Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 20°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 20.
Haiti - Santo Domingo, 10
agosto 2002.
Francamente non sapevo che cosa fare. Mi feci portare
all'albergo e mi infilai di corsa sotto la doccia, come se volessi
togliermi di dosso anche quello che era successo.
Dopo qualche minuto di acqua bollente sul collo iniziai a
riordinare i pensieri. Quasi tutti i pezzi del mosaico andavano al
loro posto, ma mancava ancora il legame che ci fosse tra tutti i
personaggi che avevo conosciuto. Tutti sapevano tutto? Se la
signora Bracques era dei loro, forse la stessa Eva era in pericolo?
La questione che non trovava risposte era perché io?.
Perché mi avevano messo al corrente di cose tanto riservate e
pericolose? Cristo, gli assegni!
D'improvviso mi resi conto di essere caduto in trappola. Non
aveva interrotto così l'isolamento del programma protezione? Non
era stata una grande imprudenza da parte di tutti? Come potevano
contare effettivamente sulla mia discrezione? Sarebbe stato più
logico che Massari non mi avesse più lasciato andare via… Forse
avrei fatto bene a fingere di tenergli il sacco, per poi
dimenticare il tutto nel più breve tempo possibile. Oh… balle! Non
avrei certo dimenticato proprio niente e lui lo sapeva
benissimo.
E gli assegni erano la prova della mia connivenza con lui… Aprii
la busta con gli assegni e li guardai uno per uno. Erano esatti,
quindi mi avrebbero incastrato come un pollo. Infilai gli assegni
nel portafoglio e gettai la busta vuota nel cestino. Poi decisi di
vestirmi in fretta e andare dal nostro console.
Mi stavo asciugando i capelli imprecando ancora contro la mia
coglioneria, quando sentii bussare alla porta. D'un tratto mi passò
l'angoscia, come se fosse venuto il momento della verità.
«Un attimo! - Urlai a chi stava fuori, tenendomi prudentemente a
lato della porta. - Mi metto un accappatoio e vengo.»
Aprii la porta.
«Chi è?»
«Dobbiamo portarla al Palazzo del Governo.»
«Mi vesto e vengo.» - Risposi in tutta tranquillità.
Salii su una camionetta con a bordo un autista e un paio di
guardie armate, cosa che in un contesto come Haiti era del tutto
normale. Ci portarono al Palazzo, dove ci stavano attendendo i
diplomatici italiano e canadese, accompagnati da un funzionario del
locale ministero degli esteri.
«Dottor Barbini, - iniziò il console italiano. - Il ministero
degli esteri di Haiti le vuole chiedere se è disposto a trasferirsi
qui ad Haiti per qualche tempo.»
Molto sottili.
«Le stanno facendo un'offerta di grande interesse. - Proseguì il
console haitiano a Québec. - Si tratta di coordinare gli aiuti
europei che Italia e Canada stanno per ottenere tramite le Nazioni
Unite.»
«Perché io? - Ribattei. - Sono solo un professionista…»
«…Che parla cinque lingue, - era stato il funzionario degli
Esteri di Haiti a parlare. -Che conosce le persone giuste al posto
giusto. Sarebbe un po' una garanzia per tutti…»
La parola garanzia non mi era sfuggita. Dovevo pensare alla
risposta. Certo era che là non volevo fermarmi proprio per nessuna
ragione.
«Avrebbe lo status di diplomatico dell'ONU, uno stipendio
dall'ONU…» - Proseguì.
«Un altro dal Canada.» - Aggiunse il canadese.
«E un altro dall'Italia.» - aggiunse l'italiano.
Massari aveva organizzato tutto molto bene. Possibile che
quell'uomo avesse una capacità organizzativa e contrattuale di quel
genere?
«Diventerebbe una delle persone più importanti del Paese, con
una residenza vicino all'ambasciata americana…»
«Dove c'è l'unico campo da golf…»
Bastardi…
«Potrebbe riorganizzare i trasporti, il turismo… Pensi solo al
recupero dell'Isola della Tortuga. Potrebbe pescare alla
traina quando le pare.»
