Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 16°
SECONDA PARTE
®
Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 16.
Roma,
Viminale. Fine luglio 2002.
Sei mesi dopo, quel che restava della cosiddetta «Operazione
Folichon» era solo un ricordo, in parte doloroso e in parte
piacevole.
Roberta, che per me era la bocca della verità, non affrontò più
l'argomento, il che la diceva lunga. La campagna pubblicitaria era
andata al di là di ogni più ottimistica previsione, e tutti
facevano soldi a palate. A parte noi, ovviamente, che dalle
campagne pubblicitarie che realizziamo riceviamo solo il pattuito e
tutto finisce lì. Ma questo è il destino delle agenzie di
pubblicità, ogni volta si deve ricominciare tutto daccapo.
D'un tratto, una novità. Ci fu un rimpasto di governo per motivi
che non ricordo, ma sta di fatto che il senatore Vittorio Giuliani
venne nominato sottosegretario al Ministero degli Interni. Le
previsioni si stavano concretizzando. Un mese dopo la sua nomina mi
invitò a trovarlo nel suo nuovo ufficio ed io avevo accettato molto
volentieri.
Arrivai al Ministero degli Interni alle 10 del mattino del 18
luglio 2002.
Passai il controllo documenti e mi portai al metal detector.
«Porta armi con sé?» - Mi chiese l'agente di servizio mettendomi
la valigetta sul nastro.
«Certo che no!» - Risposi. Che domande…
Mi avevano dato il passi e fatto accomodare in sala d'attesa
assicurandomi che sarebbe venuto a prendermi un funzionario. Dopo
un po' mi venne incontro un uomo sui cinquant'anni.
«Piacere dottor Barbini, mi chiamo Marino Varesco e sono il
segretario particolare dell'onorevole senatore Giuliani.»
«Piacere di conoscerla.»
Mi fece uscire nuovamente dall'ingresso principale del Viminale
e mi portò all'ala destra del palazzo, dove c'era un portone meno
importante di quello principale, ma con un andirivieni decisamente
più operativo.
«Il signor ministro e il sottosegretario entrano ed escono di
qua. - Mi spiegò, prevedendo la mia curiosità - E' più riservato e
controllabile. Quello principale viene usato solo nelle circostanze
ufficiali e cioè mai. Il ministero non ha vita mondana come gli
Esteri o la Difesa.»
«Qui i commessi non portano la marsina come alla
Farnesina?» - Domandai con un po' di malizia.
«No, qui i commessi sono agenti di polizia in alta
uniforme.»
Avevo fatto una domanda maliziosa del cazzo…
Tutte le persone che incontravamo ci salutavano, meno quelle che
avevano una grossa automatica infilata dietro nella cintura dei
pantaloni. Mi portò a conoscere i collaboratori della segreteria
operativa del senatore, una ventina di persone, ognuno
specializzato in qualcosa di specifico. Salutai uno per uno. La
metà erano donne, tutte belle e sulla quaranta, due delle quali
piacevolmente formose. Entrambe portavano le calze Cloudy, le ormai
famosissime calze per donne che avevano sconfitto
l'anoressia, ed entrambe accavallavano le cosce con malizia e
soddisfazione…
Infine mi fece entrare in un grande salone arredato con mobili
dall'aria imponente, in noce nazionale.
«E' qui che il ministro tiene le conferenze stampa. - Spiegò. -
Anche la conferenza di ferragosto viene tenuta qui.»
A ferragosto il Ministro degli Interni, il Sottosegretario e i
loro staff sono tradizionalmente al loro posto di lavoro, la cui
presenza viene ufficializzata con la conferenza stampa del 15
agosto. I colpi di stato, si sa, avvengono quando il paese è in
vacanza.
«Non male. - Osservai. - Dà il senso dello Stato…»
«Questo è anche il mio ufficio.» - Aggiunse, cercando di
sfoderare la più sincera modestia.
Però non resistetti a fare la stessa battuta che avevo fatto a
Massari quando avevo visto la sua megagalattica casa a Québec
City.
«Parva sed acta mihi, eh?»
«Come ha detto scusi?»
