Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 17°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 17.
Roma, Zona Prati, fine
luglio 2002.
Quando lasciai l'ufficio del sottosegretario, mi sentivo
stupidamente più importante di prima per la semplice ragione che
avevo parlato con la massima autorità dello Stato. In realtà però
il Capo della Polizia aveva parlato in un modo che dire ermetico
sarebbe stato un eufemismo. Dovetti ammettere che non ero riuscito
a comprendere quello che voleva dirmi esattamente, mentre lui aveva
l'esatta sensazione che io avessi capito invece tutto…
Per muovermi mi avevano messo a disposizione un'automobile
guidata da un agente in borghese di nome Cesare, che mi avrebbe
fatto anche da scorta, non so perché. Era grande e grosso come un
armadio e portava una pistola nella fondina dietro la schiena che
sembrava avesse le dimensioni di un'incudine. Oltre alla macchina,
all'autista e alla scorta, però, adesso avevo anche un guardiano e
una spia, cioè uno che non mi avrebbe più mollato e che avrebbe
riferito tutto quello che avrei fatto.
«Dottor Barbini, mi hanno detto dove portarla. Vuole salire?» -
Mi disse Cesare aprendomi la porta posteriore di una Fiat
Marea.
«Siedo davanti, Cesare. E potresti chiamarmi Marco e darmi del
tu?» - Gli risposi. Non volevo che si sentisse un autista.
«Certo, dottor Barbini.» - E mi fece accomodare dietro.
Ecco.
«E ti hanno detto di portarmi?»
«Sì.»
Mentre Cesare mi raccontava un sacco di pettegolezzi sulle
segretarie del senatore, io provai a ragionare. Se il Capo pensava
che io avessi capito tutto, era evidente che potevo arrivarci da
solo. Anzi, probabilmente ci ero arrivato senza essermene accorto.
In buona sostanza io avrei dovuto collaborare con lo Stato e in una
maniera tale da impedire allo Stesso Capo di dirmi che cosa avrei
dovuto fare. L'idea di essere così prevedibile mi urtò. Non c'erano
problemi da parte mia, ovviamente, come d'altronde gli aveva
assicurato il senatore prima ancora di organizzare l'incontro. Ora
l'unica cosa certa era che dovevo prendere contatto con questo loro
funzionario di cui non sapevo proprio nulla.
«Si chiama Zona Prati - mi spiegò Cesare, - perché una volta,
qui dove adesso ci sono tutti questi palazzoni, c'erano solo prati
veri e propri.»
Mi girai intorno cercando di immaginare come doveva essere un
tempo, senza riuscirci.
Arrivammo poco dopo l'una, ma né io né la persona che dovevo
incontrare avevamo intenzione di sederci a un tavolo per pranzo. Mi
portò all'inizio di una via secondaria non molto lontana dal
Mercato delle Erbe, all'altezza di una piccola villa con giardino e
muri abbastanza alti da non lasciar vedere l'interno ai passanti.
Pronunciò un paio di parole alla radio per far aprire il cancello
elettrico. Entrò con l'auto e la fermò. Mi indicò una breve
scalinata. Vi salii e la porta si aprì prima che arrivassi alla
maniglia. Un uomo sulla cinquantina dall'aspetto di un
commercialista mi fece entrare e mi accompagnò in un ufficio che
aveva le persiane chiuse. Un uomo seduto alla scrivania alzò gli
occhi a me e mi indicò la sedia chiudendo la pratica che aveva in
mano.
«La stavo aspettando.»
«Lo so.»
Non gradì la mia risposta.
Si presentò, senza darmi la mano, come Massimo Frizzi,
precisando che era un alto funzionario della DIA, Divisione
Investigativa Antimafia.
«Mi occupo di riciclaggio.»
«Lo so.» - Ripetei, forse un po' intempestivamente.
«No, lei non lo sa e la prego di non interrompermi.»
Cazzo, pensai, ma questo saprà che sono amico del
senatore?
