Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 7°

®
Guido de Mozzi

«Operazione Folichon»

Primavera - Estate 2010

PERSONAGGI


Dott. Marco Barbini

Imprenditore italiano

On. Vittorio Giuliani

Senatore della Repubblica Italiana

Arch. Giovanni Massari

Imprenditore italo americano

Eva de Vaillancourt Massari

Moglie di Massari

Geneviève Feneuillette

Baby-sitter di casa Massari

Antonio Longoni
Cesare Agnolin
Giancarlo Negroni

Soci d'affari di Massari

Julienne (Giulia) Lalancette

Assistente di Massari

Rag. Luciano Pedrini (610)

Promotore finanziario di Massari

Giuseppe Kezich

Maestro di caccia

Amélie Varenne

Estetista di Eva Massari

Ing. Giorgio Scolari

Titolare del calzificio Technolycra Spa

Col. Antonio Marpe

Dirigente del Gico

Gen. Massimo Frizzi

Alto funzionario della DIA

Massimiliano Corradini

Finanziere sotto copertura del Sisde

Ammiraglio Nicola Marini

Direttore del Sismi


Nomi, fatti e personaggi di questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore.
Eventuali riferimenti alla realtà sono fatti solo per inquadrare il momento storico di riferimento.
Il locale «
Le Folichon» esiste, ma non è mai stato teatro di fatti come quello descritto nel presente romanzo.


Capitolo 7.



Josè mi aveva fatto tornare indietro a vedere se i due amici se l'erano cavata. Trovammo Luciano sulla strada ad agitare le braccia come se avessimo potuto non vederlo.
«Non riesco a raddrizzare la motoslitta.» - Disse indicandola una decina di metri più sotto, poggiata su un fianco.
«Dov'è Giuseppe?» - Domandai con apprensione.
«E' là.» - Me lo indicò, seduto alla base di un albero. Era raggomitolato, stringeva il ventre con le braccia e teneva la testa sulle ginocchia.
«Dio mio! - Esclamai, correndo verso di lui. - E' finito sotto alla motoslitta?»
«No, no, gli è andata bene… Vieni che lo tiriamo in piedi.»
«Nooo! Fermi! - urlò Giuseppe con voce flebile. - Ho solo preso un'insaccata. Mi rimetterò a posto da solo, ma ora non toccatemi...»
Perplessi, andammo alla moto. La raddrizzammo facilmente e Josè la riportò in strada sgasando il motore.
«La porto io. - Disse. - Fatemi strada con la Jeep.»

Un'ora dopo eravamo al cottage di Massari. Ci stavano attendendo per scattare un rullino di foto accanto all'auto col cervo sul tetto. Nella foto più bella, avremmo visto l'epicureo Luciano guardare soddisfatto il macilento Giuseppe che sembrava aver vomitato per tutta la giornata.
Il cervo fu portato in paese perché lo lavorassero. Avrebbero fatto avere a Massari, a Québec, la bestia in pezzi surgelati e le corna montate a trofeo. Lui le avrebbe a sua volta spedite al Senatore in Italia.
Josè non aveva detto nulla, ma io stavolta raccontai l'accaduto a Massari. Mi rispose che i boscaioli alzano il gomito piuttosto spesso e che bastava un nulla per scatenarli. Alla fin dei conti, fanno una vita per troppo tempo ai margini della civiltà.
«Credimi, Giovanni. Voleva ucciderci. Voleva uccidere te. Devi fare denuncia al sergente.»
«Tempo perso. Il fatto è accaduto nel Maine. Stati Uniti. Non muoveranno un dito. E in ogni caso ti darebbero la mia stessa risposta. E' gente che beve.»
«A mezzogiorno?»
«Quando gli va.»
«Ma troveranno il cadavere nella cabina del camion. Sarà annegato e troveranno che un pneumatico è esploso per un colpo di fucile!»
«Purtroppo ne muoiono spesso di tagliaboschi. E' un lavoro difficile e pesante. Non apriranno di sicuro un'inchiesta per questo.»
«Sei un cinico, Giovanni.»
«Sono un realista, Marco. Primo: secondo me, quello se l'è cavata. Sarà saltato prima dell'impatto o chissà che altro. Secondo: se davvero avesse voluto uccidere qualcuno, mi auguro davvero che non ce l'abbia fatta a cavarsela. Chiaro il concetto?»
Il concetto era chiaro, ma durante il viaggio di ritorno della mattina dopo, avevo un sacco di domande alle quali non sapevo rispondere. Una prima volta, a Miami, avevano provato a spaventare o addirittura uccidere me e la sua famiglia. Forse volevano anche lui; però non potevano sapere chi fosse a bordo. Una seconda volta avevano provato a rapire sua moglie e/o i bambini. Lì, certamente non volevano lui, e per fortuna io non c'ero altrimenti si poteva pensare che l'obiettivo, per qualche oscura ragione, potessi essere io. La terza volta, al Folichon... Mi venne un conato di vomito a pensarci. "Ultimo avvertimento." Avevano detto. Era proprio stato l'ultimo? Se sì, ieri avevano provato davvero ad ucciderlo. Per almeno due, ma forse anche per tre volte, io ero stato scambiato per lui o per uno della sua famiglia. Dovevo dirgli del Folichon non appena rimasti a tu per tu.
Ma non sarebbe stato possibile.