«Gli stranieri, qui, non hanno problemi di donne…»
«E qui non ci sono solo negre, he he.»
Maiali…
«Ho una famiglia felice e un'attività ben avviata. - Risposi
dopo aver inutilmente pensato ad una scappatoia. - Potrei essere
interessato… anzi, lo sono moltissimo e sono anche lusingato.
Dovete però consentirmi di tornare in Italia e parlarne con la mia
famiglia. Vi darò una risposta entro la fine del mese, un paio di
settimane.»
«No. L'offerta vale per subito. Faccia piuttosto venire qui la
famiglia. Mi pare che veniate spesso in America, no?»
Il tono era più deciso e anche gli altri non erano più tanto
amichevoli.
«Escluso.»
Cadde un silenzio sinistro. Cosa dovevo fare, accettare così
apertamente la proposta di confino che mi avevano fatto?
«Può decidere entro domattina. - Disse il funzionario, cercando
un tono di voce giusto. - C'è un aereo poco dopo le otto. Se vuole
ripartire, le riserviamo fin d'ora un posto in prima classe.»
«Grazie. - Risposi. - Così almeno ho tutta una notte per
valutare la proposta.»
«Mi auguro che rimanga. - Concluse. - Ad ogni modo, le
affianchiamo il signor Robert Lévesque affinché nelle prossime ore
non le manchi nulla ed anzi venga invogliato a rimanere.»
«E il signor Bivar? - Domandai. - E' il mio cliente…»
«Ah, ce ne occuperemo noi…»
Quindi non mi rimase che stare al gioco. E il gioco iniziava con
la cena, dove Lévesque decise di giocare la carta femminile.
Mi portò in un ristorante non molto lontano dal quartiere
occidentale, dove ci sono gli alberghi migliori. Passammo davanti a
una specie di rada sabbiosa, dove c'erano alcune barche di
pescatori in secca. Mi domandai come avrebbero pensato di farmi
fare pesca alla traina senza una barca d'altura. Ma probabilmente
tutte le cose che mi avevano promesso per invogliarmi a rimanere,
avrei dovuto farle arrivare io con i soldi di Massari…
Scendemmo dall'automobile davanti a un ristorante
immancabilmente francese e mi fermai a guardare le tele che
esponevano i pittori di colore sui muri della strada. Erano più o
meno simili, con soggetti di donne e uomini neri che coltivavano
piantagioni, mucchi di angurie e meloni, il mercato con le
bancarelle di frutta e verdura. Tutti però avevano il fascino della
tela naif caribica, piena di colori e riflettenti la semplicità
della vita degli Haitiani. Se fossi stato un turista di passaggio
avrei certamente comperato uno di quei quadri, ma il mio futuro era
incerto sotto tutti i punti di vista. Avevo bisogno di telefonare a
mia moglie.
Vedendo che provavo un certo interesse per le loro opere d'arte,
mi si fece intorno un nugolo di autori a fare una specie di asta al
ribasso per ottenere i miei dollari. Le guardie intervennero per
darmi una mano.
«Calma, calma. - Dissi loro in francese. - Quando esco ne
compero qualcuno. Se ho capito bene, valgono dai venti ai trenta
dollari, vero?»
«Ma no, ma no! - Protestò Lévesque. - Non deve pagarli più di
tre, quattro dollari. Cinque al massimo. Qui ci vivono una
settimana con un dollaro…»
«OK, ragazzi. - Dissi agli artisti mostrando con la mano un
mazzo di dollari. - Quando esco ve li compero tutti.»
Facile fare i miliardari nel paese più povero del mondo.
Entrammo nel ristorante e prendemmo posto un una saletta che
dedicarono solo a noi. Accomodarono un tavolo piuttosto grande a me
e al funzionario, mentre le due guardie si sedettero a un tavolino
a protezione della saletta.