«A scanso equivoci, desidero precisarle fin dall'inizio che io
non volevo accettare la sua…, diciamo, collaborazione.»
Cazzo, pensai ancora, questo sa chi sono io e non gliene
frega niente…
Aveva ragione, ma io sono fatto a modo mio. Mi alzai.
«Allora siamo in due. - Gli dissi avviandomi verso la porta. -
Neanch'io voglio collaborare con lei.»
Non si scompose.
«Io non combatto il riciclaggio. Io riciclo
denaro.»
La frase mi colpì e tornai indietro.
«Cosa diavolo sta dicendo?»
«Il mio lavoro è riciclare capitali sporchi.»
Mi sedetti.
«Senta. - Volle precisare in maniera piuttosto risoluta.
Appoggiò i gomiti, congiunse le mani e vi appoggiò il mento. Poi mi
guardò duramente. - Quello che sto facendo è talmente delicato, che
trovo vergognoso che lei sia stato fatto accedere al programma che
dirigo. Ma visto che devo farlo, voglio ricordarle che se esce una
sola parola, dico una, in merito a quello che viene a sapere
tramite nostro, salta un intero sistema impossibile da rimettere in
piedi. I danni sarebbero incalcolabili ed io non esiterei a
spararle. La ucciderei personalmente. E so come fare in modo che a
nessuno venga neanche voglia di chiedersi che fine abbia
fatto.»
Beh, se voleva impressionarmi, ci era riuscito perfettamente.
«Noi ricicliamo denaro sporco per conto dello Stato, nella
totale illegalità.»
«Ha detto… illegalità?» - Ripetei.
Forse voleva dire legalità, o forse avrei fatto meglio andarmene
davvero…
«Gli scopi sono molteplici, ma quelli portanti sono presto
detti. Col passaggio dalle vecchie monete europee alla moneta
unica, la malavita di tutto il mondo si è trovata ad avere
un'eccedenza di contanti sporchi, destinata a diventare carta
straccia nell'arco di un certo periodo di tempo. Si parla di
migliaia di miliardi di Lire, di miliardi di Marchi, di Franchi, e
così via… Il riciclaggio di masse così ingenti di contanti ha
cominciato a creare enormi problemi fin dagli inizi del 1999 e cioè
già due anni prima dell'Euro. Il più visibile agli occhi di tutti
era il Dollaro che si era messo a lievitare in maniera progressiva
quanto inarrestabile.»
«Ricordo.» - Dissi a bassa voce.
Guardò verso la finestra chiusa, poi si girò nuovamente verso di
me.
«Era accaduto che questi possessori di capitali illegali in
Marchi, Lire, Franchi o altro in contanti, si erano messi a
svenderli al mercato nero a prezzi stracciati, arrivando a punte
che sfioravano il 50%… Stavano facendo sballare i mercati
finanziari al punto che gli stati europei hanno dovuto accordarsi
per intervenire e acquistare questa montagna di denaro sporco al
posto degli americani.»
Una notizia della Madonna che mi fece uscire con una delle mie
solite insinuazioni.
«Così avete fatto un affare non da poco, direi… Voi chiedevate
solo il 40%?»
Un lampo gli attraversò gli occhi, ma non raccolse.
«Il secondo aspetto, al momento imprevedibile, è che riciclando
denaro paralegalmente siamo entrati in contatto con la maggior
parte delle cosche mafiose, arrivando quasi a condizionare perfino
i flussi di denaro provenienti dalla mafia russa…»
Incredibile.
«E così, adesso i nostri politici dovevano solo decidere se
limitarsi a mantenere il controllo dei flussi come stavamo facendo,
oppure se dovevamo anche fare scattare una trappola gigantesca per
dare un colpo di grazia al malaffare del secolo scorso.»
«Questa è la premessa. - Osservai. - Ora affrontiamo ciò che mi
riguarda?»
«Quello che stavamo facendo con il suo amico Massari era
un'operazione chiave per l'intero impianto investigativo antimafia
nel quadro della mia divisione operativa.»