Essendo partiti all'alba dell'indomani, arrivammo a Québec City a mezzogiorno. Lungo la strada avevamo fatto un sacco di telefonate col portatile di Massari. Lui aveva avvisato Eva del ritorno e del successo della caccia. Parlando con l'ufficio, però, apprese che sarebbe dovuto andare d'urgenza a Miami per prendere visione di un palazzo in vendita a South Beach, Oceanfront. Un'occasione da non perdere. Ci propose di andare con lui, ma io dovetti rifiutare per via del lavoro che avevo da svolgere con Eva. Si decise che sarebbero andati con lui il Senatore e Luciano. Fece preparare il Lear per quel pomeriggio.
Io avevo telefonato in ufficio a Trento, dove avevo appreso che tra due giorni, il prossimo venerdì, Roberta sarebbe andata a Milano per prendere visione della fotomodella numero 17, Manuela. Da parte mia, avevo saputo da Eva che aveva organizzato tutto con l'aiuto di Giulia, allestendo la sala di posa presso la sua estetista. Alle mie perplessità, aveva risposto che la sua estetista era quella che l'aveva preparata nei dieci anni di carriera di top-model, e seguita nei dieci successivi. Era grazie a lei se era ancora così, ed era ampiamente attrezzata di tutto. Aveva predisposto una telecamera nella sala di posa che aveva sempre a disposizione tra la palestra e il salone dell'aerobica. Sarebbero serviti anche un aiuto fotografo, un direttore di luci e un operatore video? No, risposi, sarebbero stati necessari solo in fase di produzione esecutiva; ora sarebbero bastate Giulia come aiuto e la sua estetista come truccatrice.
Il Senatore e Luciano telefonarono a casa loro in Italia per salutare e per informarli sui loro spostamenti. Ora, se qualcuno avesse tenuto il telefono di Massari sotto controllo, avrebbe saputo tutto con un certo anticipo. Per lo meno non ci sarebbe stato uno sbaglio di persona, stavolta. La prossima mossa, quindi, sarebbe stata chiara e ben interpretabile.
Anche Giuseppe telefonò, al ristorante dove lavorava. Una comunicazione telegrafica.
«Sto bene. Niema problema»
Povero.

Giunti a Québec, le cose furono sbrigate in fretta. Giovanni passò dal suocero a salutare moglie e figli, andò in ufficio, prese la sua cartella nera e fece un salto a casa per fare una doccia. Non aveva bisogno di bagagli perché aveva tutto anche a Miami. Gli altri due avevano le valige pronte perché due giorni prima, come me, avevano fatto il check-out dall'Hotel Frontenac. E' che non avevano nulla di leggero, cioè adatto ai 30 gradi di Miami
«Comprerete una T-shirt e un paio di bermuda a Miami.» - Semplificò Giovanni. Ottimo, pensai. Un austero Senatore e un gaudente trippone vestiti da hawajani.
Io, invece, non sapevo dove andare a sistemarmi. Tornare al Frontenac? Eva mi aveva detto che sarei stato ospite a casa sua, ma i programmi erano stati ampiamente modificati. Giovanni mi suggerì di sistemarmi a casa sua lo stesso ma, cortesemente, rifiutai.
«Non senza di voi.» - avevo detto.
«Non farti problemi, oppure fa' tornare a casa anche Eva. - Poi, vedendo gli sguardi maliziosi dei presenti, precisò - Con i bambini.»
«Non preoccuparti. - risposi. - In qualche modo mi arrangerò. Buon viaggio.»
Jacques li portò all'aeroporto di Québec. Io presi la mia valigia e mi recai al bar Jules e Jim. Erano le 17 e trovai solo suo padre. Mi guardò e mi accolse con le braccia incrociate.
«Beh? - disse lui. - Sei addirittura venuto a sistemarti a casa?»
«Ma no... - Brontolai appoggiando le valige. - Dai, non mettetemi in imbarazzo. Devo solo cercare una sistemazione. Massari vuole che vada a casa sua, ma io...»
Mi prese le valige.
«Intanto mettiamole qua. Poi vedremo cosa fare. OK?»
Sparì dietro una porta con la scritta privé.
«Hai mangiato?» - mM chiese appena tornato.
«No.»
«Naturale. Vuoi aspettare Giulia?»
«Sì, ovviamente. Nel frattempo vado a fare una commissione.»