Chiesi dello champagne e della carne alla brace. Robert tradusse il
mio francese nel loro creolo, che compresi perfettamente. E' un po'
come il ladino per noi Trentini, se ci fai attenzione, lo capisci.
Sentii che per la carne non c'erano problemi, ma per lo champagne
sarebbero dovuto andare ad acquistarne nei vicini alberghi delle
catene internazionali.
«Già che deve andare a prenderlo, ne faccia portare una cassa da
dodici.» - Suggerii, e misi alcune centinaia di dollari nelle loro
mani, cercando di comportarmi come un ricco uomo d'affari di merda.
D'altronde, non era escluso che dovessi abituarmici.
Lévesque aveva ricevuto abbastanza soldi per pagarmi tutti i
vizi di quella serata, e mi fece restituire il danaro.
Insieme allo champagne portarono anche degli enormi piatti di
antipasti francesi, misero in piedi una orchestrina con tipici
musicisti di colore e, dulcis in fundo, fecero arrivare tre
magnifiche ragazze mulatte, che vennero a sedersi senza indugio al
nostro tavolo. Lévesque stava giocando la sua carta migliore e mi
venne da sorridere. Alla fin dei conti la serata sarebbe stata
piacevole.
Dopo una decina di minuti e tre coppe di champagne, le ragazze
mostravano di possedere una bellezza e un modo di fare che non
m'aspettavo proprio. Il loro colore era indubbiamente superiore a
quello di qualsiasi altra razza, sicuramente erano alte almeno come
me, le loro forme davano punti alle top-model… Beh, almeno Eva le
batteva certamente.
Verso mezzanotte lo champagne stava per finire, le due guardie
erano stanche e affaticate dallo champagne. Lì, se possono, in
servizio bevono. Avevo ottenuto che due belle ragazze dormissero
con me, mentre la terza avrebbe passato la notte con Lévesque. Se
mai qualcuno avesse dovuto pagare le ragazze, l'avrebbe dovuto fare
il funzionario. Decidemmo di andare a letto.
Preceduto dalle guardie malferme, mi incamminai all'uscita
sorretto dalle due mulatte che mi stavano ai fianchi come due
stampelle. Vidi che un po' tutti facevamo fatica a muoversi;
d'altronde, dodici bottiglie di bollicine a tredici gradi e mezzo
non potevano essere bevute senza danni. Io invece ero freschissimo,
ma finsi di essere sbronzo e misi le mie mani sulle natiche delle
due Naomi Campbell indigene per sostenermi con virile dignità.
Confesso che la nottata con loro due avrebbe potuto essere
memorabile.
«Sicuro di farcela?» - Mi chiese una delle due ragazze, come
leggendomi il pensiero. Si riferiva alla mia capacità di reggermi
sulle gambe, ma finsi di aver capito che avesse inteso parlare di
sesso.
Diedi due pacche sonore ai loro sederi, le tirai a me esclamando
«Stanotte vi farò scricchiolare il bacino, bambine!»
Le due si guardarono e risero. Ma non le avevo incantate.
Appena fuori, venimmo assaliti dalla marea di pittori neri che
mi avevano portato le loro opere.
Scoppiò un casino tale che il nostro gruppo, già affaticato dal
caldo e dall'alcol, non seppe più che cosa fare. Vidi una guardia
finire sotto i piedi di due omaccioni, una delle mie ragazze fu
strattonata e svestita d'un botto. Gettai un'occhiata al suo culo e
mi accorsi che Lévesque non si vedeva. Era l'occasione che
aspettato.
Scappai nella direzione che mi sembrava portasse al porticciolo,
ma venni rincorso immediatamente da due uomini neri grandi e
robusti. Per quanto avessi solo finto di bere, almeno mezza
bottiglia di champagne me l'ero dovuta scolare e dopo due o
trecento metri dovetti smettere di correre e camminare al passo. I
due mi raggiunsero facilmente e io mi fermai. Peccato, l'iniziativa
era stata buona ma non avevo più il fisico. Mentre mi consegnavo ai
due, pensai scioccamente che in quel modo mi ero giocato anche le
due ragazze. Dovevo proprio aver bevuto troppo.
