Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 3°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 3.
Tra un paio d'ore l'aereo della Alitalia sarebbe atterrato al
Kennedy di New York, ed io avevo ancora parecchie cose da fare.
Provenivo da Milano con un senatore italiano che mi aveva chiesto
di venire a caccia con me in Canada. Ne avevo parlato con Giovanni
Massari, il quale si era subito offerto di organizzare due battute
di caccia; una per il cervo ai confini col Maine e una a Nord del
Labrador per il caribù.
Durante il viaggio avevo atteso che il mio illustre compagno si
appisolasse per analizzare una trentina di immagini di fotomodelle.
Se l'amico fosse stato sveglio, non mi avrebbe più dato pace. Io e
i miei collaboratori dovevamo scegliere due ragazze adatte alla
pubblicità di calze di un cliente che avevo scovato a Castel
Goffredo, la patria mondiale delle calze da donna. Il titolare era
l'ing. Giorgio Scolari, l'azienda si chiamava Technolycra Spa e le
calze portavano il marchio Salomè. La mia agenzia di pubblicità
aveva progettato una campagna per lanciare le calze Salomè; erano
già stati definiti la meccanica della comunicazione e gli items da
somministrare ai consumatori (le donne) ed ai loro influenti (gli
uomini). Ora c'erano da scegliere due fotomodelle entro pochi
giorni, così al mio ritorno ci sarebbe stato solo da fare foto e
riprese. Un'agenzia di Milano mi aveva mandato due copie di un loro
album di ragazze preselezionate da loro per questo soggetto, e
durante la seconda metà del viaggio mi ero dilettato a sfogliare i
composit fotografici di ragazze sia ignude che in collant che con
le autoreggenti, rapportandole ai nostri bozzetti di base e allo
story-board approvato dal cliente. Le testimonial dovevano
rappresentare una l'immagine della moglie e l'altra l'immagine
dell'amante; un target evidentemente ambizioso, ma ritenevamo che
la forte carica emotiva della mitica Salomè, aiutata dalla madre
nella danza dei sette veli, avrebbe portato al successo. In
agenzia, anche i miei ragazzi avrebbero espresso le loro opzioni
dallo stesso catalogo che avevo io e me le avrebbero comunicate per
email e telefono, consentendoci così di prendere decisioni anche a
distanza, senza modificare la nostra tecnica di lavoro di
gruppo.
La hostess dell'Alitalia, che mi aveva visto sfogliare l'album
di foto, dapprima mi fece provare un certo imbarazzo facendomi
sentire il classico voyeur, ma poi invece riuscì mettermi a mio
agio chiedendomi se stavo scegliendo un'attrice per un film.
«Sono indeciso. - le risposi. - Ne ho individuate più d'una, ma
devo abbinare una donna di classe a una disinvolta e
l'accoppiamento non è facile.»
«Mi piacerebbe darle una mano. Mi faccia vedere quelle che ha
scelto.»
Restammo insieme a parlare di donne in genere e di quelle in
foto, finché non trovammo una convergenza di opinioni. Dovetti
riconoscere che passammo un quarto d'ora certamente non erotico, ma
almeno, come dire, di complicità. A quel punto, non potei evitare
di volgere un maligno pensiero di cordoglio ai concorrenti
pubblicitari di Trento che stavano invece realizzando una campagna
sociale commissionata dalla Provincia autonoma di Trento per
sensibilizzare lo smaltimento differenziato dei rifiuti solidi
urbani. Cosa stavano studiando, contrariamente a me? Cassonetti,
cestini, bidoni, autocarri carichi di monnezze? Tonellate di merda
che venivano rovesciate in una cloaca autorizzata? Dovevano
convincere masse di credenti sconvolte dal dubbio? Per dir loro
cosa, quel rifiuto lì mettetelo qui?
Poi, mancando un'ora all'arrivo, chiusi la pratica calze passai
ad affrontare il lavoro che avrei svolto in Québec.
