Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 12°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 12.
Québec, fine novembre
2001
Alle 22 avevo cercato il colonnello Marpe a Venezia, ma il
telefono aveva suonato a vuoto. Trovai il tenente Angeletti solo a
mezzanotte, dopo aver rivoltato come un calzino la caserma della
Guardia di Finanza di Trento. Gli dissi cosa era successo e lui mi
assicurò che avrebbe parlato con Tom. Mi richiamò alle 2 di notte,
per comunicarmi che Marpe era partito il giorno prima per
l'America. Non sapeva dove, ma mi aveva assicurato che il dirigente
si sarebbe sicuramente fatto vivo con me in giornata.
«Dove può trovarla domani?» - Mi aveva chiesto.
«A Québec City.»
Il tempo di salutare mia moglie al telefono la mattina dopo, e
via, verso il Canada.
Non era stato facile dirlo alle mie ospiti. Dopo le prime scene
di incredulità e di isterismi quasi collettivi, ognuno si era
chiuso nella propria sfera di dolore. Io avevo dovuto impartire
disposizioni fino a tarda notte. Non credo di essere stato cinico a
pensare che la fortuna ci aveva concesso di aver concluso tutto con
le due donne prima del tragico evento.
All'aeroporto di Québec era venuto a prenderci il padre di Eva
senza troppo scalpore. Era riuscito a tener lontana la stampa. Un
saluto drammatico con figlia e nipoti, i quali non sapevano ancora
niente, e un saluto piuttosto cordiale a me e ad Amélie. Non salutò
Gène, ma vidi che lei non si aspettava affatto di essere presa in
considerazione.
Eva andò a casa di suo padre, Amélie alla sua, io andai al
Frontenac. Trovai il biglietto di Giulia che mi pregava di
telefonarle appena arrivato, a qualsiasi ora. Giunto in camera, la
chiamai e accettai di incontrarla subito, anche se erano ormai le
23 passate, un'ora folle per uno appena arrivato dall'Europa. Mi
recai al bar dell'albergo, dal quale evevo visto che il Saint
Laurent, a pochi giorni di distanza dall'ultima volta, si era
riempito di ghiaccio. Mi trovò lì, al bar, che bevevo un bourbon
anche se non avevo toccato cibo. Mi abbracciò e mi disse che
reagire così era stupito. Prese il bicchiere e fece per buttarlo
via, poi ci ripensò e lo bevve lei.
«Credo comunque di darti una buona notizia.» - Disse, dopo aver
preso fiato dall'alcol che le bruciava la gola.
«Ah! E cos'è, che non nevica più?»
«Nell'aereo non c'erano né Luciano né il Senatore.»
«Che cosa? - Urlai balzando in piedi. - Cosa hai detto?»
«Hai capito benone. Sono ancora a Maricourt, la base meridionale
nella Baia di Hudson. A duemila miglia da qui.»
«Avanti, dimmi!»
«Giovanni li aveva lasciati là perché aveva dovuto tornare
urgentemente a Québec. Gli aveva telefonato Antonio Longoni e per
dirgli che era appena arrivato a Québec insieme a Giancarlo Negroni
e Cesare Agnolin. Erano sorti grossi problemi con le banche
austriache e dovevano incontrarsi con assoluta urgenza.»
«E i miei due amici, perché sono rimasti la?»
«Perché non avevano ancora preso un caribù. Avevano localizzato
un branco, ma Luciano lo aveva spaventato con la sua presenza.»
Ero così eccitato che non riuscivo a seguirla.
«Come fai a saperlo? Perché non ce l'hai detto subito?»
«Ha chiamato il Senatore poco fa. Ha preso un caribù questo
pomeriggio e aveva telefonato per chiedere come fare. Giovanni gli
aveva detto che sarebbe stato necessario andare a prenderli in
elicottero con degli uomini armati di motoseghe.»
«Armati di cosa??»
«Le motoseghe servono per fare a pezzi il caribù. E' una bestia
più grande dell'alce e...»
«Fanculo Giulia... Lascia stare.»