«Eccoci, monsieur. - Disse uno di loro. - Sono le nostre opere
migliori e sono già tolte dal telaio. Lasci stare gli altri, che
non valgono niente.»
Mi sentii improvvisamente riprendere dalla stanchezza. Erano due
pittori di colore che mi avevano inseguito per portarmi i loro
dipinti. In mano avevano dei rotoli e capii che i turisti non
gradivano partire in aereo con i telai.
«Questi sono cinquanta dollari. - Dissi piano. - Ma ce ne sono
altri dieci a testa se mi accompagnate al porticciolo.»
Sono uno spilorcio, mi dissi. In un momento come questo, potevo
anche offrirne di più.
«E' lì.» - Disse uno, mentre l'altro lo indicava.
Mi girai a guardare il tratto di spiaggia con le piccole
barche.
«OK ragazzi. Eccone dieci a testa.»
E adesso?
«Sentite, ragazzi, - anche se non è che fossero proprio dei
ragazzi. Si fecero attenti perché avevano fiutato odore di soldi. -
Mi serve uno che mi porti nella Repubblica Dominicana. Con la
barca.»
«Da qui, monsieur? - Rise. - Dalla baia di Gonave è
troppo distante. Si deve doppiare la penisola del Massif du
Sud e queste barche non ce la possono fare. Saranno supergiù
cinquecento chilometri…»
Mi sentii mancare.
«No. Le conviene farsi portare qui a Sud, a Jacmel. Saranno
quindici chilometri, che in moto può percorrere in mezzora,
risparmiando più di quattrocento chilometri di penisola.»
«Ha! - Esclamai. - E come ci arrivo lì? Qui non ci sono
automobili…»
«In motocicletta, ho detto.»
Mi rianimai.
«Avete qualcuno che può vendermi una moto?»
«No, al massimo troverà uno che la porta.»
«Sveglia, garçon! - Urlai mettendogli in mano 50
dollari. - Trovami il motociclista.»
Mezzora dopo stavo sobbalzando sul sedile posteriore di una
motocicletta di età e di marca imprecisate. Portavo con me un
rotolo di tele dei pittori che mi avevano aiutato, perché non c'era
stato verso di abbandonarle. Si erano offesi e non volevano neppure
un dollaro per niente.
La strada era così sconnessa che per fare dieci chilometri in
moto ci volle quasi un'ora. Ma adesso eravamo sulla costa
meridionale e da lì proseguimmo finalmente verso Est. Dopo un'altra
ora giungemmo nei pressi del Club Med. Superammo il villaggio
stando all'interno e ci fermammo a ridosso di una collinetta, sulla
cui sommità ci stava una capanna. Quando spense il motore, uscì un
uomo a vedere che cosa stava succedendo. Io non mi reggevo più
dalla stanchezza e lasciai che il mio autista trattasse per me.
Parlarono tra loro, poi mi chiamarono.
«Sono cento dollari a testa.» - Disse.
«Perché a testa? Parto da solo…»
«No, devi dare cento dollari a me e cento a lui.»
«Ah… Scusate.»
Sfilai i soldi di tasca.
Li intascarono senza commenti. Il motociclista se ne andò,
l'altro entrò in casa, prese delle cose e uscì subito.
«En y va. - mi disse. - Voglio sbarcarla prima che
sorga l'alba.»
Partimmo per l'ultimo tratto di mare. Guardai la costa
allontanarsi, poi mi lasciai cadere sul fondo della barca, sfinito.
Il barcaiolo mi gettò sopra una tela e io mi addormentai.
Mi svegliò un rumore solo quando arrivammo a Pedernales, il
primo centro abitato della Repubblica Dominicana.
«Ci siamo, monsieur.»
Mi tolsi le scarpe per saltare in acqua.
«Non dimentichi queste, monsieur.»
Mi girai e mi porse le tele arrotolate acquistate a
Port-au-Prince. Non me ne poteva importare di meno, ma le presi e
lo ringraziai, dandogli altri dollari.