In due mesi avevo svolto un bel business per Massari, tantovero
che Luciano Pedrini aveva già accompagnato per me in America cinque
miei clienti che avevo convinto ad andare almeno a vedere di cosa
si trattava. Luciano non si era più fatto male e aveva lavorato
bene. Quattro di loro avevano acquistato appartamenti per un totale
di quasi 100 unità abitative in Canada e almeno 20 in Florida. Il
quinto ci stava pensando. Quelli in Canada li avevano pagati sui
50.000 dollari canadesi, quelli in Florida si aggiravano sui 70.000
dollari USA. In tutto, Massari mi avrebbe dovuto dare provvigioni
per oltre cinquecento milioni di lire, al netto delle spese di
viaggio in Canada. Cinquanta milioni avrei dovuto darli a Luciano
per aver materialmente concluso i contratti.
E infatti mi ero preparato una fattura di queste incredibili
dimensioni. A prima vista poteva sembrare un business
stratosferico, ma il punto era che avevo finito il giro dei miei
clienti. Se volevo guadagnare anche una sola lira in più, avrei
dovuto investire in un'azione di marketing. Non prima comunque di
averne parlato con Massari e di aver valutato il rapporto
costi-benefici. E la solidità dell'affare per i miei clienti (anche
un'azienda vive una volta sola).
Chiusi la cartella e compilai i moduli per l'Immigrazione in USA
anche per l'illustre passeggero che viaggiava con me. Poi ci
portarono uno spuntino con omelette al prosciutto, yogurt,
formaggio e caffè. Chiesi un secondo caffè per rimettermi in piedi,
la giornata sarebbe stata ancora lunga. Svegliai il senatore, il
quale gradì la colazione e se la spolverò avidamente.
«Buongiorno. - mi disse alla fine. - Stiamo arrivando?»
«Ciao, buongiorno. Penso proprio di sì. Sarà una rottura di
balle passare il confine e fare dogana con i tuoi fucili, ma poi
saliremo sul jet privato del nostro ospite e tutto sarà più
semplice.»
«Sei sicuro che si possa passare il confine USA-Canada con un
aereo privato? - mi chiese. - Ti ricordo che è permesso solo ai
cittadini nordamericani di passare il confine con aerei che non
siano di compagnie di linea, come il Lear del tuo partner.»
«Te l'ho detto. - risposi. - Chi ha il visto USA può passare il
confine anche con aerei privati. E' per questo che ti avevo detto
di farti il visto.»
«Questo l'avevo capito...» - rispose l'amico, che però non aveva
ancora fugato tutti i dubbi.
Riuscimmo a trovare tutti i bagagli e fare dogana relativamente in
poco tempo. Il senatore si era portato con sè il suo Mauser e un
Voere, facendoci perdere un'ora in più alla Malpensa, ma non più di
una mezzora a New York. Come d'accordo, cercai qualcuno che avesse
la scritta Mr. Barbini, perché era anche per me la prima volta che
dovevo recarmi dal terminal dell'Alitalia alla stazione di un aereo
privato. Guadagnai tempo sedendomi da un lustrascarpe, sperando che
qualcuno si facesse vivo. Fu piacevole, ma nel frattempo nessuno mi
aveva cercato. Pagato lo sciuscià, chiamai un facchino sperando che
mi aiutasse sul da farsi. Il porter aveva appena caricato i bagagli
sul carrello, che sentii l'altoparlante chiamare il mio nome. Mi
recai come richiesto al posto di polizia, dove un agente mi chiese
il passaporto. Accertato chi fossi, ci accompagnò fuori dal
terminal come per scortarci, dove una piccola limousine ci
attendeva. L'autista scese, parlò con l'agente, quindi ci salutò.
