Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 14°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 14.
Quella sera, a me e Giulia non rimase altro che andare a cena e
attendere l'evoluzione degli eventi. Andammo da Michelangelo. Tanto
mi ero gasato per aver in qualche modo scoperto come stessero le
cose, quanto ora mi sentivo deluso per non aver ottenuto in realtà
alcun risultato. Come un emigrato Italiano sentivo nostalgia di
casa. E la mancanza di un amico. Giulia si accorse del mio stato
d'animo.
«Posso fare qualcosa per te?»
«Posso essere volgare?»
«No. Quello so fartelo senza che me lo chiedi. Sto parlando alla
tua anima, caro Barbini. Se c'è ancora spazio per la mia,
naturalmente...» - Disse con amarezza.
«Scusami, Giulia, siamo tutti stanchi. Non volevo toccare la tua
sensibilità. - Le strofinai il naso sul collo. -Non c'è niente che
tu possa fare, mi sento una merda. Quanto è accaduto non riesco a
valutarlo razionalmente. Evidentemente, invece, il mio subconscio
ha capito benissimo che nell'insieme ho perso.»
Stavolta mi strofinò il collo lei col naso.
«Non dimenticherò mai che una delle cose che avevi chiesto a
Amélie era di sistemare me e i miei colleghi. - Le venne un nodo
alla gola. - Anche quelli appartenenti a categorie protette.»
«Dacci un taglio. - Le dissi sorridendo per smorzare l'emozione,
asciugandole una lacrima. - E' facile fare i signori con i soldi
degli altri.»
La zuppa che ci portarono ci fece dimenticare un sacco di cose.
Passammo la notte all'Hotel Frontenac, con l'intensità dovuta a
quella che poteva essere a tutti gli effetti l'ultima notte.
Comunque l'ultima notte in cui il Frontenac era proprietà anche di
Amélie.
La mattina dopo non riuscii a parlare con Amélie. E non mi
riuscì neanche a mezzogiorno. Nel pomeriggio mi mandò il messaggio
di risposta, secondo il quale si sarebbe fatta viva lei in
serata.
Chiesi a Giulia di stare con me. Nuotai nella piscina al settimo
piano del Frontenac, poi feci un idromassaggio e una sauna. Ci
sorbimmo le attenzioni delle massaggiatrici di turno, poi chiesi
l'intervento del kiropratico che avevo già conosciuto dieci giorni
prima. Questo venne un'ora dopo. Sistemò una sola brandina rigida,
ma gli dicemmo subito che avrebbe dovuto lavorare entrambi.
«Faccio prima te.» - Disse a Giulia, col tono di chi tiene per
ultimo il pezzo migliore. Poi iniziò a farle scricchiolare le
giunture delle ossa. Impiegò poco, o comunque meno che con me.
Infatti, aveva impiegato un'ora piena a lavorarmi di schiena ed era
da poco passato al momento in cui doveva letteralmente schiacciarmi
di peso, quando squillò il telefono. Rispose Giulia.
«Sì?»
Mentre rispondeva, il massaggiatore ne approfittava auscultando
la parte più corposa del gluteo destro.
«Sì, - proseguì Giulia tagliando le curve, - sì, sono in camera
sua. In questo momento c'è Gédé che si sta lavorando
Marco... No, non è un triangolo del cazzo Amélie. Gédéon è un…, ma
è un... No. Hai capito peggio di quello che è. Gédé se lo sta...
Oh, al diavolo! Senti, te lo spiegherò un'altra volta, OK? Ora
parla tu.»
Ascoltò, poi salutò, la rassicurò e chiuse il telefono.
«Ci sta aspettando. Se solo mandi via il tuo
amico Gédéon...»
Rimasi voluttuosamente sensibile alle mani di Gédéon e
indifferente alle sue parole.
«Beh, tu fai quello che vuoi, - brontolò. - Io vado al Folichon.
Amélie ci aspetta lì.»
Avevo dato una buona mancia al kiro, avevo fatto una doccia
tanto bollente quanto lunga, e dopo una mezzora scendevamo nella
hall dell'albergo. Vi trovai Luciano Pedrini.
«Marco! E' un pezzo che ti sto cercando, Cristo. Dove sei
stato?»
«Cosa posso fare Luciano?»
«Cosa puoi fare? Forse non te ne sei accorto, ma siamo rimasti
in brache di tela. La scomparsa di Massari ha cancellato il nostro
futuro, qui...»