«Solo allora ho compreso che loro non erano in volo con
Giovanni! Scusami, - disse con le lacrime agli occhi. - Scusami,
sai, ma sono emozionata. Tra la disperazione per la perdita di
Giovanni e la gioia della... del ritorno in vita di Giuliani e
Pedrini... Sono confusa.»
Le asciugai gli occhi.
«Gli hai detto di...?»
«No. Non mi pareva il caso.»
«Hai fatto bene. Senti... - Mi interruppi perché vidi entrare
nel bar una persona che conoscevo. - Scusami un attimo.»
Mi alzai e gli andai incontro.
«Tom… Colonnello Marpe, sono qua.»
«E' qui da solo?»
«No. - Risposi. - Sono con la signorina laggiù.»
«Se ne liberi ché devo parlarle.»
«Non posso...»
«Al diavolo l'educazione! Mi sono giocato uno dei Senatori più
vicini al nostro Ministero, e dovrei badare alla cortesia?»
«La signorina mi ha appena dato la notizia che il Senatore è
vivo…»
Rimase scosso per un un attimo.
«Mi ha sentito?» - Dissi.
Si portò rapidamente al nostro tavolino e si sedette di fronte a
lei.
«Signorina, ricominci da capo.» - Disse in un francese affettato
e poco parigino.
Giulia mi guardò interrogativa, finché non mi sedetti al suo
fianco.
«Ah, le ricordo l'educazione, per favore.» - Dissi a Marpe in
francese.
«S'il vous plaît, cazzo! - Disse esasperato. - Mi dica
che è vero, la prego!»
Portandosi dietro me e Giulia, Marpe corse al Consolato Onorario
di Québec, al numero 376 della 86eme Rue Ouest di Charlsebourg. In
ventiquattr'ore gli era caduto addosso il mondo, ma ora se ne stava
scrollando via un bel po'. Non aveva chiuso occhio fino a quel
momento, ma diresse lo stesso per tutta la notte le operazioni che
poteva svolgere ora che non c'erano più di mezzo né il Senatore, né
il povero Giovanni Massari. Tutto era più semplice e organizzò una
retata che non aveva precedenti da quando era stato fondato il
Gico, nel 1993.
Alle tre di notte tornai all'albergo. Salii in camera, seguito
da Giulia che non riusciva ancora a realizzare in quale stato
dovesse trovarsi. Aveva perso lavoro, relazioni e amicizie? Era
caduto tutto come un mazzo di carte e, per quanto ne aveva capito,
quell'uomo che aveva conosciuto al bar tramite mio, doveva essere
della Guardia di Finanza italiana. Addio ad un flusso che dava
lustro alla sua società finanziaria e risorse al suo Québec. Adesso
avrebbe perso anche me?
Mi seguì a letto senza indugio.
La mattina dopo, alle otto, eravamo già in casa del papà di Eva.
Lei dormiva ancora, ma suo padre aveva saputo da poco che i due
ospiti erano rimasti a terra, e grazie a questo erano sani e salvi
in un cottage sperduto nel Grande Nord. Ci informò che tra un paio
d'ore sarebbe partito per andare a prenderli un Canadair, uno di
quei velivoli impiegati per spegnere gli incendi. Sul momento non
aveva trovato di meglio da mettere a disposizione del dipartimento
di polizia. Io e Giulia ci scambiammo un'occhiata, perché l'idea
che ci volesse un aereo-cisterna per caricare Luciano... Ma forse
era per il caribù. Monsieur de Vaillancourt mi consigliava di
andare loro incontro.
«La ringrazio, accetto. - Gli risposi. - Avrei una persona da
portare con me. Pensa che ci stia?»
«Chi è?»
«Un funzionario di stato.»
«Ah già, mi scusi. Il suo amico è un Senatore. Ieri mi aveva
telefonato anche il Consolato Italiano per conto del Ministero
delle Finanze e del Ministero degli Esteri Italiano. Sì, certo. Lo
porti pure con sè.»
Telefonai al Consolato italiano per avvisare il funzionario ti
tenersi pronto.
«Sa qualcosa di più sull'accaduto?» - Chiesi poi al padre di
Eva.
«Sì. - Disse con severità. - L'aereo è esploso. Quasi certamente
a causa di una bomba.»