Prese le nostre valige e le caricò nel bagagliaio. Mezz'ora dopo
eravamo all'aeroporto La Guardia. Ci portò con l'auto fin sotto un
Lear e mise i bagagli per terra. Scesero dall'aereo due piloti in
divisa, uno dei quali era Mario Salmonella, e una signorina
elegantemente coperta con una lunga pelliccia più pratica che
pregiata.
«Ciao Johnny.» - Strinsi la mano a Mario, quindi al primo pilota
e infine alla signorina.
«Mr. Barbini? Senatore Giuliani? Piacere. Sono mademoiselle
Julienne Lalancette, assistente del signor Giovanni Massari. Se
volete chiamarmi Gulia, Giovanni mi chiama così. Sarò io ad
occuparmi di Voi.»
Ci salutammo cordialmente e prendemmo posto all'interno del jet,
mentre i piloti sistemavano i bagagli in modo da equilibrare i
pesi.
«I paracadute sono sotto i sedili.» - ci informò maliziosamente
Salmonella restituendomi la battuta sul suo nome Johnny.
«Sono felice di conoscerla. - mi disse Giulia in italiano
piuttosto stentato, quando ormai l'aereo si era stabilizzato in
quota. - Giovanni ed Eva hanno parlato tanto di lei...»
«Mi fa piacere. - risposi. - Anche se non ha detto se ne ha
parlato bene o male. Lei, quale lingua parla?»
«L'inglese, se le sta bene.» - disse in inglese, pensando che ci
fosse più comodo.
«E a francese, come stiamo?» - chiesi in francese.
«Naturalmente meglio. - rispose in francese. - Altrimenti non
potrei vivere in questa grande provincia del Canada. Sono di
estrazione francese.»
«Allora possiamo parlare francese. - conclusi. - Il senatore lo
parla e lo capisce molto bene.»
«Diceva che i signori Massari sono soddisfatti dell'amicizia con
il dottor Barbini?» - domandò affabile il senatore Giuliani in
francese quasi parigino.
«Mi pare che abbia portato dei risultati notevoli, in un paio di
mesi.» - sorrise Giulia. Poi mi guardò come per chiedermi se poteva
parlare, ma non la incoraggiai.
«Il senatore è venuto con me per andare a caccia.» - dissi per
cambiare discorso.
«Me l'ha detto Giovanni. - Poi si rivolse a Giuliani. - Spero
che troverà quello che si attende.»
L'aveva detto sapendo esattamente che in Québec il senatore
avrebbe avuto un'esperienza venatoria superiore alle
aspettative.
«Da noi in Trentino, - rispose il senatore, - la caccia è
un'arte davvero speciale. Non è un fatto di qualità, ma di tecnica
amatoriale. Pensi che si caccia in alta montagna, che ci si deve
trovare sul posto prima dell'alba, che si deve essere disposti ad
attendere anche ore immobili, che si deve riconoscere senza ombra
di dubbio la preda da abbattere secondo il protocollo provinciale,
che si deve sparare mediamente da 3-400 metri di distanza, che tra
cacciatore e preda c'è sempre un dislivello che balisticamente
comporta calcoli non difficili ma necessari, che non c'è
assolutamente il tempo per sparare un secondo colpo...»
«Vittorio, - lo interruppi. - Non credo che alla
signorina...»
«Scherza? - rispose Giulia. - Qui in Canada, tutti hanno
imparato a cacciare fin da piccoli.»
«Lei va a caccia?» - chiese il senatore interrompendo il suo
progressivo torpore da fuso.
«Sì, naturalmente.» - sorrise ancora.
«Piuma o pelo?»
«Piuma. Beccacce, pernici, oche, anatre... Gli ungulati
comportano un problema logistico non indifferente. Non è facile
portarli a casa… Però, sappia che il mio freezer, come quello di
tutti i Canadesi, è pieno di selvaggina. E di salmoni,
naturalmente.»
«Salmoni?» - domandò ancora Giuliani, accantonando il nuovo
panegirico che stava per esporre sulle differenze tra la caccia
d'attesa sulle Dolomiti e la battuta di caccia nella boscaglia
canadese. Ora era pronto a intavolare una discussione sulla
pesca.