Quando tornai, Giulia mi stava aspettando con le mani sui fianchi.
«Papà mi ha detto che sei venuto a sistemarti a casa nostra.»
«Questi sono per te.» - Le misi in mano un mazzo di fiori.
«Marco!» - Mi abbracciò.
«Vi ho fatto preparare al tavolo Due un paio di salmoni in grado di farlo rizzare a un morto.» - Ci interruppe suo padre.
Erano due giorni che non assaggiavo salmone, e mi venne fame. Mangiammo entrambi di gusto, bevendo vino francese dal prezzo assurdo. Lo feci notare alla mia commensale.
«Fregatene.» - Suggerì Giulia. - «Paga papà.»
Alle 22 ero stanco morto e avevo bisogno di dormire.
«Dobbiamo trovare un albergo. Ho sonno.»
«Papà ti ha portato le valige nella camera degli ospiti.»
«No... Giulia, non voglio creare casino. Io...»
«Non preoccuparti, non ti chiederò di lasciare tua moglie.» - Rise con ironia.
«Stronza… Potrebbe chiedermelo tuo padre.»
Passammo la notte nella camera degli ospiti. Io mi addormentai subito, ma mi svegliai prima del solito, cioè alle quattro. Accarezzai Giulia, che si svegliò piano piano fino a prendere il controllo della situazione. Volle godersi di me il più possibile. Il contatto, la pelle, la passione. Si puntava con i piedi, si tirava con le unghie, si strisciava col viso e le tette. Mentre mi amava con le labbra, venne addirittura lei prima di me. Ne aveva proprio bisogno, e fui lieto di averla soddisfatta.
Dapprincipio avevo deciso di confidarmi con lei sui fatti che erano accaduti, per prendere decisioni con il conforto di un'altra persona, ma ora non mi sembrava più il caso. Sarebbe stato per un'altra volta.

Eravamo usciti insieme e alle otto e trenta lei era già in ufficio a fare alcune cose. Telefonò a Massari per aggiornarsi.
«Tutto a posto?» - Gli chiese di routine.
«Tutto a posto un cazzo!» - Lo sentii urlare dalla cornetta di Giulia.
«Mon Dieu! Cosa è successo?»
Tesi l'orecchio per sentire.
«Quello stronzo di Luciano non aveva il visto, cazzo!»
«E allora?»
«Lo sai meglio di me, che senza il visto non può passare il confine degli Stati Uniti con un aereo privato!»
«Ah sì, è vero!»
«Bene! Il deficiente non ce l'ha ancora, hai capito? Non ce l'ha! Non ha il visto!»
«Merde! Cosa avete fatto?»
«Ha rischiato di essere espulso. Espulso, hai capito? Alla fine sono riuscito a convincerli di accettare una triangolazione. L'ho mandato alle Bahamas e ora sta arrivando a Miami con una compagnia di bandiera. Hai capito come si butta via il tempo con gli stronzi?»
«Via, signor Massari. E' il miglior venditore che ha...»
«Sì, ma quando non vende è stronzo quanto pesa! Ieri sera, per colpa di questa cazzata, non sono riuscito a incontrarmi con quelli della Gold Coast Realty Inc. Se mi ha fatto perdere il colpo...»
«Vedrà che ce la farà, come sempre.»