Sbarcai velocemente e andai a cercare un mezzo di trasporto. Qui
i prezzi erano più cari e ci vollero venti dollari per portarmi a
un taxi, più altri cento al tassinaro per farmi portare a Santo
Domingo. Vi arrivai verso mezzogiorno e mi feci lasciare in
Calle Rodriguez, dove ha sede la nostra Ambasciata.
L'ambasciatore Marzio Marzullo, inviato straordinario e ministro
plenipotenziario di Seconda Classe, era competente per la
Repubblica Dominicana, Antigua Barbuda e Basseterre con credenziali
di ambasciatore, ma del tutto fuori giurisdizione per quanto
riguarda lo stato di Haiti. I due stati confinanti non hanno mai
avuto rapporti di buoni vicinato. Dopo il periodo coloniale, la
Repubblica Dominicana aveva provocato l'esodo dei negri dal proprio
territorio verso quello di Haiti e favorito l'immigrazione di
manodopera qualificata dall'Europa. Completamente diversa per
cultura, razza, estrazione sociale ed economica, la Repubblica
Dominicana è popolata da bianchi che parlano spagnolo ed è
economicamente e socialmente stabile. Haiti, invece, come abbiamo
visto era uscita da poco dal medioevo, popolata da negri perlopiù
analfabeti. Non ci sono voli che collegano Santo Domingo a
Port-au-prince, non ci sono strade che li mettono in comunicazione
via terra. Le rappresentanze diplomatiche sono del tutto
scollegate.
Fui ricevuto subito dall'ambasciatore. Lungo la strada per Santo
Domingo mi ero studiato una versione da riferire all'ambasciatore,
ed ero giunto alla conclusione che era meglio dirgli il meno
possibile, suggerendogli di parlare con il suo Ministero e con gli
Interni. Venivo da Haiti, da dove ero semplicemente fuggito per
motivi politici che non potevo riferire, in quanto ero coinvolto in
fatti per i quali le massime autorità italiane mi avevano imposto
il segreto. Dovevo tornare al più presto a Roma o a Miami e avevo
bisogno del suo aiuto. Non avevo il visto di entrata e…
«Dottor Barbini… - Disse Marzullo chiudendo il mio passaporto,
senza peraltro restituirmelo. - Devo chiedere istruzioni a
Roma.»
«E' naturale. Lo faccia.»
Io mi aspettavo che prendesse il telefono e chiamasse Roma, ma non
era così semplice.
«Preparo un telex cifrato e chiedo istruzioni. - Guardò l'ora. -
In Italia è il tardo pomeriggio, ma riceverò risposta entro questa
sera. Nel frattempo le consiglio di andare ad acquistare qualcosa
per sostituire il suo abbigliamento. Potrà farsi la doccia qui da
noi. Le posso anche dare una stanza per dormire in ambasciata.
Vuole telefonare a casa?»
«Grazie.» - Risposi. Presi il telefono e chiamai casa.
Pochissime parole per dire che era tutto a posto. Aveva risposto
mia moglie.
«Ciao amore. Tutto bene?»
La sentivo in ansia. Il sesto senso.
«Tutto bene.» - Mentii.
«Sei ancora lì?»
«No. Sono a Est. Dillo a Vittorio.»
Non aggiunsi altro e lei capì di non poter insistere.
«Ottimo allora. Un bacio.»
«Un bacio.»
Fine della telefonata. Mia moglie aveva capito che c'erano stati
dei problemi, che non potevo parlarne, ma che non correvo rischi di
sorta. Forse capì che ero a Santo Domingo, ma non ci sperai. Di
certo aveva capito che doveva però informare il senatore
Giuliani.
L'ambasciatore aveva aspettato la fine della conversazione, poi
aveva fatto chiamare un addetto.
«Mariano, per favore, potresti accompagnare il dottor Barbini a
fare acquisti? Deve cambiarsi d'abito, comperarsi un bagaglio a
mano e dotarsi di un nécéssaire da toilette.»