Parlarono per un bel po' sia di caccia che di pesca. Giulia
aveva gambe lunghe e slanciate, tanto che non mi riuscì di evitare
un'occhiata furtiva sotto le gonne mentre le accavallava. Mi girai
a guardare dal finestrino il territorio del Québec che scorreva
sotto di noi. Boschi, boschi e boschi, per miglia e miglia
quadrate. Ogni tanto la sinuosa presenza del fiume San Lorenzo
interrompeva l'infinita distesa di conifere. Il sole stava per
scomparire dietro di noi, sulla sinistra.
«Com'è il Québec?» - chiesi a Giulia.
«La provincia del Canada o la Città di Québec?»
«Ci parli un po' di tutto.» - suggerì Giuliani.
«Il Québec è grande come cinque volte l'Italia e ha una
popolazione di soli 8 milioni di persone, come quella della
Lombardia. Come inquadramento di base, che ve ne pare?»
Restammo a bocca aperta.
«Québec City, o meglio la Ville de Québec, è la capitale -
continuò, - conta un po' più di mezzo milione di abitanti. Per
raggiungerla da Montréal, la grande città più vicina, ci vuole più
di un'ora di volo. A Nord di Québec ci sono 2.000 miglia di terre
disabitate. A parte gli indiani, naturalmente.»
«Huroni o Irochesi?» - chiese il senatore con una curiosità che
risaliva probabilmente ai tempi della sua fanciullezza.
«Huroni. La nazione delgi Irochesi viveva attorno al grande lago
di Ontario. Gli Huroni erano alleati dei Francesi, gli Irochesi
stavano con gli Inglesi.»
«E' preparata anche di storia canadese precolumbiana?» - domandò
allora Giuliani con una punta di speranza.
«Mais oui.»
«Allora penso che avremo molti argomenti di dialogo.»
Arrivammo a Québec City alle 19. Ci aspettava un dipendente di
Massari di nome Jacques, con una grossa Jeep Cherokee con ruote
oversize. Il freddo a quell'ora era intenso e l'autista si era
portato delle giacche a vento pesanti nel caso ci fossimo vestiti
troppo leggeri. Ma non ce ne fu bisogno.
«Il signor Massari si scusa di non essere potuto venire di
persona, - disse Jacques in francese, anche se io sapevo che a lui
piaceva farsi desiderare. - Ma è dal notaio. Mi ha incaricato di
portarvi all'Hotel Frontenac, dove vi raggiungerà alle 20.30 per
portarvi a cena.»
Giulia ci diede assistenza al chek-in dell'hotel, per poi
lasciarci quando avevamo le chiavi in mano.
«Ci sarai anche tu a cena?» - Le chiesi prima che se ne
andasse.
«No. - rispose con un sorriso. - Nei business, in Canada non
sono ammesse le donne. A meno che non siano le titolati,
ovviamente.»
«Neanche nel resto del mondo, se è per questo. - le feci notare
con un inchino. - Ti chiedo scusa a nome del genere maschile.»
«Mi meraviglia che tu lo dica, ma non sono sicuro che lo pensi.»
- mi rispose con credibile scetticismo.
«Mi hai dato del tu?» - domandai fingendomi scosso.
«Mi scusi.»
«Niente scuse. - risposi. - Ti ho sentito benone. Mi hai dato
del tu. A cena vieni anche tu o niente.»
«Dottor Barbini, la prego. Non scherzi su queste cose. Non mi
crei problemi per favore. Io sono solo una segr...»
«Non ti voglio obbligare. - Stavolta sorrisi malizioso. - Non
occorre che tu venga con noi. Basta che mi dici dove posso trovarti
dopocena e… che riprendi a darmi del tu.»
«Se Massari lo venisse a sapere...»