«Mi lasci fare una telefonata?» - Le chiesi quando terminò con Massari.
«Prego. Puoi prendere le linee uno, tre, cinque e sette. Non occorre fare lo Zero.»
«Posso usare la linea del Fax?»
«Come?»
«Hai capito. Quella del Fax.»
«E come faccio...»
«Fammi vedere dov'è il centralino.»
Mi portò dalla receptionist.
«Mettiti d'accordo con lei.» - Disse tornando nel suo ufficio.
Accertato che la signorina non capiva l'italiano, aprii la mia agenda e cercai il numero di un alto funzionario del Ministero delle Finanze Italiano. Composi i vari prefissi e il numero. Rispose una signorina.
«Sono il dottor Marco Barbini. Mi può passare il Dottor Zanardelli?»
«Un attimo prego.»
Mi passò il segretario del dirigente. Ripetei la presentazione.
«Mi può ripetere il suo nome?»
«Dottor Barbini. Di Trento.»
«Un attimo prego.»
«Barbini! Come sta?»
«Bene, grazie.»
«E il Senatore? La caccia dà i risultati che si aspettava?»
«Si è fatto un Cervo della Virginia.»
«Ma non era in Canada?»
«Sì, sì, mi scusi. Si chiama Cervo della Virginia il Cervo dalla Coda Bianca che vive in tutta la catena degli Appalachi e quassù tra il Québec e il Maine.»
«Posso fare qualcosa per lei?»
«Sì. - Risposi con tono deciso. - Il Senatore vorrebbe parlare con una persona di fiducia dello SCICO. Avrebbe un nome da suggerire?»
«Devo fare qualche telefonata. Ma c'è un'area geografica specifica di riferimento? Sa, lo SCICO si limita, o quasi, a coordinare l'attività dei vari GICO, che sono i Gruppi Investigativi contro la Criminalità Organizzata di ogni regione, ma in realtà i reparti operano localmente in maniera indipendente.»
«Le aree sono il Veronese, il Trentino e la Toscana.»
«Il Trentino fa capo a Venezia, quindi è più semplice. Può essere invece più preciso per la Toscana?»
«Sì, L'area di Massa Carrara.»
«Dove posso chiamarla?»
«Le do un paio di numeri, ma se non mi trova, lasci detto che mi ha cercato.»
«Mi saluti il Senatore. E' lì con lei?»
«No. Non è in questo Stato.»
«E' almeno in quel Continente?»
«Sì. Lo è. Mi scusi, dottor Zanardelli. Posso chiederle la massima riservatezza?»
«R, RR, S o SS?» - mi chiese, pari a riservato, riservatissimo, segreto o segretissimo; ogni sigla aveva diverse modalità operative di protocollo.
«RR. - Conclusi. - Almeno per ora.»