«A te forse. - Replicai. Poi ci ripensai. - Ma neanche a te,
tutto sommato. E' più giusto dire che ti ha cancellato il passato,
piuttosto.»
«Cosa vuoi dire?» - Chiese, tessendo un filo di speranza.
«Vieni con noi.»
«Dove andate?»
«Al Folichon.» - Rispose per me Giulia, facendo un gesto
eloquente con la mano.
Arrivammo che Luciano era più che eccitato che mai dall'idea di
andare in un posto del quale aveva solo sentito parlare e nei
termini più che lusinghieri in fatto di erotismo. Il tratto a piedi
fra il taxi e il locale fu come una botta di freddo che mi mise
stranamente all'erta. Ma appena entrato ritrovai l'atmosfera che mi
aspettavo; caldo e calore femminile.
«Siamo...» - Dissi alla guardarobiera, ma non mi fu necessario
precisare il nome.
«Dottor Barbini, è atteso al piano di sopra.» - Mi disse una
cameriera mentre consegnavamo cappotti e pelliccia.
Luciano era visibilmente agitato e si guardava intorno con
curiosità senza vedere niente di preciso. Seguimmo la ragazza con
la sola giacca del frack, che ci portò in un piccolo ascensore non
accessibile al pubblico, anche se a dir la verità speravo che ci
avesse fatto strada in una scalinata. Luciano cercava di non
guardare, ma io non potevo esimermi dai miei soliti
complimenti.
«Signorina, ha delle scarpe bellissime.» - Lei sorrise, e quando
uscì cercò di mettere in mostra il meglio di sè. Luciano iniziò a
darsi coraggio e guardare.
La giovane bussò ad una porta. Ci aprì una piacente signora sui
cinquant'anni.
«Dottor Barbini?»
«Sono io.»
Poi, dato che guardava i miei accompagnatori, chiamai la
cameriera che stava andando via.
«Mi scusi, signorina. - Lei si girò ad ascoltarmi. - Potrebbe
accompagnare il mio amico giù nel salone degli spettacoli?»
«Certamente. - Rispose. Poi, rivolta a lui, - «prego, mi
segua.»
Luciano le andò dietro tutto pimpante.
«Ah, signorina?» - La chiamai ancora.
«Sì, signore?»
«Dica alle ragazze di farlo divertire. Non vede una donna da
almeno un anno.»
«"Oui, monsieur". Ci penso io.»
«Cosa le hai detto?» - Chiese l'amico per vincere l'imbarazzo.
Ma poiché la cameriera stava già entrando in ascensore, la
raggiunse in cabina con un balzo. L'ascensore si bloccò e non volle
più muoversi, allora uscirono e fecero le scale a piedi. Auguri,
ragazze.
Dopo le presentazioni, anche la signora ci lasciò soli. Così
venimmo a sapere che lei era la direttrice, mentre Amélie era la
proprietaria. Lo era ancora, notai con piacere.
«Complimenti.» - Disse Giulia ammirata.
«Non avevo dubbi.» - Confermai.
«Bene. - disse allora. - «Da come avete capito, almeno questo mi
è rimasto...»
«E il resto?» - Chiese prima Giulia di me.
«E' stata dura. - Volle premettere raccogliendo le idee. Si
rivolse a me. - I nostri avvocati hanno lavorato tutta la notte e
la giornata di oggi per trasferire quasi tutto a una SIM italiana
di nome Selfig, la quale si è impegnata di riscattare gli
immobili presso le banche canadesi e di collocare con intelligenza
sul mercato l'intero patrimonio.»
«A una SIM?»
«Già. Sarà questa a versare nelle casse dello Stato Italiano il
ricavato dell'operazione.»
Devo ammettere che la stavo ascoltando con il cuore in gola,
come se si fosse trattato di patrimonio mio.
«Tutto?»
«Mi hanno lasciato alcune cose.»
Fece una pausa per darmi tempo di comprendere il significato
delle sue parole. Non intervenni, e lei proseguì.
«A Eva non hanno toccato nulla o quasi, ma non aveva molto. Le
sono rimaste sostanzialmente la villa di Québec, la casa di
campagna e la villa a Miami Beach.»
«Non è poco. - Ammisi. - Sempre che possa mantersele.»
«Ci riuscirà. - Aggiunse Amélie. - Mi hanno lasciato un paio di
cosine... Sono stata irremovibile, altrimenti non avrei accettato
nessun patteggiamento patrimoniale.»
