Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 9°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 9.
Erano le sette di sera e dovevo comunicare con casa anche se in
Italia era l'una di notte. Mi feci coraggio e telefonai.
«Pronto? » - Dalla voce, mia moglie doveva essere ancora
sveglia.
«Sono Marco. Ti ho svegliata?»
«Ma no, figurati. All'una di notte puoi essere a letto solo tu,
vero?»
«Scusami, ma dovresti fare una cosa.»
«Allora vieni al sodo senza tante manfrine. Se c'è da lavorare,
non c'è orario che tenga.»
«Io parto domani.»
«Ah, bene. Temevo che ti volessi sistemare là.»
«Ascolta. Domattina dovresti telefonare al presidente della
Camera di Commercio di Trento.»
«Chi, il dottor Marchi?»
«Sì, Marco Marchi.»
«Cosa gli devo dire?»
«Gli chiedi di informarsi a quanto ammonta il giro d'affari dei
marmisti di Verona.»
«Dei marmisti di Verona? Ma stai dando i numeri?»
«Dei marmisti di Verona.» - confermai.
«Ma bisognerebbe chiederlo alla Camera di Commercio di
Verona!»
«Giusto. Ma io conosco Marchi e non il presidente della Camera
di Commercio di Verona. Visto che ho fretta, è meglio chiederlo
tramite suo.»
«Va bene. - disse poco convinta. - Altro?»
«Domani Roberta va a Milano per fare la verifica del personaggio
femminile per le calze Salomè.»
«Sì. Infatti, le ho già dato l'auto della ditta perché partirà
presto, alle cinque o alle sei.»
«Dovresti dirle di dormire a Milano e di venirmi a prendere alla
Malpensa la mattina dopo. Arriverò alle 8.30.»
«Glielo dirò domattina. Sono d'accordo che mi telefoni appena
arriva all'agenzia di modelle.»
«No. Devi chiamarla adesso. Non voglio che venga a prendermi con
la macchina piccola. Prestale la tua. Non vorrai farmi fare il
viaggio da Milano a Trento su un'utilitaria, vero?»
Cadde la linea.
Eravamo d'accordo che avremmo cenato assieme io, Eva, Giulia e
Amélie. E infatti, alle 21 eravamo al Michelangelo, un altro
ristorante di lusso italiano. Il Québec è l'unico posto che io
conosca al mondo dove i ristoranti italiani fanno da mangiare
davvero all'italiana. Dalle altre parti, prima o poi la cucina di
base viene completamente forviata perché adattata al gusto dei
residenti. Fu una cena giusta per un arrivederci a presto, mentre
Giulia soffriva in silenzio. Avrebbe voluto cenare da sola con me.
Dopo le avrei dedicato più amore del solito.
Concordai con Eva che sarebbe partita per l'Italia entro una
settimana, il sabato 14 novembre. Come d'accordo, non avrebbe preso
una sola lira di compenso, ma le avrei pagato tutte le spese,
compreso il viaggio di Amélie, senza la quale non se la sentiva di
mettersi davanti a un fotografo. E in più sarebbero venuti anche i
figli e Jeuneviève. Anzi, ero in grado di far avere il porto d'armi
a Gène?
«Speriamo che accettino di ingaggiare anche Amélie.»
«Hai una settimana di tempo per concludere con il cliente.»
«E se non ci riesco?»
«Senti, taccagno, - disse, comprendendo il mio ragionamento. -
Viaggiamo in prima solo io e Amélie. I ragazzi e Gène vengono in
turistica. D'accordo?»
«Fanculo. - risposi. Poi però pensai a mia moglie. - «Perché no…
he he.»
Pagato il ristorante, il garçon portò l'auto di Eva
all'ingresso. Solo allora uscii al freddo, gli diedi la mancia e
feci segno alle donne di uscire. Vidi Eva, Amélie e Giulia, ma
mancava Gène e cercai con gli occhi dove poteva essersi cacciata.
D'improvviso uscirono dal buio due uomini che si avvicinarono
minacciosamente a noi. Non avevano armi in pugno, ma sapevano lo
stesso farsi ascoltare.
«Abbiamo un messaggio per Massari. - Disse il più autorevole,
rivolgendosi a me e Eva. - Gli diamo tempo fino al 30 novembre.
Poi...»
Smise di parlare.
Pian piano mostrarono entrambi il cenno di alzare le mani.
Dietro a quello che stava parlando c'era Geneviève con la pistola
premuta sul collo.
«Ehi. - riuscì a dire quello. - Non fare puttanate. Non sai
neanche cosè un'arma.»