«Andiamo. - Venne a dirmi Giulia alle nove e tre quarti. - Eva ci aspetta. Ma cosa diavolo dovete fare insieme?»
«Mi farà da testimònial in una campagna pubblicitaria.»
«E cos'è un testimoniàl?»
«Il personaggio che nella pubblicità rappresenta la persona che il pubblico dovrebbe imitare.»
«E lei chi dovrebbe rappresentare?»
«Se stessa. La donna di classe, fra i 35 e i 40, benestante, bella, intelligente e, in questo caso, fedele.»
«Come fai a sapere che è fedele?» - Sorrise maliziosa.
«Non ho detto che deve esserlo. Ho detto che deve solo rappresentare la donna fedele.»
«Beh... Sì. Forse hai ragione. Rappresenta la moglie che tutte noi vorremmo essere. - Poi, dopo averci pensato un attimo, - Ma che belle scoperte! E chi non vorrebbe essere come lei, sacré diable! E' ricca sfondata, bella come il sole, conosciuta in tutto il mondo, felice come pochi...»
«Brava. - Commentai, ignorando quest'ultima definizione. - Hai capito il ruolo della pubblicità.»
Arrivammo più o meno alle dieci alla Beauty Farm Chez Amélie, dove ci aspettavano Eva, la sua estetista Amélie Varenne e la fedele Jeuneviève. Salutai quest'ultima, e lei mi rispose col pollice in alto per informarmi che era tutto OK.
Eva mi diede un bacio stile Femme Fatale, poi mi presentò ad Amélie.
«Enchanté.» - Le dissi.
«Mon plaisir.» - Più che un'estetista era un'industriale della bellezza. Il successo di Eva l'aveva fatta divenire la più importante beauty-maker del Québec. Aveva l'età di Eva ma, contrariamente a lei, era ben rotondetta, alla faccia del suo lavoro.
«La sua forma è tutto un programma.» - Pronunciai con eleganza nella mia solita ironia.
«Sono desiderata da tutti così come sono. - Rispose gioviale. - Quindi posso permettermi di non proibirmi troppe cose. Sono le mie clienti che vogliono diventare bellissime, cioè belle come Eva, non io.»
«Una volta l'ho convinta a posare nuda per una rivista americana. - Disse quest'ultima mentre Amélie faceva finta di non ascoltare, anche se era evidente che ne andasse fiera. - Fu un successo tale, che le riviste principali americane vollero tutte pubblicare foto di ragazze giovani belle, sane e robuste come lei. Ha scritto pagine di costume, dato che da allora nessuna si vergogna più di essere grassa.»
«Purché in forma. - Precisò Amélie. - Come me.»
Ci portò nello studio che aveva riservato per noi. Ordinò di non essere disturbata, ma aveva astutamente sparso la voce che di là stava ancora una volta scrivendo pagine di costume.
«E' tutto pronto, ora tocca a lei. - Mi disse, poi mi si avvicinò. - La tratti con dolcezza.» - Aggiunse sotto voce. «Sono anni che non posa. Cerchi di gratificarla.»
«Mi ridai la scaletta?» - Chiesi a mia volta a Eva.
«Il materiale è nella valigetta.» - La indicò.
Giulia me la portò senza che gliela chiedessi. Gliela feci tenere e mentre la aprivo la pregai di darmi una mano. Poi mi rivolsi nuovamente a Eva.
«Devo fotografarti senza niente addosso. Sai meglio di me che non ci sono problemi. Sei la più bella e la più amata. Se ciò ti rendesse le cose più facili, ci spogliamo anche noi.»
Lei e Amélie risero di gusto. Il mio modo di mettere a proprio agio la gente è quello di sdrammatizzare l'atmosfera.
Poi mi rivolsi ad Amélie.
«Per favore la faccia spogliare e le faccia indossare per un po' solo una vestaglia in modo che le vadano via i segni della biancheria. Calze, che ne so, mutandine, reggiseno, altro. Tra qualche minuto sarà pronta.
«Giulia, - Mi rivolsi a lei. - Vieni con me alla telecamera?»
Era una Betacam Sony portatile, già sistemata su un pesante stativo con ruote. L'accesi e aprii l'alloggiamento della cassetta e mi accertai che ve ne fosse una. Guardai la scena dal monitor di servizio e vidi che inquadrava esattamente tutta la sala. Ridussi un po' il campo sulla nostra zona di lavoro.
«Quando te lo dirò, dovrai premere questo pulsante rosso, assicurarti sia che si accenda questa spia rossa sul davanti e, se vuoi, ogni tanto da' un'occhiata al monitor.»
«OK, capo.» - Dove avevo già sentito questa risposta?
«Controlla i tempi leggendo questo display. Le cassette durano una mezzora, quindi devi avvisarmi quando sta per avvicinarsi ai trenta minuti.»
«Lei non la manovra?»
«Tu fa' quello che ti dico.» - Le strizzai l'occhiolino.