«...Che era quello cui loro tenevano di più. - Dissi. - O mi
sbaglio?»
«E' così, tantovero che dal punto di vista penale non sono
neanche stata sfiorata. Per farla in breve, ci è rimasta l'agenzia
immobiliare. Senza proprietà, però. Dovremo solo amministrare gli
affitti...»
«"Bon Dieu, mercie!"» - Sospirò Giulia scaricando
l'angoscia.
«Sì, Giulia. Me l'hanno lasciata a una condizione. Che non si
perdano posti di lavoro.»
«Yeeeh!» - Urlò Giulia alzandosi.
«Bonne, parbleu!» - La calmò. Poi mi guardò. - «A me hanno
lasciato solo la catena The Virgin's Secret...»
«Alla faccia, digli poco! Hai fatto un colpo, ragazza! La tua
quota varrà almeno 100 milioni di Dollari, e se chiudi l'accordo
con la Technolycra Spa per la distribuzione delle calze in America
tramite questa catena... Farai come al gioco della tria quando si
riesce a fare molinello: si mangia una pedina ad ogni mossa...»
«E' un po' di più.» - Disse con falsa modestia.
«Un po' più di cosa?»
«Di 100 milioni... - Rimasi ad ascoltarla. - Durante le
trattative fatte con i funzionari fiscali del tuo paese, si era
sparsa la voce che avrebbero potuto sequestrare tutto, e il titolo
della The Virgin's Secret era crollato alla borsa di New
York.»
«Beh, allora varrà di meno, semmai.» - Dissi, non comprendendo
la sua gioia.
«Non appena informata del crollo, ho comperato il 22% dei titoli
a metà prezzo indebitando la quota in mio possesso. Ora ho la
maggioranza assoluta. Praticamente l'azienda è mia.»
Stavolta mi alzai in piedi io sbalordito.
«Sei una donna di ferro, cazzo! In un momento in cui ti sta
cadendo tutto addosso, riesci a fare un colpo da maestro. Ma
cos'hai adesso, un patrimonio di 300 milioni di Dollari?»
«No. Solo un po' più della metà. Ho intestato il 49% della
finanziaria che possiede le azioni della Virgin, a Eva de
Vaillancourt.»
«Sento che non mi meraviglierò più di nulla.» - Dissi sotto
voce.
«Come d'accordo, il 30% dell'immobiliare CanAm, andrà a
Giulia. Non è molto, ma è pur sempre qualcosa.»
Io e Amélie la guardammo un momento per vederne le reazioni, ma
non ne trovammo. Era allibita.
«Mentre so che comprenderai se il Folichon me lo sono tenuto
tutto per me. Ma sarete miei ospiti gratis per tutta la vita!»
Rise, sapendo che il cliente deve pagare direttamente le
ragazze.
«Sei una forza. Ha ha!»
Si alzò in piedi.
«Bene ragazzi. Sono stanca e voi dovete raggiungere il vostro
amico Luciano.»
Ci abbracciammo e uscimmo. Fuori c'era la direttrice che
attendeva di entrare e una cameriera che ci aspettava per
accompagnarci da basso.
Chiesi di farmi vedere dove stava Luciano e me lo indicarono in
un separè stile Belle Époque mentre faceva uno spuntino con un paio
di ragazze particolarmente gioviali, formose e... vestite. Un
fenomeno. Decidemmo di non disturbarlo.
«Beviamo qualcosa e poi andiamo a letto.» - Dissi a Giulia non
appena seduto in un altro separè. Ora sì la nostra relazione stava
volgendo al termine. Non so se lo avesse capito, ma io ordinai lo
Champagne d'addio.
«Perché, a cosa vuoi brindare?»
Non sapevo cosa rispondere. Giunse per tempo una cameriera a
sussurrarmi qualcosa nell'orecchio.
«Il vostro amico Luciano ha chiesto di voi. Chiede se potreste
raggiungerlo nella privée N. 17.»
«Vieni. - Dissi a Giulia. - Luciano ha bisogno di noi.»
«Ha bisogno per cosa?» - Chiese tra l'incredulo e l'ironico.
Ma non mi era bastata la sua perplessità a mettermi in guardia.
Infatti, quando mi venne in mente che Luciano l'avevamo visto in un
separè, fu troppo tardi. Eravamo ormai entrati nell'appartamentino
privato contrassegnato dal numero diciassette, quando fummo
sorpresi e colpiti entrambi alla testa con un pesante manganello di
gomma contenente palle di piombo.