Rimasi agghiacciato per la notizia. Dovevo confessare che la
perdita di un amico di quella portata era stata in parte
alleggerita dall'inaspettato ritorno in vita di Luciano e del
Senatore. Ma ora che ne avevo compreso le cause, mi affiorò un
forte senso di nausea.
«Come fa a dirlo?» - Gli domandai, dato che non sapevano neanche
quante persone ci fossero a bordo.
«Ben tre radar hanno registrato un'esplosione e la scomparsa
dell'aeromobile esattamente 700 miglia a Nord-Nordovest di Québec
City.»
«Ho capito, ma mi dica come fate a dire che si sia trattato di
una bomba?»
«Quando l'aereo è esploso, la torre di controllo aveva appena
ricevuto una telefonata anonima secondo la quale avevano una bomba
a bordo.»
A mezzogiorno arrivammo al cottage dei miei amici. Il Senatore
aveva capito subito che era accaduto qualcosa.
«Come è successo?» - Si limito a chiedere, scuro in viso.
«E' caduto il Lear.»
«Un incidente?»
«No.»
Luciano impiegò un po' a capire.
«E' successo qualcosa?» - Aveva chiesto vedendo le nostre
facce.
«Senatore. - Disse Marpe. - Devo parlarle a quattr'occhi.»
Giuliani capì subito che era un alto funzionario di polizia
finanziaria. Si lasciò prendere sotto braccio ed ascoltò con
attenzione ciò che aveva da dirgli.
Caricammo nell'aereo anche il trofeo del Caribù, le corna. La
sua carne fu stivata nel freezer di almeno quattro cottage della
zona.
Quella sera andammo a cena dal Parmesan, dove regnava
un'atmosfera pesante. Persino il cantante con la fisarmonica cantò
solo canzoni tristi. Quando intonò Romanza, tutti
sospesero la cena per ascoltare la canzone italiana con l'angoscia
dell'emigrato, e solo l'applauso finale fece scaricare la tensione
della serata. Solo una settimana prima, recitavo a Giovanni le mie
rime sulle zuppe. Stavolta al mio fianco c'era Giulia. Era la più
abbattuta di tutti, poverina. Ma il perché lo sapevo solo io.
Dopo cena la portai al Jules & Jim, da suo padre. Parlammo
una mezzora dell'accaduto insieme al papà, poi chiesi di andare a
letto perché ero stanco morto. Lo abbracciai, e Giulia venne con me
al Frontenac. Riuscimmo a scaricare la tensione.
La mattina dopo, il padre di Eva aveva indetto una riunione tra
amici nella casa del povero Giovanni Massari. Alle nove, Eva,
vestita di nero, con gli occhiali scuri e terrea in volto, riceveva
tutti gli amici per commemorare i due scomparsi. Due, perché
risultava che a bordo c'erano solo Massari e il suo pilota
italiano, quello che conoscevo anch'io. Come vuole la cortesia,
aveva anche fatto allestire un rinfresco semplice. I due bambini
mancavano; non sapevano ancora niente ed erano stati tenuti lontani
apposta. Così, ancora una volta Geneviève veniva tenuta in disparte
da un dolore che, presumibilmente, aveva invece coinvolto anche la
sua sensibilità.
Si erano formati vari gruppetti di persone che parlavano
separatamente dell'accaduto, ma anche di altre cose.
Io avrei parlato con Eva in un momento di maggiore intimità, o
comunque meno solenne e meno ufficiale. Ma con suo padre, con il
colonnello Marpe e con il Senatore, avevo invece deciso di parlare
subito.
«E' stato trovato l'aereo?» - Chiesi con una certa
determinazione.
Ma avvertii subito una immediata sorta di omertà di stato che si
andava addensando attorno a me. Davanti ad un caminetto acceso, un
maggiordomo in tight venne a chiederci cosa avremmo gradito
consumare, e la sua presenza fece cadere la mia domanda. Io
espressi il desiderio di bere un caffè molto lungo. Aspettai un
attimo ancora e poi chiesi di nuovo se c'erano novità sull'aereo.
Inaspettatamente il padre di Eva disse che probabilmente si era
trattato di una disgrazia. Tutti tacquero. Entrò Giulia.