«Pensi che se glielo dicessi io farebbe problemi?» - chiesi
dandomi una certa importanza.
«Sicuramente no, ma dopo non avrebbe con me lo stesso livello di
confidenza professionale. Potrebbe temere che tra noi fosse sorto
un qualche feeling e...»
«Mamma mia, che ambiente! Non dirò nulla a nessuno, per carità.
Dove ti posso trovare stanotte, verso le 23? Scusa, le 11 PM?»
«Al bar di mio padre. - disse per chiudere la discussione. - E'
un bistro in Rue Cartier.»
«La via del famoso orafo francese?»
«No. Jacques Cartier fondò nel 1541 il primo insediamento a
Cap-Rouge, un po' a monte dell'attuale Québec. Il bar si chiama
Jules e Jim. Dal famoso film.»
Se ne andò. Il senatore era già in camera sua e, probabilmente,
anche le mie valige erano sicuramente già in camera. Tuttavia volli
dare un'occhiata all'albergo che a quell'ora brulicava di gente in
attesa di cominciare la serata. Era praticamente un maestoso
castello dell'Ottocento, con ben 30 piani, stile Ludwig di Baviera
(anche se meno effimero), con grandi sale rifinite in legno scuro
che riproducevano l'atmosfera tipica della base di partenza per il
Nord Ovest. Anche i gift shop della hall parevano i general stores
da conquista del West, solo che avevano una persistente patina di
lusso contemporaneo e per giunta italiano. Solo un negozio di
pellicce ricordava che questo capo in Canada serviva davvero per
sopravvivere al freddo e non per andare a teatro la sera. Entrai
nel grande bar e mi guardai intorno, vedendo la vastissima vetrata
circolare che delimitava il lato più esterno. Guardando da queste
finestre ebbi la maestosa visione del San Lorenzo che scorreva
lentissimo una cinquantina di metri più sotto, largo quasi quanto
un fiordo (tanto che lo chiamano Fiume San Lorenzo proprio per
fugare dubbi), lungo abbastanza da perdersi all'orizzonte, dove una
nave da carico lo risaliva lentamente tagliando il riflesso della
luna.
Mi augurai che la mia camera avesse una finestra sul San Lorenzo
e mi diressi all'ascensore. Giunsi al 17° piano, cercai la camera e
vidi con gioia che la 1734 si trovava proprio sul lato verso il
fiume. Entrai in camera e vidi il garçon che mi aspettava ancora
con le valige per ricevere la mancia. Gli diedi cinque dollari
canadesi e lo feci uscire. Mi portai alla finestra per godere
l'incredibile vista. Rimasi così finché non suonò il telefono.
«Sono io. Come va? Come va? Tutto bene? Tutto bene?» - Era
Massari.
«Ciao Giovanni. Bentrovato.»
«Benvenuto nel Grande Nord. Il tuo amico si è sistemato?»
«Si Giovanni. Grazie. Tu ed Eva state bene? Luca e Andrea?» -
Avrei voluto chiedere anche di Genevieve, ma si sarebbe domandato
perché. Chissà se aveva novità sull'incidente del motoscafo nero
che aveva provato a travolgerci.
«Tutto a posto, grazie. Io e Eva siamo qui nella Hall. Tra
quanto potete essere giù?»
«Dammi 10 minuti.»
«No, scendi subito.»
«Lasciami fare almeno una doccia.»
«La farai dopo.»
«Ostia… D'accordo d'accordo. Il senatore è alla 1732,
chiamalo.»
Arrivai al piano terra e cercai i miei amici. Vidi Eva e corsi ad
abbracciarla con calore, accorgendomi che mi era mancata. Poi
abbracciai anche Giovanni, baciai i bambini e diedi la mano a
Geneviève. Eravamo davvero felici di incontrarci e io avevo subito
dimenticato la stanchezza.
«Allora Eva!» - chiesi alla fine dei convenevoli.