In un attimo Gène puntò l'arma al cielo, sparò un colpo in aria e
riappoggiò la canna sul collo dell'uomo. Entrambi si abbassarono
d'istinto per poi riprendere piano la posizione eretta. Gène
appoggiò nuovamente la pistola al collo di quello che parlava.
«Stronza! Cavala. Scotta, Tonnère de Dieu!»
Poi, dato che lei non mollava, prese coraggio e si sottrasse
scappando via, seguito dall'altro.
Geneviève puntò l'arma con due mani verso i fuggitivi.
«Ferma Gène! - urlai. - Sarebbe eccesso di legittima
difesa!»
Non disse nulla, ma abbassò l'arma.
«Un tentativo di rapina?» - chiese Giulia, dopo 10 minuti di
strada. Ma non aveva ottenuto risposte. Lo sparo non era stato
sentito da nessuno del ristorante, Geneviève aveva cercato e
raccolto il bossolo del colpo esploso, poi erano saltate in
macchina e io avevo dato gas. Andammo prima a casa del papà di Eva.
Dato che lui non c'era, scesi anch'io ed entrai un attimo per
tranquillizzarla.
«Sento che la situazione sta per cambiare.» - Le dissi quando
fummo soli, alla sola presenza di Gène voglio dire. Ma era evidente
che stavo mentendo.
«Me lo auguro proprio. - Rispose. - La cosa inizia a
terrorizzarmi.»
«Ti capisco, ma ti faccio notare che non hanno mai messo in
discussione la vita di qualcuno. Hanno solo minacciato.»
«Non ci scommetterei. Anche le minacce, prima o poi si traducono
in violenza se non riescono ottenere quello che vogliono. Ed io non
ne ho la minima idea di quello che stanno cercando.»
«Lo saprò quando tornerò a casa. » - La rassicurai.
«Perché, c'è qualcosa che tu sai e di cui non mi hai
informata?»
«No. - Sorrisi ancora più forzatamente. - Solo che a casa potrò
assumere informazioni che mi consentiranno di capirci
qualcosa.»
«Speriamo che non sia in gioco la mia felicità...» - Disse con
un certo realismo.
Conducendo a casa Amélie, provai a soddisfare una curiosità
intrigante.
«Dove hai trovato chi ti fabbrica quelle coperture adesive che
usi e fai usare per le foto di nudo?»
Rise.
«Simpatiche, vero?»
«Se non le avessi viste di persona, non ci avrei creduto.»
«Non lo sa nessuno, ma le fabbrico io.»
«Cosa?»
«Sono usa e getta. Ho un atélier di costumi e ammenicoli vari da
teatro e da cinema.»
«Continui a meravigliarmi. E come ti è venuta l'idea, se non hai
rapporti con il mondo dello spettacolo?»
«E chi te l'ha detto?» - rise ancora. - «Ho uno studio
televisivo, ho delle partecipazioni in alcune produzioni, finanzio
vari show... La telecamera che hai usato, era mia...»
Però! Pensai. Ha reso bene l'astro Eva de Vaillancourt. Poi mi
venne un'idea.
«Scusa, ma tu rifornisci anche il Folichon?»
«Il Folichon? - Chiese facendosi seria. Temeva di perdere la mia
considerazione. - Certo, qualcosa… Perché?»
«Le cameriere, - chiesi, - hanno una giacca del frack e...»
«Ah, ora capisco. Sì. Noi forniamo loro tutto, quindi anche la
mutandina adesiva d'argento con cui si coprono il sesso. E' quella
che intendevi, vero? - Sorrise maliziosa. - Non ti pare una bella
trovata?»
«Sì. Sono più erotiche le cameriere delle spogliarelliste.» -
convenni.
Giulia seguiva il discorso senza capire dove volessi
arrivare.
«Non portano i collants, vero?»
«No.» - Le piaceva il mio interesse apparentemente
feticistico.
«Ma hanno qualcosa addosso, vero? - Ricordai di aver accarezzato
il sedere di quella che si era adoperata per farmi rinvenire. - Le
cosce, al tocco, sono un po' ruvide...»
«Non si può toccare, lo sai, soprattutto le cameriere... - Alzò
l'indice per darmi del birbaccione. - Usano uno spray, sul quale si
incipriano con un po' di terra. Serve per dare un colore di
uniforme abbronzatura lucente alle gambe.»
«Lo usano anche gli uomini?»
«Chi?»
«Gli uomini che lavorano al Folichon.»
«Non ci sono uomini che lavorano al Folichon.»
«Ho visto due personaggi vestiti da carnefici del '500.»
