la scusa di ipotizzare con lei gli
scenari che avrebbero potuto attirare i capitali in quell'ultimo
quarto di secolo. Ma quando provai ad affrontare il concetto di
lotta di classe che allora stava nascendo, mi disse che il problema
era da affrontare in parlamento e non nelle piazze, tantomeno nei
salotti. Le stava a cuore la sofferenza della donna in difficoltà e
l'infanzia sfruttata. Non sopportava l'idea che i bambini potessero
lavorare già a 8 anni, quando nel vicino impero asburgico ne era
fatto divieto fino al compimento del decimo anno di età.
Parlammo di urbanesimo e di possibile emigrazione di massa di
fronte ad una (secondo lei) inevitabile crisi industriale («che
tutti si aspettavano», meno il sottoscritto). Io gradivo
parlare con lei di queste cose anche se non era il mio argomento,
ma si fermava ogni volta che potessero emergere elementi in grado
di farmi individuare l'appartenenza di suo marito. Non volli mai
chiedere di più, anche se forse, insistendo, qualcosa forse mi
avrebbe detto.
Sicuramente era una femmina a dir poco eccezionale. Non avevo mai
trovato una donna come lei che avesse
la forma mentis di un uomo, che utilizzasse la cultura per
esprimere la propria soggettività, che fosse davvero interessata al
confronto delle idee, che mi mettesse in grado di comunicare con
lei senza che dovessi pormi il problema se capisse davvero quello
che avevo da dire, che parlare con lei potesse portare a un
ar-ricchimento della cultura e dell'anima…
Nella scultura di fianco, Amore e Psiche, di
Antonio Canova
«Ti amo.» - ero scivolato a dirle una sera prendendole la mano. Non
l'aveva ritratta, ma mi sorprese.
«Come fai a dirlo? - commentò, dandomi del tu con una certa
intimità. - Come fai dirlo tu che non hai mai amato una donna nella
tua vita…»
«Cosa me lo fa pensare? - Ripetei, cercando parole che non
conoscevo. - Il fatto che improvvisamente desidero di essere amato
da te…»
Non commentò, ma non si aspettava da me una logica così
elementare.
«Amare - mi sorpresi a dire - significa voler essere
amati…»
Mi mise un dito sulle labbra come per fermarmi. Ma poi si lasciò
sorprendere.
«Se fosse così… - disse sempre mantenendo un dito sulle mie labbra,
- allora potrei dirti di amarti anch'io…»
«Per me è la prima volta.» - Aggiunsi commosso.
«E ti è capitato con me… - Commentò. - Povero…»
«La natura a volte è una figlia di puttana. - Osservai ad alta
voce. - Ci amiamo, siamo consenzienti, vogliamo un figlio e
l'avremo. L'amore farà il suo corso, ma noi non staremo insieme.
Anzi, non ci vedremo più.»
Una pendola batté i suoi colpi, quasi a ricordarci che tutto
sarebbe finito presto.
«Li senti questi rintocchi?» - mi chiese avvicinandosi
all'orecchio.
Annuii.
«Sono gocce del tempo, che si staccano...»
La guardai confuso.
«Sono fiero che mio figlio possa avere una mamma come te…»
«Ssst… Zitto»
«Ti amo, Ortensia.»
Mi strinse.
«Ti amo, Marco.»
Novella si era accorta del nostro cambiamento e abbandonò il ruolo
di cameriera personale per assumere quello di nostra complice.
Veneranda invece, che pure annusava l'intesa che si era creata tra
noi, cercava di esalare più veleno di prima. Ma non riuscì a
intossicare nessuno.
Una sera, mentre la stavo prendendo nel modo che ci piaceva di più
e lei gemeva tenendosi il pollice in bocca sospinta dai miei colpi,
buttai lì una proposta filtro. Non si sa mai nella vita. E poi era
un modo per esorcizzare
il peso imminente del distacco.
«Pensi che di tanto in tanto potremmo vederci ancora?»
Si fermò e si girò decisa.
«Assolutamente no, signor conte.»
Saltò giù dal letto, mi guardò stando in piedi nuda, con le mani ai
fianchi, cosa impensabile fino a pochi giorni prima.
«Ora mi prometterai che non farai nulla per cercarmi.»
«Sì, certo. Te l'avevo già promesso.»
«E allora perché me lo hai chiesto?»
«Perché tu sei l'unica che me lo può concedere.»
Si ammorbidì.
«Sì, lo so. Ma non sarà possibile.»
Mi si avvicinò e provò a distrarmi.
«Hai mai amato due donne contemporaneamente?
«Non avevo mai amato nessuno prima di te… Ma sono stato con due
donne insieme, se era questa la domanda…»
Non mi aveva ascoltato.
«Io amo due uomini, eppure non vi vorrei insieme. E uno dovrà
andarsene dalla mia vita.»
Altra pausa di meditazione.
«Chiederò aiuto a Novella.» - disse alla fine.
Qui di fianco, Amore e Psiche, olio su tela di
William-Adolphe Bouguereau
L'indomani Ortensia mi svegliò infilandosi nel mio letto. Novella
aspettò che ci sistemassimo bene sotto le lenzuola, poi ci portò la
colazione e se ne andò soddisfatta del nostro amore. Brava
ragazza.
Mangiammo di gusto, ma di sesso parlammo solo dopo aver messo i
vassoi sui tavolini.
«E' vero che molti maschi sono violenti, sadici, sanguinari?» -
chiese, evidentemente decisa di conoscere tutto in fretta.