«Latino. Significa Piccola ma adatta a me…»
«Ottima ironia.» - Commentò. Sicuramente prese nota per i
prossimi ospiti.
«Scherzi a parte, l'ufficio del senatore è nella stanza accanto,
e non ci sono altre stanze che vi accedono direttamente. Quindi mi
sono dovuto sistemare qui.»
«Il che vuol dire almeno che l'ufficio del senatore non è più
grande di questo…»
«No, grazie a Dio, ha ha!»
Varesco non era male tutto sommato. Beh, altrimenti non poteva
essere lì.
«Aspetti che vedo se può riceverla.»
Entrò nella stanza accanto senza bussare e richiuse la massiccia
porta dietro di sé. Vi restò una decina di minuti, durante i quali
i telefoni della sua scrivania squillarono senza sosta. Poi aprì e
mi fece entrare.
L'ufficio non era poi molto più piccolo di quello da dove
venivo, mentre i mobili erano ancora più importanti, forse
incombenti. Il senatore era al telefono e mi fece cenno di sedermi
e il segretario ci lasciò soli. Dietro Vittorio c'era un magnifico
quadro ottocentesco riproducente la Presa di Porta Pia da parte dei
Bersaglieri. L'avevo visto in un libro di scuola.
«Marco!» - Disse Giuliani alzandosi appena chiuse il
telefono.
«Vittorio!»
Ci abbracciammo.
«E' l'originale quello?» - Gli chiesi stupidamente, indicando il
quadro.
«Quello? - Si girò ad ammirarlo. - Ovvio che è l'originale.
Stava nel salone dove si riunisce il Comitato per l'Ordine e la
Sicurezza Nazionale dello Stato. Anche se io ho prestato il
servizio militare negli Alpini, mi sembrava sprecato tenerlo
lì…»
Non sapevo che cosa dire.
«Hai un gran bell'ufficio»
«Marco… - Ripeté stringendomi le braccia. - Più ci penso e più
mi convinco che senza di te non sarei mai arrivato qui.»
«Non dire puttanate. Eri già in un gruppo ristretto di
parlamentari…»
«Sì, però gli altri sono rimasti nel… gruppo ristretto, come
dici tu.»
«Beh, Vittorio, - sorrisi. - Non l'ho fatto apposta, te lo
giuro!»
«Ha ha!»
«Che deleghe hai?»
«Polizia di Stato.»
«E i servizi segreti?»
«Sono coordinati da noi, ma dipendono dal Presidente del
Consiglio.»
«E' cambiata molto la nuova compagine governativa?»
«Praticamente è rimasto invariato solo il Presidente. Quell'uomo
è l'unico grande politico rimasto…»
«Sei arrivato al Potere…» - Ammisi con una smorfia di
ammirazione.
«Sai come avresti detto se fossi di Roma?»
«No.»
«Me' cojoni!»
«Ha ha!»
Era strano. Avevo davanti a me uno degli uomini più potenti del
Paese e non sapevo che cosa farmene… Stupidamente trovai la cosa
singolare perché per la maggior parte della gente Giuliani non
sarebbe stato un amico ma solo un'opportunità.
«Li hai più visti gli amici in America?»
«No. - Risposi. Mi aspettavo la domanda. - Anche se la mia
agenzia continua a tenere proficui rapporti con Amélie, io non sono
più tornato in America. Neanche a Pasqua.»
«Non hai più visto neanche Eva?»
Domanda tendenziosa. Lo so che i sentimenti mi si leggono in
faccia, ma nessuno mi aveva mai fatto una domanda così diretta, o
comunque non per avere la risposta che voleva lui. Neanche Roberta,
che di solito è pettegola come una scimmia, perché al massimo mi
avrebbe chiesto di Giulia.
«No.» - Mentii.
«Ci hai pensato molto prima di rispondere.»
«Vittorio…»
«Sei una strana persona. - Mi disse seriamente. - Non ti sei mai
fatto troppi scrupoli a farti una donna di tanto in tanto,
nonostante il profondo amore che hai per tua moglie, e
improvvisamente vuoi evitare di parlare di Eva, con la quale non
hai mai avuto nessuna storia…»
«Bravo, ti sei dato la risposta.» - Dissi, poi alzai la
testa.