«Mavco!» - rispose con la sua erre francese che a Miami
non le avevo notato. - «E il tuo amico Bivav?»
«Sta benone, gvazie.» - risposi alla francese anch'io.
«Dai, non prendermi in giro!»
La sue erre era già scomparsa.
«Gli ho spiegato che il suo cognome in inglese significa più o
meno castoro e lui ha risposto che quando vorrà comperare una
pelliccia a sua moglie, se lo ricorderà.»
In verità, a Québec City avrei dovuto incontrare il Console di
Haiti e il Console Italiano proprio per conto di Bivar, ma non
volli parlarne perché si sarebbero quantomeno offerti di
accompagnarmi ai due Consolati.
Il senatore scese dopo qualche minuto e, fatte le presentazioni
con la dovuta cerimonia, uscimmo per salire sulla macchina di
Giovanni guidata da Mario Salmonella, che evidentemente stava
sempre più vicino alla famiglia Massari. Ci portò in un ristorante
che si trova a non più di 200 metri dall'albergo. Era di un
italiano e si chiamava El Parmesan, il Parmigiano. Mi spiegarono la
storia del ristorante, ma tuttora non so di aver capito se il
ristorante l'avesse aperto l'attuale proprietario, indubbiamente
padano, oppure se l'avesse vinto a poker da un suo cameriere, come
lo stesso presunto ex proprietario ci aveva giurato.
A cena c'erano ad attenderci altri italiani, probabilmente
quelli che erano con Giovanni dal notaio quando noi eravamo
arrivati. Fu una serata davvero piacevole. Ci portarono un
antipasto di salmone affumicato del Canada con olio mediterraneo,
cipolle e capperi salati, seguito da una zuppa di pesce che
riservava a ogni commensale mezzo astice (l'aragosta del Maine,
come la chiamano loro).
«Che ne pensi di questa zuppa?» - chiese Giovanni, strizzandomi
l'occhiolino.
«La zuppa del Parmesan? Per gustarla, usa le man.» - Infilai le
dita nel minestrone ed estrassi l'aragosta dal piatto per dare il
buon esempio.
Poi ci portò il risotto alla parmigiana, specialità della casa.
Di fronte al risotto, tutti si ribellarono per la troppa abbondanza
di portate, ma nessuno lasciò il piatto a metà.
Verso la fine, Giovanni disse che era meglio andare in albergo
perché sicuramente eravamo stanchi. L'indomani io e lui avremmo
dovuto lavorare insieme tutto il giorno, se davvero volevamo andare
a caccia il giorno successivo.
«Chi viene a caccia con noi?» - domandai indicando i
presenti.
«Luciano Pedrini e Giuseppe, - rispose indicando quest'ultimo. -
E' uno dei camerieri del Parmesan di origine russa. Ci farà da
guida.»
«Un Giuseppe di origine russa?»
«Si chiama Jusif, - tagliò corto Giovanni. - Ma noi lo chiamiamo
Giuseppe. Passeremo due notti in un cottage nella foresta al
confine tra Canada e lo stato americano del Maine, dopodiché
torneremo a Québec City. Poi, compatibilmente con gli impegni,
andremo col mio aereo duemila miglia più a Nord, dove ci attendono
i Caribù.»
Prima di alzarsi da tavola, Eva mi parlò confidenzialmente sotto
voce. - «Ti abbiamo sistemato in albergo per ragioni di facciata,
di lavoro. Quando tornate dal Maine, ti ospitiamo a casa
nostra.»
«Ma no, Eva. Così sto benone. E' un albergo che ha più storia
del Canada intero...»
«Casa nostra è migliore. Credimi.»
«Scusami. Lo so Eva, e ti ringrazio del pensiero. Mi sei
mancata, sai? Credo proprio di volerti bene.»
«Anche noi te ne vogliamo.»
«Volevo sapere se tu mi vuoi bene.» - Ormai tutti stavamo
alzandoci.