Quando rinvenni, avevo il polso destro ammanettato alla caviglia
sinistra di Giulia e, viceversa, la mia caviglia ammanettata
all'altro polso suo. Quello che non capivo era chi diavolo potesse
aver teso la trappola.
Giulia si era ripresa prima di me e aveva già messo a fuoco la
situazione.
«Vogliono qualcosa da te, ma penso proprio che invece tramite
tuo vogliano qualcosa da Amélie.»
Alzai la testa dolorante e vidi una persona che mi ricordai di
aver conosciuto due mesi prima. Antonio Longoni, quello che io
chiamavo Antonio da Padova.
Credevo di aver capito. Troppo tardi, forse. Oltre ad Antonio da
Padova, e questa era una sorpresa davvero, c'era anche una persona
insospettabile: Giuseppe, il cameriere del Parmesan di origine
russa che ci aveva fatto da guida a caccia del cervo nel Maine. Lo
credevo ancora stordito…
«Signori buongiorno. - Dissi finalmente. - Dettate pure.»
«Quando chiamo Amélie al telefono, devi dirle quello che adesso
ti spiegherò. Tu obbedisci, e vedrai che tutto andrà liscio.
OK?»
Mi spiegò le condizioni per una decina di minuti. Era abbastanza
concreto da discutere con me i particolari di quello che voleva e
sulle possibilità tecniche di ottenerlo. Non sapeva bene il
francese, mi avvertì, ma Giuseppe parlava abbastanza bene anche
l'italiano. Alla fine prese il telefono e me lo passò. Mi disse di
farmi passare Amélie.
«Amélie, sono io.»
«Cosa è successo?»
Dalla mia voce aveva capito subito che era accaduto qualcosa di
drammatico. Antonio mi fece cenno di parlare ed era abbastanza
tranquillo perché una linea interna, di logica, non poteva essere
intercettata.
«Io e Giulia siamo sotto sequestro in una stanza del
Folichon.»
«La 17, vedo.»
«Già. - Il display del suo telefono doveva segnalare il numero
del mio apparecchio. - Antonio Longoni e un'altra persona ci hanno
sequestrati. Vogliono qualcosa da te.»
«Sentiamo.»
«Dieci milioni di dollari, dei quali uno in contanti.
«Nientemeno! - Disse, con finta meraviglia. - E questo dovrei
farlo adesso? Stanotte?»
Rise.
«No. Domattina. Entro le nove di domattina. Una valigetta.»
«Un milione in contanti potrei farcela... Un momento, però.
Parla di dollari americani o canadesi?»
«Americani.»
«OK. Per questi ce la posso fare.»
«Bene.»
«E gli altri nove, come li vuole.»
Lo riferii ad Antonio.
Lui bestemmiò, poi le comunicò tramite le coordinate bancarie di
un paradiso fiscale che lei conosceva.
«Beh, digli che alle nove di domattina avrà i soldi.»
«Glielo dico.»
«E la ricevuta di versamento alle Cayman.» - Aggiunse lui.
«Bene, - sospirò. - Digli che avrà anche quella.»
Glielo riferii e lui mi rispose.
«Ha detto che alle nove e un quarto ucciderà Giulia… Scusa un
attimo.»
Antonio mi parlò ancora.
«Alle dieci e trenta ucciderà anche me.»
«Alle 10.35 lo ucciderò io. Di persona.»
«Ti credo. - Ammisi. - Ti conosco. Ma noi saremo dei donatori di
organi.»
«Come pensa di cavarsela?»
«Gliel'ho già chiesto. Mi ha risposto che sono fatti suoi.»
«Volete da mangiare, avete bisogno di qualcosa?»
Lo chiesi ad Antonio.
«No. Ha detto che non abbiamo bisogno di niente. A domattina. -
Le dissi come per salutare un'amica in condizioni normali.
Ah, dimenticavo. Amélie, ci sei ancora?»
«Ordina.»
«Luciano. Devi occuparti di lui. E' da qualche parte nel
locale.»
«Ci penserò io. 'Notte.»
Restammo soli in silenzio. Poi mi rivolsi a Giulia.
«Non preoccuparti. Come hai visto, Amélie è una donna in gamba.
Domani tornerà tutto come prima. Ora cerchiamo di rilassarci e
dormire nonostante la scomodità di queste manette.»
«Dovrei fare la pipì. - Disse Giulia. - E non solo. Lo
Champagne, la paura...»