«Che c'è ancora? - Domandò meravigliata. - Siete l'espressione
dell'imbarazzo generale.»
«Ci sono opportune ragioni di stato per cui è meglio che non se
ne parli più.» - Dissi a Giulia perché sentissero gli altri, i
quali però non raccolsero. Solo Antonio Marpe storse il naso per il
mio scarso senso del gioco di squadra. Ma fu questione di una
frazione di secondo. Entrò il maggiordomo e l'atmosfera si stemprò
subito. Presi sotto braccio Giulia e la portai fuori.
«Mi mostri dove c'è un telefono?»
«Certo.» - Mi accompagnò in quello che era stato l'ufficio di
Giovanni Massari.
«Senti. - Le dissi con la massima serietà. - Qualsiasi cosa
succeda, ricordati una cosa. Io e te ce la caviamo solo se restiamo
insieme, compatti. Hai capito? Non dobbiamo tradirci mai.»
«Cosa stai dicendo? - Esclamò preoccupata. - Cosa potrebbe
succedere? E perché mai dovrei tradirti? Su cosa?»
«Siamo scomodi.»
Pensò per un minuto.
«Anch'io?» - Chiese poi perplessa.
«Ah! E perché io dovrei esserlo?»
«Perché l'hai detto tu!»
Entrò nell'ufficio il padre di Eva.
«Giulia, vorremmo parlarti. Puoi uscire?»
Lei si alzò, mi diede un'occhiata e lo seguì. Subito dopo entrò
il colonnello Marpe.
«Facciamo due chiacchiere.»
Non risposi.
«Lei ha portato una certa quantità di clienti al signor Massari,
vero?»
Non risposi.
«E ha incassato una certa somma di danaro in nero quale
provvigione per aver procurato questi affari, vero?»
Poiché non rispondevo neanche adesso, Marpe proseguì nel suo
discorso senza più far domande.
«Giovanni Massari investiva ingenti capitali per conto della
Mafia del Brenta, il racket che controllava il triangolo fra
Vicenza, Padova e Treviso. Frutti di rapine e di investimenti nel
mondo dello strozzinaggio. Anche se conosceva perfettamente la
provenienza del denaro, a Massari non importava molto e così,
facendo indubbiamente un buon lavoro, aveva costruito un impero di
quasi tremila miliardi, suddivisi lungo tutta la costa Atlantica,
ma preferibilmente a Québec e a Miami.»
Capì che ora lo stavo seguendo con interesse.
«Piaceva alla cosca perché, pur essendo portato essenzialmente
ad operare alla luce del sole, non torceva il naso purché
arrivassero soldi da investire. Il matrimonio classico, la giusta
interfaccia tra chi guadagna quattrini illecitamente e chi sa
muoversi bene nei meandri delle leggi valutarie, fiscali,
protezionstiche e quant'altro abbiamo inventato per impedire questi
traffici.»
Entrò il maggiordomo a chiederci se volevamo ancora
qualcosa.
«Un paio di bicchieri di vino bianco. - Dissi, anche a nome suo.
- Pinot grigio, freddo.»
«Ruländer, signore?»
«Esatto, pinot grigio. Grazie.»
Se ne andò.
«Riusciva a coprire il riciclaggio con operazioni meno sporche,
investendo il nero di clienti normali. Porfidari della Val di
Cembra, marmisti del Veronese, cavatori di Carrara... Erano i
clienti migliori perché erano i più predisposti a fare del nero.
Poi c'erano i palazzinari, che pure producono una grande quantità
di reddito occulto… Ma il meglio veniva da gente come lei, che non
fa nero, che ha un'immagine corretta non solo dal punto di vista
fiscale, che gode di un certo carisma sui propri clienti più
facoltosi. Mi segue?»
Annuii.
«Poi, deve aver commesso l'errore di pensare che poteva giocare
anche i suoi partner, perché ad una verifica contabile si accorsero
che in effetti aveva investito solo la metà di quello che gli
inviavano.»
«Non investiva la metà. - Lo corressi. - Raddoppiava gli
investimenti facendo intervenire le banche.»