Poi estrassi la mia Nikon dalla valigetta, che aveva un telezoom Nikkor 16-86 F 2,8-4,2 (d'altronde, non avevo pensato di trovarmi a dover fare foto di questo genere), la caricai con Kodak per color prints da 36 pose da 100 Asa comperate apposta poco prima, e la collegai al Flash elettronico che era stato montato prima che arrivassi. Orientai le luci e le ombre guida, poi chiesi nuovamente aiuto a Giulia.
«Mettiti lì.» - Le ordinai, e scattai un sacco di foto a vuoto per mettere a punto il materiale. Lei, certa che non ci fosse il rullino, si era mossa con una disinvoltura che non avrebbe mai più avuto nella sua vita.
«Sono pronto. - Informai infine ad Amélie, che non era certamente rimasta con le mani in mano dietro un elegante separè, ma che non era ancora pronta. Dovendo attendere qualche minuto, ascoltai la musica molto rilassante che aveva messo di sottofondo. Amélie conosceva il suo mestiere. Io, Giulia e Jeuneviève stavamo aspettando con crescente interesse il mostro sacro. Anche questo fa parte del mestiere.
Finalmente uscirono. Feci cenno a Giulia di avviare la registrazione della telecamera. Eva aveva una vestaglia di taffetà color oro. Amélie la presentò con pomposità.
«Signore e signori, ecco a voi... Eve de Vaillancourt!»
Eva rimase di schiena in attesa che tutti gli occhi fossero puntati su di lei. Spensi le luci che non servivano e lei rimase nel solo fascio luminoso della sala. Anche se l'intensità della luce era bassa, in quanto si avrebbe lavorato con i flash elettronici predisposti, la si vedeva di una perfezione suggestiva. Piano, aprì la vestaglia e la lasciò cadere ai suoi piedi con movimenti lenti. Mentre questa scivolò, scattai quattro foto, rompendo ahimè l'incantesimo erotico prodotto dall'inconfondibile rumore del taffetà che scivola sulla pelle. Poi la guardai. Era bellissima e capii subito che tutti ne sarebbero restati incantati.
Amélie fece sparire con discrezione la vestaglia. Alzò le braccia al cielo, portando la testa solennemente indietro. Spalle rotonde, schiena appena mossa dalle scapole con curvatura che rientrava al punto giusto, alla vita sottilissima. Il sedere era alto, rotondo tendente all'ovale. Come avvertendo che con gli occhi eravamo giunti lì, fletté un attimo il ginocchio destro per dare alla propria immagine l'impronta di un certo pudore femminile. In questo modo, anche il piede non poggiava a terra per intero. Abbassò le braccia lungo i fianchi, mantenendo le mani tese verso l'esterno come una ballerina.
L'avevo già vista nuda, ma non potevo aver visto il neo nella parte inferiore della natica sinistra, come non potevo aver visto la lucentezza della pelle. Era bianca nonostante il sole della Florida. Questo, pensai, portava la firma di Amélie.
Come per fare un composit fotografico, scattai prima foto d'insieme, poi dei particolari. La testa, il collo, la schiena, il sedere e le gambe. Mi avvicinai e fotografai il particolare del neo inquadrando quel gluteo e metà dell'altro. Poi fotografai i piedi, dei quali uno aveva il tallone vezzosamente sollevato. Mi riproposi di sottoporre questa foto al parere di un feticista.
Prima di chiederle di girarsi, andai a cambiare cassetta. Allora guardai anche le facce dei presenti. Amélie era soddisfatta e fiera del suo lavoro. Giulia era ammirata e lusingata di aver un ruolo da svolgere in quel servizio fotografico. Prese la cassettina che le avevo dato e la mise nella valigetta. Geneviève, spinta dall'intimità della scena, sentì il dovere di assicurarsi che nessuno potesse infrangere la nostra privacy e controllò le uscite.
«Ti puoi girare, Eva?»
Lo fece facendo perno sulla punta del piede sinistro e sul tallore destro. Allargò le braccia e fece il cenno di un inchino flettendo un attimo le ginocchia e abbassando la fronte. Poi mise le mani dietro la schiena, tornò a piegare il ginocchio pudicamente e si lasciò nuovamente rimirare soddisfatta. Nell'operazione scattai cinque o sei foto. Controllai il numero degli scatti sul display della Nikon e cambiai il rullino.
«Sei la più bella donna del mondo.» - le dissi durante il cambio. Un vecchio trucco per non allentare la concentrazione - «Hai il seno che è una terza misura, precisa come una pietra di paragone. Il tuo sesso è lucente come un castoro selvaggio. - Sorrise. Ripresi a fotografare. - I tuoi capezzoli invocano l'Onnipotente. I seni sono sodi?» - Chiesi poi professionalmente.