Non mi andava l'idea che pensasse che io mi fossi innamorato di
lei. In realtà, però, nei sei mesi appena trascorsi, io ed Eva
avevamo tenuto una certa corrispondenza via internet. Folta direi,
se in sei mesi ci eravamo scambiati qualcosa come cinquemila
e-mail…
«Sei uno con le palle.» - Commentò, intuendo i miei
sentimenti.
No, pensai, sono solo uno stronzo. Ma tant'è… Tutto
passa.
«Mi hai invitato per mostrarmi la stanza dei bottoni?» - Dissi
per cambiare discorso.
«No. Cioè, sì, anche… Voglio dire, ti farò vedere anche il
Ministero, ma c'è un problema che è arrivato sulla mia scrivania e
del quale volevo parlartene.»
«Devo preoccuparmi?»
«Devi sapere che ogni sera devo firmare qualche centinaio di
decreti, ognuno dei quali movimenta diversi miliardi.»
Conoscendolo, sapevo che non si stava vantando.
«Perdo all'incirca un'ora al giorno per firmare tutto. Hai visto
il tavolo nel salone dove il mio segretario tiene la sua scrivania?
Bene, lungo l'arco della giornata i due lati più lunghi del tavolo
si vanno a coprire di teche contenenti solo decreti da
firmare.»
«Hai voluto le deleghe? - Sorrisi. - Adesso firma.»
Non raccolse e proseguì.
«Se a firmarli perdo un'ora al giorno, a leggerli impiegherei
una settimana…»
Mi guardò per registrare la mia reazione. So che cosa si
aspettava da me: come fai a fidarti di firmare senza
leggere? Ma non dissi nulla.
«Questo è il Ministero degli Interni, Marco. Questa è la stanza
dei bottoni. Nessuno arriva qui senza essere di assoluta e provata
correttezza. Alla faccia di quello che dice la gente, i prefetti
che arrivano ai vertici sono Uomini di Stato.»
«Sono anche in gamba?»
«Nel modo più assoluto. Non devono essere affidabili ma
assolutamente affidabili. Non devono essere preparati, ma
perfettamente preparati. Non devono essere intelligenti, ma solo il
meglio di ciò che offre il Paese.»
«Cristo… Io nel Sessantotto al capo della Polizia gli
avrei…»
«La macchina è perfetta. Grazie a loro, il Politico può
permettersi di fare politica, cioè di esprimere quello che il Paese
vuole senza dover anche pensare come sia possibile farlo.»
«E'… questo lo Stato Italiano?»
«Non tutto, ma il Ministero degli Interni è così. Qui è il
potere, e questo è il potere.»
Se questa era la premessa, che cosa avrebbe dovuto dirmi?
«Grazie al Sistema le decisioni del Paese si trasformano in
quelle teche che si accumulano lungo la giornata e che io la sera
firmo alla cieca perché so che cosa firmo.»
«Vittorio, stai cercando di dirmi qualcosa?»
«Sì.»
Varesco bussò alla porta ed entrò senza attendere risposta. Mi
girai verso di lui.
«Senatore, sta per arrivare il Capo.»
«Lo so, grazie Marino. L'ho chiamato io.»
Il segretario si ritirò e chiuse la porta.
«Sta per arrivare il Capo della Polizia, Marco.»
Mi alzai in piedi.
«Devo andarmene?»
«No, viene qui per te.»
«Che cosa?»
«E' la massima autorità dello stato.»
Mi sentii a disagio.
«E viene qui… per me?»
«Sì, c'è una questione imbarazzante che dobbiamo risolvere.»
«E la cosa riguarda me?» - Ripetei masticando saliva.
«Stai calmo.» - Rispose il mio amico.
Dio com'era cambiato, il senatore. Il palazzo ti prende, ti
coinvolge, ti trasforma. E' così che il potere si mantiene in vita
nei secoli.
Sentii bussare ad un'altra porta che non avevo notato. Ci
alzammo. Entrò il Capo della Polizia, anche lui senza attendere
risposta.
«Eccellenza!» - Lo accolse il senatore.
«Caro Vittorio…»
«Le presento il dottor Barbini, l'amico che mi accompagnò a
caccia in Canada lo scorso anno.»