«Non in quel locale. Niente hard al Folichon; è un locale di
lusso. Tanto meno il sado-maso. Per provare quelle sensazioni, devi
andare al «Never-say-Never». Al di là del Saint Laurent. Ma sta'
attento, è proprio un postaccio.»
«Lo fornisci tu?»
«Non ci penso neanche.»
Pista chiusa, pensai.
«Non parlavo delle fruste o di altri strumenti del genere. -
Tentai ancora. - Ma dei costumi.»
«Ho due ragazzi, due ragazzoni, che li prendono da me. - Ammise
poi con circospezione. - «Ma solo perché non saprebbero dove
prendere il trucco.»
«Usano anche il trucco?»
«Sì, lo stesso delle cameriere. Lo spray e la terra... Ce n'è
una qualità che dà ai muscoli l'effetto dell'omaccione peloso e
virile.»
«Sono loro! - dissi. - Ma che bisogno hanno di aumentare la loro
rudezza?»
«Sono due Uroni. Gli Indiani originari della parte francese del
Canada. E come tutti i pellerossa, - disse sorridendo da donna
matura, - sono più dotati ma hanno poco pelo...»
Poco dopo ci dirigevamo alla sua beauty farm, dove avrebbe potuto
trovare indirizzo e telefono dei due.
«Eccoli. - Disse alle 23.30. E mi fotocopiò le schede. - Nome,
nome d'arte, taglia, forniture, indirizzi di abitazione, di lavoro
e rispettivi telefoni. Niente coordinate bancarie; pagano in
contanti. Fanne uso discreto, io non ho mai tradito i miei clienti.
Ti do queste informazioni solo perché puoi aiutare Eva, ma non
voglio sapere cosa c'entrino i due indiani.»
«Domani partirò a mezzogiorno. Passerò da loro prima di andare
all'aeroporto.»
«Se vuoi un consiglio, raggiungili adesso dove lavorano. Di
mattina dormono e staccano telefono e campanello. E in ogni caso,
io non andrei a casa loro. Gli indiani vivono...»
«Sì, sì, grazie. Mi accompagni, Giulia?»
Riportata a casa anche Amélie, l'abbracciai ringraziandola.
«Arrivederci a Milano.»
«State attenti. Mi raccomando.»
All'una di notte bussavamo al Never-say-Never. Si aprì uno
spioncino. Una brutta cera guardò prima me e poi lei. Costui
richiuse lo spioncino e, dopo una sferragliata di catenacci, aprì
la porta. Ci fece entrare per richiudere la porta dietro di noi col
medesimo rumore. Mi augurai che fosse tutta scena.
«Di qua.» - Disse, facendoci strada attraverso una serie
grossolana di passaggi che riproducevano le segrete di un antico
castello. Delle urla che avrebbero dovuto apparire agghiaccianti,
venivano diffuse da altoparlanti nascosti. Ci portò alla cassa.
Anche le segrete dei castelli hanno diritto alle loro prebende.
«I signori hanno preferenze?» - Chiese una donna vestita con una
tuta aderente e rossa da diavolessa. Mi domandai se l'innocente
Amélie non vendesse anche quei costumi.
«Voglio punire la mia donna.»
Giulia, come da copione, abbassò la testa arrossendo. Le tenni
le mani dietro la schiena e le feci alzare la testa tirandole
indietro i capelli. Fece una smorfia e chiuse gli occhi.
«Preferenze?»
«Voglio che sia denudata, incatenata al palo della tortura, e
frustata in sulle natiche al mio cospetto.»
«Preferenze?»
«Sì. Voglio i due carnefici più robusti che avete: Richelieu e
Mazarin.»
«Fanno 100 Dollari per i boia e 25 Dollari per il locale.
Compresa una consumazione.»
Cacchio! - pensai pagando. - Più cari che al Folichon. Forse
avrei dovuto trattare la cifra.
Ci accompagnò in una cella. Verso il fondo c'era un palo tipo
pellerossa, lucidato dall'uso, con sull'estremità una catena e un
paio di bracciali. Chiese solo a me cosa desiderassi bere; Giulia
non esisteva, era la schiava, la condannata. Un whisky doppio.
Uscì, chiudendo la cella con altro spaventoso sferragliare di
catenacci.
«Me la faccio sotto! - Gridò a bassa voce la povera Giulia non
appena rimasti soli. - Andiamocene, ti prego. Questi mi
uccidono.»
«Dai. Al massimo ti frusterò io. - Scherzai. - Vai bene così.
Continua a comportarti come una vittima sottomessa.»