«Certo ambasciatore.»
Nel tardo pomeriggio, dopo che mi ero lavato e cambiato gettando
nel cestino i miei elegantissimi pantaloni di lino blu e la camicia
azzurra di cotone, l'ambasciatore mi invitò nel suo ufficio
privato.
«Ho ricevuto risposta dalla Farnesina e l'ho decifrata. Sono
lieti che lei sia ancora vivo… Dicono proprio così. Tocchi ferro,
ma evidentemente temevano che lei fosse morto. Non mi hanno
informato di che cosa si tratti, però mi hanno detto di riferirle
che l'attendono a Roma.»
«Bene.»
«C'è una frase che capisco poco… - Disse riprendendo a leggere
il dispaccio. - Passera est in volo…»
Sorrise, incerto se si trattasse di un messaggio goliardico o di
qualcosa di importanza vitale per il Paese.
«Evidentemente è un messaggio che comprende solo lei… He
he.»
Mancava solo che mi facesse l'occhiolino d'intesa.
«Già.»
Mi avevano fatto sapere che avevano già fatto rientrare
Bivar?
Trovai la forza di ridere solo dentro di me ma se ne
accorse.
«Vedo che è soddisfatto. Buone notizie dunque…»
«Infatti!…»
Sorrise anche lui.
«Devo dare risposte?» - Mi chiese alla fine.
«Sì, grazie. Cioè no. Ho una domanda. Può chiedere notizie sulla
Tortuga?»
Prese nota.
«La Tortuga… Vuo dire l'isola dei pirati?»
«Proprio quella.»
Mi guardò scettico, ma sapeva fare il suo lavoro e concluse la
lettura del messaggio.
«Devo imbarcarla in un volo per Milano. Prima però devo farle
avere un visto d'ingresso a Santo Domingo perché lei è entrato
clandestinamente. Un volo della Iberia parte stasera alle 23.30 per
Miami. Da lì va a Madrid, quindi Milano.»
Prima di cena ero riuscito a farmi fare un massaggio da una
splendida Dominicana che avevano fatto venire apposta in ambasciata
perché ero letteralmente a pezzi e il volo sarebbe stato
massacrante. Ero stato costretto a cenare per dovere di ospitalità
con l'Ambasciatore e sua moglie.
«Di cosa si occupa nella vita?» - Mi aveva chiesto
maliziosamente.
«Di calze.» - Era la prima cosa che mi era venuta in mente. - Ha
presente le calze Cloudy?»
«Ah, quelle che danno leggerezza alle donne conformate?»
«Esatto! - Risposi ammirato. - Come fa a conoscerle una donna
bella come lei che non ne ha affatto bisogno?»
«Mi piacciono lo stesso, anche se qui nell'isola non si usano
molto le calze. Complimenti, è stata una grande idea…»
Peccato che l'idea non fosse stata mia, ma non glielo dissi
perché l'avrei delusa…
Mi imbarcarono seguendo il percorso VIP dell'aeroporto. Il
biglietto di prima classe era stato pagato dalla sede diplomatica
perché non avevo abbastanza soldi, e l'ambasciatore aveva deciso di
fare bella figura.
Poco prima che chiudessero le porte dell'aereo, mi raggiunse
improvvisamente Mariano per dirmi di uscire un attimo perché
l'Ambasciatore doveva dirmi una cosa urgente. Informai il
comandante e uscii.
«Ambasciatore... - Dissi guardandolo. - Problemi?»
«Aveva dimenticato le tele...» - Disse ad alta voce, mettendomi
in mano i quadri acquistati ad Haiti.
Poi mi si avvicinò e parlò sottovoce.
«Ho appena ricevuto risposta alla sua istanza sulla
Tortuga.»
Mi mise furtivamente un dispaccio in mano .
«E' già decrittato.»
«Ebbene?»
«Ebbene, - mi guardò per studiare come dirmelo. - C'è scritto
letteralmente che il pirata è morto. E' stato ucciso
ieri.»
(Continua)
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