«Ci puoi togliere le manette?» - Chiesi ad Antonio.
«Arrangiatevi così. - Rispose questo. - Il bagno è là.»
«Ma almeno...»
«O così o niente.» - Giuseppe non aveva ancora aperto bocca.
Forse era rimasto rincoglionito dopo quella battuta di caccia.
In bagno fu un'operazione tra il grottesco e il comico, ma servì
forse a ridurci la tensione. Avevamo dovuto tenere la porta aperta,
e mi augurai che quell'involontaria sceneggiata fosse servita ad
instaurare un rapporto meno distaccato tra carcerieri e
prigionieri.
Poi provammo a metterci a letto per prendere un po' di sonno.
Anche qui impiegammo un po' a trovare la posizione giusta. Ognuno
dovette rassegnarsi a tenere una gamba flessa e ad accettare il
contatto dell'altro.
Provai a scherzare.
«Ti pare questo il momento di abbassarmi la zip?»
«Ma che dici? - Mi rispose. - Non sto facendo nulla.»
Non aveva capito niente. Ma ottenni lo stesso un effetto.
«Basta così! - Urlò Giuseppe d'un tratto. Non era rincoglionito
del tutto. - Un po' di contegno, diable d'un italien!
Neanche nel momento della tragedia, riuscite a...»
«Ma non sono io ad abbassare la...»
«Guarda che già una volta non ho esitato a uccidere
personalmente i due carnefici delle ragazzine che hai visto
frustare proprio qui due settimane fa.»
«Cosa cazzo stai dicendogli, Giuseppe?» - Chiese in italiano
Antonio da Padova.
«Li sto minacciando! - Antonio allora lo lasciò andare avanti.
Si rivolse ancora a me.- Avevo dato loro l'ordine di violentarle
per metterle fuori uso. Avevano usato il proprio sesso per
rivoltarle come un calzinoe la frusta fatta col nerbo di bue per
ridurle in fin di vita.»
«Li hai uccisi perché avevano provato un insano piacere
malvagio?» - Gli domandai.
«No. Li ho scannati come maiali perché erano dei selvaggi. Degli
Uroni. Con la mia babutschka.»
La estrasse per farla vedere, mentre Antonio restava
indifferente. La babutschka era il termine russo di un coltello che
si apre e si chiude a farfalla facendo un suo tipico rumore
sinistro.
«Non vedo l'ora di usarla anche con voi.»
«Questo razzista vuole uccidere i tuoi ostaggi. - Dissi in
italiano ad Antonio Longoni. - Vuole bruciare la tua polizza per la
vecchiaia.»
«Puoi immaginare quanto me ne frega. Hanno già arrestato sia
Agnolin che Negroni. Io ho deciso. O ricco o morto. Vedi un po'
tu…»
Avevo capito a quel punto che comunque fossero andate le cose,
ci avrebbero ammazzati davvero. Cercai di non trasmettere la mia
brutta intuizione a Giulia e provai ad addormentarmi.
La mattina mi svegliai con dolori dappertutto, ma pareva che lei
avesse riposato serenamente. Quando vidi che erano le sette,
iniziai a prepararmi per la fine. Rivolsi i pensieri alla mia
famiglia. Poi, rendendomi conto che pensando a loro sarei stato
aggredito dall'angoscia, cercai di reagire.
«Forza Giulia. Mettiamoci a sedere.»
«Devo andare in bagno.»
Squillò il telefono.
Longoni ci tirò giù dal letto provocando dolori a entrambi.
«Fermo, Cristo! Mi hai fatto slogare un polso!»
«Rispondi al telefono e non fare cazzate.»
Presi la cornetta alzando la caviglia di Giulia, e risposi.
«Buongiorno, Marco. Sei riuscito a chiudere occhio?»
«Giulia mi ha tormentato per tutta la notte.»
«E' lì Longoni?»
«Sì.»
«Digli che è pronta una valigetta con un milione di dollari in
contanti. Biglietti da venti, da cinquanta e da cento.»
«Antonio, - ripetei, - dice di aver recuperato icontanti in
tagli da venti, cinquanta e cento.»
«I soldi sono nel palazzo?» - Chiese di rimando.
«Dove sono?» - Domandai ad Amélie.
«Qui. Posso mandarveli?»
«Può mandarli?» - Chiesi ad Antonio.
«Sì. Ma deve portarli una delle sue cameriere. Vestita
esattamente come sempre, praticamente senza niente addosso. Così
vedo se porta armi.»