«Questo lo sapevo, - ammisi. - Ma io non potevo saperlo.»
«No. - Controbatté con durezza. - Lei non sa un cazzo neanche
adesso. Ma non ci era arrivato a capire che la Mafia del Brenta non
poteva maneggiare importi così ingenti di danaro? Si parla di
migliaia di miliardi, non di qualche miliardo di Lire!»
Mi sentii un idiota.
«Ora le dirò qualcosa di assolutamente segreto, quindi si
prepari a mantenerlo come tale.»
«Prego…»
«La Mafia del Brenta in realtà eravamo noi, sotto
copertura…»
«Ma che diavolo sta dicendo?» - Esclamai alzandomi in piedi.
La mia non era una domanda e lui non mi rispose.
Invece mi lasciò pensare da solo, comprendendo perfettamente che
adesso dovevo rivedere completamente tutto lo scenario che
conoscevo. Massari, Eva, Amélie…
«Scusi, ma allora i due poveri diavoli di Longoni e… come si
chiamava l'altro, Kezich? Che ruolo ebbero avuto?»
«Poveri diavoli un corno! - Rispose. - Quelli sì erano l'unica
parte effettivamente legata alla disciolta Mafia del Brenta. Senza
saperlo, loro erano la nostra copertura…»
Non sorrise neanche di fronte all'ironia delle parole che aveva
pronunciato e anzi colse l'occasione per punzecchiarmi.
«Lei pretendeva di aver capito quasi tutto, ma non aveva notato
l'incongruenza di due malavitosi che nel bel mezzo di un'operazione
così macroscopica e spettacolare come quella che il colonnello
Marpe del Gico di Venezia aveva attivato, non si sono fatti
problemi a mettere in piedi un banalissimo ricatto e chiedere la
miserabile cifra di qualche milione di dollari…»
«Certo… - Ammisi più a me che a lui, dandomi dell'imbecille. -
Ma…
Non finii la frase e lui non intervenne.
«E Amélie?» - Chiesi subito.
«Beh, sapeva tutto e ha collaborato bene con noi. E' un peccato
che non voglia collaborare più. Quella sì era tagliata…»
«Il Gico?»
«Il Gico ha fatto il suo lavoro. Abbiamo dovuto far precipitare
tutto per colpa sua, dottor Barbini.»
«Ma il Gico sapeva di voi?»
«No! Ma lei aveva portato un senatore sbagliato nel posto
sbagliato al momento sbagliato.»
«Eva, Eva Massari?»
«La lasci in pace.»
«E chi l'ha più contattata?»
«La smetta di comunicare con lei via internet.»
Mi andò al sangue alla testa.
«Bastardo… Che ne sa lei delle nostre e-mails?»
«Devo raccontarle la storiella che le ha mandato due settimane
fa?»
«Quale storiella?»
«Duce! Duce! Arrivano i Monsoni!
«Il Duce: Annientateli!
«Ma, Duce… Sono
venti!
«Il Duce: Fossero anche cento!»
Dio mio, era vero… Avrei voluto spaccargli la faccia, ma mi
sentivo un cretino.
«Massari?»
Restammo a guardarci in silenzio per qualche lunghissimo
minuto.
«Vuole sempre collaborare con noi?» - Domandò con disprezzo.
«Così vuole il Capo… - Allargai le braccia, domandandomi a quel
punto perché mi aveva fatto andare da Massimo Frizzi. - Cosa devo
fare?»
«Mi stia ad ascoltare e si tenga pronto. Quando saprà tutto
dovrà essere in grado di affrontare ogni evenienza, da qualsiasi
parte provenga.»
«Qualche istruzione in particolare?»
«No. Lei deve agire sempre di testa sua. Non pensi mai a cosa
farebbe se appartenesse alla Struttura. Lei deve restare
imprevedibile. E' il motivo per cui si trova qui.»
(Continua)
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