«E' lei l'amico di cui ho tanto sentito parlare?» - Mi disse
stringendomi la mano con cordialità
Era una persona dal portamento maestoso ed elegante, con lo
sguardo di un uomo che sa di essere quello che è, senza per questo
schiacciare i suoi interlocutori. Forse era così perché ero amico
del senatore, ma Sua Eccellenza era lontana anni luce dall'immagine
del Capo della Polizia che nel Sessantotto volevamo cacciare dalle
strade a calci in culo.
«Detto dal Capo della Polizia, - risposi ritrovando la mia
solita ironia, - non so se debba prenderla per un complimento o
meno… He he.»
Sorrise anche lui.
«Vogliamo sederci?» - Disse il senatore indicando le poltrone
Frau dello studio.
Ci accomodammo, se si può dire così anche di me che mi sentivo
seduto sulle uova fresche.
«Forse è meglio che parli tu. - Disse Vittorio al prefetto. -
Credo di essere riuscito a spiegargli in maniera credibile che in
questo palazzo l'unico interesse vero è quello dello Stato. Ora
però, io sono un politico e tu il tecnico, quindi sei tu che devi
parlare.»
«Bene, c'è poco da dire, dottor Barbini. - Iniziò, sistemandosi
meglio in poltrona. - Lei è un personaggio piuttosto singolare, ma
a quanto ci risulta è anche un uomo di stato.»
«Questo te lo posso confermare.» - Aggiunse il senatore,
dimostrando che il Capo le informazioni non le aveva prese dal mio
amico, o comunque non solo tramite lui.
«Quella che in modo piuttosto colorito è stata chiamata dai
reparti operativi Operazione Folichon, - affermò il Capo - in
realtà non può essere definita conclusa.»
Mi aspettavo qualcosa del genere, anche se non riuscivo a
intuire nulla di più.
«La manderò da un nostro dirigente che ha la responsabilità
strategica di una serie di iniziative, tra le quali è inserita
anche questa operazione. Il motivo per cui l'abbiamo fatta venire
qua, - disse indicando il senatore, - è che la sua figura non è in
nessuno modo collegabile a certi ambienti dello stato. Non vorrei
che mi fraintendesse, ma è… difficile pensare che lei possa
lavorare per noi, per la Struttura, per i servizi di sicurezza,
insomma.»
«Ah, e perché?» - Domandai, fingendo ingenuità.
«Perché lei ragiona. Lavora di testa sua. Lei, nel nostro mondo,
sarebbe inaffidabile.»
«Beh, tutto mi aspettavo, - dissi in tutta sincerità, - fuorché
questo. Io sono convinto che tutte le persone che lavorano per i
massimi vertici dello stato sappiano ragionare di gran lunga molto
meglio di me…»
«La ringrazio, - rispose con un sorriso di circostanza. - Ma
intendevo dire un'altra cosa. L'apparato, il sistema, non è
abituato a discutere gli ordini… C'è sempre la massima fiducia. Qui
nessuno esprime la propria soggettività su chi sta sopra, ma solo
su chi sta sotto.»
«Signor prefetto. - Gli domandai allora stringendo gli occhi. -
Che cosa vuole esattamente da me?»
«Deve presentarsi da uno dei massimi responsabili che hanno
seguito l'operazione scattata a Québec City e collaborare con lui
perché è giunto il momento di chiuderla definitivamente.»
«Io… Io obbedisco, ma non capisco quale sia il mio ruolo… Cioè,
quale importanza possa rivestire la mia persona in tutto questo.
Cosa dovrei fare? Cosa devo dirgli?»
«Lui sa solo che io voglio che lei collabori con lui, punto e
basta.»
«Ed io cosa devo fare?»
«Esclusivamente collaborare con lui. Usare il buonsenso,
improvvisare, decidere e, soprattutto essere sempre se stesso.
Ricordi quest'ultima richiesta, non pensi mai di fare quello che
secondo lei dovrebbe fare se fosse inserito nella Struttura.»
«Ma non mi dice neanche che cosa devo andare a fare?»
«No.»
Sorrisi. - «Mi dirà almeno dove, non crede?»
«No.»
(Continua)
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