Preceduta da uno sferragliare esagerato, entrò una ragazza
vestita da diavolessa nera. Posò il whisky sul tavolaccio, poi
prese la carrucola ed iniziò ad abbassare la catena, alla cui
estremità stavano due bracciali di cuoio nero con chiusura a
velcro. La fermò ad un'altezza sufficiente per la vittima
designata, poi uscì.
Tornò la diavolessa rossa, che le fissò i polsi ai cinturini,
poi tirò la carrucola fino a metterla in tensione sulla punta dei
piedi. Uscendo, aprì e richiuse la porta della cella lasciando
entrare per un attimo il rumore agghiacciante di una scudisciata
seguita da urla echeggianti di una donna.
«Basta, mio Dio. Mi sento morire.»
«E va bene. - Dissi allora, allargando le braccia. -
Smettiamola.»
Ma in quel momento entrò il boia, un omone alto due metri e
tutto vestito di nero dalla testa ai piedi come Diabolik. Aveva un
ridicolo rigonfiamento artificiale all'altezza del sesso, e teneva
in mano una frusta da far paura.
«Dov'è la maiala?» - Disse questo con un vocione che intimorì
anche me, tanto che Giulia si appoggiò subito al palo, docile e a
sua disposizione. Lui tirò ancora un po' la catena per assicurarla
bene al palo e le mise le mani addosso palpandola per vedere se era
frustabile. Un professionista serio.
«Piano. - Intervenni io. - Ho detto che voglio che sia frustata
da Richelieu e Mazarin. Lei non è né l'uno né l'altro.»
Era un azzardo, perché anche questo aveva la maschera da boia,
ma pareva un bianco.
«Io sono Cariddi. - Rispose, dopo aver accertato che poteva
colpirla sul sedere. - E valgo più dei due cardinali messi
insieme.»
Era effettivamente enorme, ma dovevo pur fermarlo in qualche
modo.
«Può essere. - Obiettai. - Ma voglio loro due.»
Lui, per non perdere l'ingaggio, andò avanti sperando che ci
ripensassi. Mise nuovamente le mani addosso alla poverina, ormai
del tutto passiva, e con uno strattone verso il basso le strappò
quasi tutto quello che aveva addosso.
«Fermo! - Urlai, mentre lui già brandiva il frustone. - Se solo
ti azzardi a toccarla con un dito chiamo la polizia!»
Mi interposi tra lui e lei e gli strappai la maschera.
Lui rimase come stordito, come se lo avessi svegliato da un
torpore infrangibile. Abituato evidentemente ad altre situazioni,
si ritrasse e non seppe fare altro che nascondere puerilmente la
frusta dietro la schiena.
«Scusatemi, io... Di solito la gente... I clienti fingono di non
volere... Sono solo sceneggiate... Lo vogliono loro.»
«Tutto bene, tutto bene amico. Dammi una mano a farla
abbassare.»
Non trovavo il sistema per invertire l'ordine di marcia della
carrucola.
Senza parlare, tirò verso di sè la catena e questa si alzò
facendo abbassare la parte cui era legata Giulia. Lei ora, almeno
era più comoda, ma rimase girata di schiena a mostrare il sedere,
abbracciata al palo come se fosse sotto shock.
«Scusatemi. - Piagnucolava l'uomo. - Non avevo capito. Io non
sono cattivo... Sto solo lavorando.»
«Bel lavoro! Conosci i due che ti ho nominato?»
«Richelieu e Mazarin?»
«Proprio loro.»
«Sì. Prendono sempre gli ingaggi migliori.»
«Se è per questo, ho pagato per due e tu sei solo.»
«Ti faccio restituire i soldi.»
«Li sto cercando. Ti lascio i soldi se mi aiuti a trovarli.»
«Allora era una trappola?» - domandò lui, con un'intuizione
nettamente in contrasto con il suo comportamento grossolano.
«Sì. Dove sono?»
«Non ci sono più da tre giorni. Per questo hanno mandato
me...»
«Ma di' un po'. - dissi prendendogli di mano la frusta. - Usate
tutti robe del genere? Devono essere devastanti!»
«No. Queste sono finte. Fanno un rumore terribile, ma non
lasciano segni.»
«Non fanno male?» - Pensavo alle due ragazzine che avevo visto
frustare a sangue.
«Sì, per un paio di minuti. Poi passa tutto.»
«Meno male. » - Commentai. Ma subito mi fece riaffiorare
l'orrore.
«Solo Mazarin e Richelieu usano anche quelle vere. Sono
pellerossa, indiani. Sono sempre stati feroci gli Uroni, e hanno un
coso... Vede, io invece uso questa che ha il manico a forma di
fallo perché il più delle volte vogliono che io...»