Una modella meno famosa avrebbe capito che avrebbe dovuto fare un saltino per farmi vedere come si comportavano.
«Sì. - Intervenne Amélie. - Te lo posso assicurare.»
«E' tutta farina del suo sacco?» - le domandai.
Avevo chiesto in sostanza alla sua estetista se Eva aveva subìto qualche intervento plastico. Non avevo smesso di fare foto e lei cambiava posa man mano che sentiva il flash sul suo corpo. Ma ora si bloccò.
«Le stai chiedendo se sono tutta originale?» - Mi chiese dopo ben un minuto di ragionamenti. Giulia rimase imbarazzata per me. Amélie rideva sotto i baffi. Jene era rimasta perfettamente indifferente.
«Scusami. - Accennai. - E' come chiedere l'età. Perdonami.»
«Vieni qua.» - Mi ordinò. Mi avvicinai, disposto a prendermi una sberla.
«Ora toccami, e dimmi se secondo te ci sono trucchi."
«Eva, io non volevo..."
Mi girai e subii lo sguardo sornione di Amélie. Saltai Giulia e mi soffermai a guardare Geneviève come per chiederle l'autorizzazione; era la sua guardia del corpo...
«Non preoccuparti per Giulia. Non dirà nulla a Giovanni, credimi. - Giulia, Cristo, altro che Gène! La guardai come per scusarmi, ma lei mi incoraggiò. Stava subendo il carisma di Eva, la bellissima moglie del capo. Allora mi avvicinai a Eva. Piegato davanti a lei, dopo una breve pausa studiata, l'accarezzai dietro il ginocchio per risalire la coscia fino ad arrivare alla sua natica sinistra. Sentendo nella mano la parte del sedere più piena, strinsi con spontaneità il palmo un paio di volte, sfiorando con le dita anche l'altra rotondità del sedere. Avvertii il suo intenso profumo di donna e mi fermai.
«Ora il seno.» - Aggiunse prima che mi allontanassi, mettendosi in posa.
Andai dietro di lei. Guardai Giulia, che non staccava gli occhi dalle mie mani. Mi avvicinai a Eva facendole sentire il mio respiro e le posi le mani davanti. Salii con una mano sul suo seno destro. Poi feci lo stesso col sinistro. Massaggiai dal basso in alto, poi diedi una vera e propria palpata di piacere, lasciando notare ai presenti l'elasticità per cui i seni tornavano alla loro posizione naturale.
«Hai ragione, - Ammisi, anche per stemperare la situazione. - Sei nature quanto uno spumante rabboccato con il suo stesso liqueur.» - Nessuno aveva capito un cazzo, ma ottenni lo stesso l'effetto desiderato.
Mi portai davanti a lei sorridendo, come per fare la pace. Le baciai la mano e lei me lo restituì baciandomi sulla guancia.. Avvertii che i presenti condividevano la mia stessa emozione.
«Ancora foto. Per favore. - proseguii. - Amélie, hai portato un paio di autoreggenti?»
«Certamente.» - Entrambe si portarono dietro il separè.
Cambiai rollino e cassetta. Giulia prese il materiale girato e lo mise via.
«Il tuo lavoro è davvero stressante eh?»
Finsi di non aver sentito.
Geneviève si sedette.
Dopo pochi minuti eravamo di nuovo pronti.
«Hai anche un asciugamano grande?»
«Eccolo.» - Era bianco.
«Perfetto. Mettiti di schiena coprendoti con l'asciugamani solo il sedere. Ecco, così, brava. Allarga un po' le braccia... Ancora un po'... No, ora abbassale; non voglio che si vedano i piedi. Ecco perfetto. Tira un po' indietro la testa e rimani così.»
Feci una fila di foto.
«Ora fallo scendere piano fino a far scoprire il culo.»
Lo fece. - «Va bene così?»
«Brava. Puoi farlo di nuovo?»
Lo rifece. Stavolta scattai una raffica di foto fino a finire il rullino. Lo cambiai e le chiesi di rifarlo ancora.
«Stavolta, però, alla fine voltati. - Obbedì e io mi limitai a guardarla. - Benone così. - Ora fallo mentre ti fotografo.»
Le scattai un'altra raffica di foto.
«Finiamo il rullino, Eva?»
«Cosa devo fare?»
«Guardami con dolcezza, come se mi amassi.» - Appena mi sentii amato, le feci le ultime foto.
«Finito.» - Dissi, rompendo di fatto l'atmosfera magica della fotografia. Quindi portai, come d'uso, la vestaglia alla diva.
«E il filmato?» - Chiese Eva facendosi coprire dalle mie braccia.
«Già fatto. - le sussurrai sfiorandole il collo con le labbra. - Abbiamo ripreso tutta la scena. Dall'inizio alla fine.»

(Continua)
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