Lo ripetei ad Amélie.
«Vuole essere sicuro che non gli tendi una trappola.»
«Digli di andare a fare in culo. Dove ne trovo una a quest'ora?
E' stato più facile trovare i soldi.»
«Digli di buttarne una giù dal letto!» - Intervenne Antonio che
aveva sentito.
«Lo farò.» - Rispose Amélie senza aspettare che lo ripetessi, e
chiuse il telefono.
Dopo circa mezzora, il telefono si mise a squillare. Antonio
Longoni mi fece andare al telefono, e io ancora una volta vi
trascinai la povera Giulia.
«Pronto?»
«Passami Antonio.»
«Antonio, Amélie ti vuole.»
Antonio prese la cornetta.
«C'è una cameriera davanti alla tua porta.» - Sentii dire da
Amélie al telefono.
Giuseppe andò allo spioncino e vi guardò attraverso.
«E' vero. E' qui fuori.» - Confermò Giuseppe.
«Guai a te se la fai entrare.» - Continuò Amélie. - «Prendi la
valigetta e rimandala indietro subito. Non è che una
ragazzina.»
«Hai fatto il trasferimento del resto?» - Continuò lui in un
brutto francese.
«Sì, ma non ho la ricevuta. Devo aspettare che si aprano le
contrattazioni telematiche.»
«Alle nove ucciderò Giulia.»
«Avevi detto alle 9.15, cazzo. E' quanto basta per averla.»
Antonio sbatté la cornetta.
«Apri. - Disse poi a Giuseppe. - Ma sta' attento. Non voglio
scherzi. Quella donna è capace di tutto.»
Giuseppe tolse il chiavistello con la babutschka in mano e aprì
piano la porta quanto bastava per tirare dentro la cameriera e
richiudere subito. La ragazza teneva orizzontale, come se fosse un
vassoio, una valigetta Louis Vuitton di una certa dimensione.
«Aprila.» - disse Longoni a Giuseppe.
Questo aprì con attenzione le due chiusure e alzò il coperchio.
Vide che era piena di dollari e si tirò indietro per far vedere a
Longoni. Questo si avvicinò. Mise le mani nel contenuto provando un
evidente piacere a toccare tutti quei soldi.
Mi trovai a osservare la cameriera da dietro. Era giovane e
carina, capelli biondi evidentemente finti, gambe particolarmnete
gradevoli. Le natiche, tuttavia, tradivano una certa muscolatura
che guizzava sotto la pelle. Non sembrava una delle migliori
ragazze del Folichon, ma era una cameriera. E poi era
comprensibilmente in tensione. Portava i tacchi a spillo con una
certa difficoltà, perché non si reggeva bene in piedi. Le stavo
appunto guardando le caviglie, quando la vidi scendere
dalle scarpe d'argento coi tacchi. Il resto accadde in un
baleno.
Non appena a piedi nudi divaricò le gambe e in un attimo le
spuntò in mano una Beretta calibro nove corto. Con calma e
sicurezza sparò due colpi ad Antonio Longoni e con rapida
successione ne sparò altri due a Giuseppe. Giulia cacciò grida
disperate per i colpi, che al chiuso rimbombarono come cannonate, e
per la scena di morte che ne era seguita. Io vidi, quasi in stato
di shock, che i due giacevano a terra agonizzanti in una pozza di
sangue che si allargava sempre di più. Entrambi erano stati colpiti
al petto e alla testa.
Noi, ammanettati, non potemmo che stringerci reciprocamente
spinti dallo shock.
La ragazza si chinò e raccolse i quattro bossoli. Li mise nella
valigetta insieme alla Beretta ancora fumante, si tolse la parrucca
bionda e vi gettò anche quella. Poi la richiuse. Solo allora si
girò per venire da noi.
Era Geneviève. Senza occhiali a specchio e così conciata, non
l'avrei mai riconsciuta. Mi guardò in viso con uno sguardo di
fredda soddisfazione. Prese dal taschino della giacca delle chiavi
e me le gettò.
Restituii lo sguardo a Gène. Per la prima volta le vedevo gli
occhi.
«Grazie.» - Dissi.
Non doveva essere abituata alla gratitudine, perché accennò
anche lei una smorfia che poteva essere tranquillamente scambiata
per un sorriso.
Aprii le manette.
«Via, via, via!» - Gridai a Giulia che finalmente reagì
scappando.
(Continua)
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