«Conti alla mano, caro dottor Barbini, quando la Mafia del
Brenta venne disciolta, i padrini si accorsero che metà del
patrimonio inviato a Massari non c'era.»
Poteva indubbiamente essere anche così.
«Lui aveva finto di investire tutto, ma invece si teneva
regolarmente la metà.»
«Le sta sfuggendo un particolare. - Obiettai. - Massari era un
uomo con i piedi perterra. Aveva acquistato centinaia di immobili
senza azzerare i mutui in essere con le banche locali,
semplicemente perché così teneva in mano i suoi fornitori di
danaro, chiamiamoli così.»
«Macché tenerli in pugno! - Ribatté incazzato. - Erano le banche
semmai a tenere in pugno lui.»
«No, caro amico. Se devi restituire cento milioni ad una banca,
la banca ti ha in puglo. Ma se ne devi restituire mille, sei tu a
tenere la banca per le palle. E in questo stato senza di lui che le
banche sarebbero entrate in possesso di tutti gli immobili in breve
tempo. In questo paese, dopo due mesi che non paghi un mutuo, le
banche si riprendono l'immobile, punto e basta. E così accadrà,
perché senza di lui nessuno riuscirà neanche ad incassare gli
affitti.»
«Poco importa. Il patrimonio verrà confiscato.»
«Ridicolo. Si tratta di denaro entrato regolarmente da paesi
come l'Austria.»
«Sta collaborando anche l'Austria, ormai non ci sono più
paradisi...»
«Se è così, - dissi comodamente seduto nella poltrona di
Massari, - non avete problemi. Tanto meglio per voi. C'è
altro?»
«Sì, naturalmente. Sono venuto a parlare con lei per chiederle
di disinteressarsi in pieno di tutta la faccenda. Dimentichi di
aver avuto un amico di nome Massari, sua moglie Eva, i suoi
bambini, la sua amica Giulia, Amélie comesichiama...»
«Altrimenti?»
«Altrimenti, confischiamo anche gli investimenti dei clienti che
lei ha portato al signor Massari in questi ultimi due mesi.»
«Sarebbe un danno fatto solo alla mia immagine perché
otterrebbero il dissequestro...» - Dissi tradendo una certa
preoccupazione.
«Non subito, in tutti i casi. - Il bastone e la carota. - Senta,
dipende solo da lei. Se lei non rompe i coglioni, per noi la
partita finisce con la confisca degli immobili in essere.»
Si alzò mentre entrava il maggiordomo con due bicchieri di
Ruländer. Lo prese e ne bevve un sorso. Poi si girò verso di me e
alzò il bicchiere.
«Alla sua.» - Disse. E uscì col bicchiere in mano.
Non assaggiai il vino.
Quando uscii anch'io, cercai Giulia; ma evidentemente stavano
facendole il culo in un altro ufficio, perché non la trovai. Solo
mezzora dopo, fu lei a trovarmi.
«Che ne diresti di uscire?» - Mi chiese rossa in viso. Indossò
la pelliccia e uscì senza farsi notare. La seguii di corsa e saltai
sulla sua macchina.
«Dove vai?» - Le domandai quando ormai era avviata.
«A casa da mio padre.»
«Sbagliato. Devi andare in ufficio.»
«Tu sei pazzo. Mi hanno appena informato che io ho chiuso con la
ditta. E' in liquidazione.»
«Devo andare nell'ufficio di Massari, per l'appunto, prima che
quelli la mettano in liquidazione.»
«Ci mettiamo solo nei guai. Mi hanno spiegato che non erano
soldi di imprenditori che non volevano pagare le tasse, ma di una
cosca mafiosa del veneto.»
«Non è così semplice. Portami nel tuo ufficio. E' aperto?»
«Per forza, ci sono 22 dipendenti e non sono ancora stati
licenziati!»
Arrivammo in ufficio per le dodici, ma erano tutti al lavoro
perché non facevano la pausa di mezzogiorno, del tutto ignari che
l'azienda stava per essere chiusa. Giulia mi portò nell'ufficio di
Massari e chiuse la porta.
«Cosa vuoi cercare?» - chiese sul disperato.
«Millecinquecento miliardi di lire.»
(Continua)
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