Pensai un po', prima di rispondere. Era un argomento in voga in
certi salotti medici di Vienna e di Parigi.
«Va distinto il sesso dalla indole. La violenza non c'entra quasi
mai con il desiderio sessuale. Quando c'è una relazione, di solito
c'è anche una deviazione condizionata.»
Non chiese spiegazioni e continuai.
«Dimenticando tutto ciò che si manifesta in reazione ad una
infanzia sessualmente abusata, o ad un'educazione esageratamente
severa, a un subconscio intimamente tormentato…, tutti portiamo
dentro di noi quelle che i benpensanti chiamano
deviazioni. Raramente sono tra loro equilibrate e anzi la
parte che predomina dà all'individuo la sua caratteristica. Si dice
impropriamente "quello è un porco, quello è un sadico, quello è un
guardone, quello è un masochista, quello è narcisista", solo perché
il suo primo interesse è quello che lo caratterizza. In realtà, ciò
che poi farà nell'accoppiamento, con ogni probabilità sarà un'altra
cosa ancora. Questo vale anche per il sadomasochismo.»
Arrivò al punto.
«E tu cosa sei, sadico o masochista?»
Non mi sfuggì che aveva tralasciato le altre tendenze.
«Dovendo scegliere, - sorrisi senza vergogna. - Direi il primo. O
meglio dominante. Nel mio sesso ludico e in quello reale, io tengo
a dominare.»
«Hai mai visto il quadro di Ingres che riproduce San Giorgio che
libera Angelica dal dragone?»
«Sì, certo, a Parigi. Perché me lo chiedi?»
«Chi avresti voluto essere, San Giorgio? Angelica? Il dragone? La
lancia?»
«Beh, il mio ruolo sarebbe stato il dragone, ma vista la fine che
fa...»
«Allora guarda meglio quella tela. Lo sguardo di Angelica è proprio
di una masochista che viene salvata da un dominante... È
l'allegoria della nostra relazione. Il dragone non è mai peggiore
del salvatore.»
«Che tu sia Angelica l'ho capito. Ma il dragone allora sarei
proprio io?»
«Io ti ho amato per quindici giorni, poi è arrivato San Giorgio...»
Questo che segue è il quadro di Ingres, Angelica
salvata da San Giorgio
Quella sera, dopo cena, fece venire Novella in camera nostra.
«Novella, mi fai il favore di spogliarti?»
«Come comanda, signora padrona.» - In veneto si usa dire
padrone ai signori aristocratici, perché di solito sono
possidenti.
Novella si spogliò senza problemi, come se fosse la cosa più
naturale del mondo. Era molto bella, come me l'ero immaginata. Sana
e ruspante, come le mie giovani amiche di gioventù.
«Questo è il mio regalo per quando me ne andrò. Ho già disposto che
possa giacere con te non appena me ne sarò andata. Vero
Novella?»
Novella fece un cenno d'inchino. Era la prima volta che lo vedevo
fare da una donna ignuda e provai una sensazione piacevole.
«E potrai possederla seguendo le tue perversioni naturali…»
Mentre Novella mi guardava di sottecchi, io trasalii.
«Ortensia, ma cosa…»
«Ma questa sera il tuo padrone sarò io.» - disse improvvisamente,
dando il tempo a Novella di raccogliere la sua roba e uscire dalla
stanza. Ad majora.
Compresi che era arrivato l'ultimo giorno quando Ortensia mi
confidò che aveva buoni motivi di credere di essere rimasta
incinta, perché aveva i sintomi che il medico le aveva descritto.
Capezzoli induriti, tette più sode, indolenzimento delle ovaie e
altre cose che infondono alla donna la certezza dell'avvenimento.
Decidemmo di migliorare ancora la dieta e studiammo il modo
migliore per lasciarci senza troppo coinvolgimento emotivo. Era la
mattina del dodicesimo giorno. Avvertendo una dura tensione
nell'aria, mi chiese di spogliarmi e mi fellò.
«Non è per ringraziarti. - precisò iniziando. - Voglio che ti
ricordi di me così. Quando mi hai conosciuto non avevo la minima
esperienza. Grazie a te, ho imparato a godere e… - sorrise
maliziosa - potrebbe doverti essere grato anche mio marito per
questo, chissà…!»
Provai uno sgradito senso di amarezza per un amore che stava
finendo prima ancora di fosse iniziato e di un figlio che
inaspettatamente mi sarebbe mancato prima ancora di averlo
avuto.
La mattina dopo bussò alla mia porta Novella.
«Mi manda la signora Ortensia siòr cónte. - disse la
cameriera. - Mi ha ordinato di infilarmi nel vostro letto.»
Si spogliò ed io, assonnato, le feci posto. Rimasi in dormiveglia a
godermi il calore che Novella mi trasmetteva con il suo corpo nudo
vicino al mio.
«Quando volete, io sono pronta, basta che comandiate. Ho portato
anche la frusta, all'occorrenza…»
D'un tratto mi ricordai allora che Ortensia sarebbe partita di lì a
poco e balzai fuori dal letto. Mi misi la vestaglia e corsi in
camera sua. Era vuota e il materasso era già stato messo all'aria.
Corsi al piano di sotto, ma c'era solo un'altra cameriera che mi
attendeva per dirmi che le signore erano partite. Nessun altro
messaggio per me.
Aveva voluto evitare l'addio.
[email protected]
(Continua)