«Sì sì, ho capito. E tu, saresti un pellerossa Irochese?»
«Sono Calabrese. Sono italiano.»
«Ah già, Cariddi... Sai dove sono quei due?»
«No. Qualcuno dice che sono in vacanza alle Hawaii, altri dicono
che hanno trovato un ingaggio migliore.»
«E secondo te?»
«Li hanno fatti fuori.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«La loro roba è ancora qui. Al Never-say-Never.»
Insomma, niente da fare. L'unica conferma era che al Folichon
non avevano scherzato. E sicuramente il locale era completamente
all'oscuro di tutto, perché a Québec è un'istituzione tale che non
può permettersi di... Guardai l'ora. No. Non avevo più tempo di
passare anche dal Folichon. Mi venne in mente che la povera Giulia
non aveva più aperto bocca da quando era entrato il boia in
cella.
«Come va, tesoro? - Le chiesi accarezzandole dolcemente la gamba
sinistra. Poiché non rispondeva, provai a lusingarla. - Sei stata
bravissima. Mi spiace per i tuoi vestiti... Te ne comprerò di più
belli in Italia. Sei una taglia... quarantaquattro, vero?»
«Ma tu... - Finalmente si stava riprendendo. - Con te, la vita è
sempre così avventurosa?»
«Avventurosa? Pensa che cinque anni fa hanno provato ad
uccidermi. Quella volta sì fu un'avventura...»
Mi guardò perplessa.
«Stai contando balle.»
«No, te lo assicuro. Non hai visto la cicatrice che ho sul
petto?»
«Mon Dieu, è vero! - Ricordò, agitandosi ancora di più. - E chi
era stato, un bandito?»
«No. Un agente dei servizi segreti italiani.»
«Ce n'est pas possible! - Poi percò di calmarsi. - Beh, per lo
meno non ti hanno fatto fuori.»
«No, infatti, ma hanno ucciso la mia compagna.»
Non disse più nulla fino a casa sua.
L'aiutai ad entrare senza perdere gli stracci di sotto il
cappotto. Andammo piano in camera degli ospiti. Si tolse il
cappotto e si guardò allo specchio del bagno lo strazio fatto ai
vestiti. L'aiutai a togliersi i brandelli. Si sedette sul
letto.
Sospirò.
«Non mi sono mai eccitata tanto. - Confessò alla fine. - E
tu?»
«Mai sul lavoro. - Sorrisi. - Ti sarebbero piaciute un paio di
frustate da Cariddi?»
«Chissà? - Disse disarmata a questo punto. Si lasciò cingere
dalle mie braccia, poi si mise pancia sotto, generosa. - Se mi
prendi così, ti dico che cosa mi ha fatto letteralmente
impazzire.»
La presi così, iniziando a morderle spalle e collo con forza
crescente. Si contorceva dal piacere associato al dolore ed io
affondavo sempre di più eccitato i denti, godendomi di quel potere
che mi affidava.
«E adesso sentiamo che cosa ti ha eccitato di più di Cariddi. -
le sussurrai passando con la lingua su un ematima appena fatto. -
E' stato quando ti ha strappato i vestiti di dosso, vero?»
«No. Le quattro manate volgari che quello sporco individuo mi ha
dato per vedere se ero abbastanza in polpa da poter essere
frustata...»
A quel punto, dovetti ammettere di aver intessuto con Giulia una
relazione abbastanza intensa da pensare che potevo fidarmi di lei.
E così le raccontai quanto mi era successo al Folichon e, di
conseguenza, i fatti collegati che avevano preceduto e seguito quel
drammatico momento. Rimase sconcertata, ma ormai aveva capito che
con me sarebbe potuto succedere di tutto, quindi non si scompose
più di tanto. In compenso, mi confessò, in pochi giorni le avevo
conquistato la fiducia e il primo posto nella scala dei suoi
valori.
Probabilmente non avrebbe potuto aiutarmi lo stesso, ma almeno
aveva una visione completa della situazione. Da quel momento
avrebbe letto gli eventi con occhio diverso e giurò che mi avrebbe
messo al corrente di qualsiasi cosa ricollegabile ai fatti che le
avevo raccontato. Nulla accennai, invece, su cosa avevo intenzione
di fare in Italia. D'altronde, dopo la chiacchierata fatta con
Giulia, io stesso mi sentivo confuso sull'opportunità di parlare
ancora con il misterioso funzionario del GICO di Verona.
La mattina dopo mi portò all'aeroporto non prima delle 12,
appena in tempo per prendere il volo che, via Boston, mi avrebbe
portato a Milano.
(Continua)
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