Socchiuse gli occhi con affetto. - «Ti voglio bene, Marco.»
Giunto in albergo, tuttavia, mi ricordai di Julienne, Giulia per
gli amici. Appena lasciati soli, diedi la buonanotte al senatore e
uscii; presi un taxi e mi feci portare al bistro «Jules e Jim», in
Rue Cartier.
Entrai, ma non vidi Giulia. Forse era già a letto. Chiesi del
titolare e mi si presentò Alain Lalancette, proprietario del locale
e padre di Giulia.
«E' amico di Massari?» - mi chiese.
«Sì, - risposi. - I suoi amici vengono sempre qui?»
«Non vengono mai, grazie a Dio. E' stata mia figlia ad avvisarmi
che lei sarebbe potuto venire qui verso le 23.»
«E' esatto, ma non la vedo.»
«Forse non era sicura che venisse. E' di sopra, in casa. Gliela
chiamo subito.»
«Grazie.»
Tornò e mi chiese se volevo bere qualcosa. - «Qualsiasi cosa, -
precisò. - Questo è il miglior coktail bar di Québec.»
«Mi basta un Drambuie. - Risposi malizioso, ritenendo difficile
chge ce l'avesse. - Con un cubetto di ghiaccio.»
Ne versò due e mi portò a sedere con lui ad un tavolino
libero.
«E' la prima volta che viene a Québec Cityt?»
«Sì, infatti. Com'è la vita qui?»
«Non è male, anche se ci sono alcune incongruenze.»
«Ah, e quali?»
«Siamo un paese che esporta la maggior quantità di energia
elettrica al mondo, ma benzina ed energia elettrica costano di più
che in USA. Siamo l'unico paese del Canada che non ha le Giubbe
Rosse, eppure siamo fedeli a Sua Maestà Britannica. Vogliamo
periodicamente separarci dal resto del Canada, ma al momento del
voto ci ripensiamo radicalmente. Si scopa bene perché abbiamo il
più alto numero al mondo di donne per ogni uomo, e siamo infelici
perché le nostre figlie non trovano marito...»
Risi. - «Sta pensando a sua figlia?»
«Per esempio.» - disse con noncuranza. - «Pensi che ha
ventisette anni; è ricca, questo palazzo è nostro e il bar è il più
famoso di Québec City. Lei è bella, l'ha vista anche lei...»
«L'ho vista. - La descrissi per fargli i complimenti. - Occhi
azzurri, capelli lisci, coscia lunga, curve proporzionate,
elegante, di classe, dolce, preparata, cultura superiore...»
«La cultura qui non interessa a nessuno.» - interruppe.
«Non sottovaluti la dote culturale in una donna.»
«Senta, le dico che a Québec ci sono sedici donne per ogni uomo.
Rendo l'idea? I maschi, anche i più scalcagnati, possono scegliere
tra le migliori.»
«Ma no! Non credo assolutamente che sua figlia abbia
problemi...»
«Lo so che non ha difficoltà ad avere un uomo. Ha problemi a
trovare quello giusto. Non dico quello bello, ricco e intelligente,
ma almeno uno che non sia uno stronzo...» - Stronzo lo aveva detto
in italiano.
Arrivò la figlia, che con ogni probabilità si era appena fatta
una doccia e cambiata l'abito. Mi alzai a prenderle la mano e non
riuscii evitare di baciargliela. Lei non la ritrassse.
«Giulia, sei bellissima.»
«Grazie dottor Barbini.»
«Marco. Il mio cognome devi dimenticarlo, Giulia. Io sono
Marco.»
Suo padre si alzò per lasciarci soli.
Parlammo un po' di tutto per un'ora. La cosa che più ricordo di
quella serata, fu la descrizione della situazione etnica del
Québec.
«E' l'unico stato Nordamerican» - aveva detto -«dove ogni
emigrato conserva la propria estrazione nazionale senza vergognarsi
e, sopratutto, senza cercare di passare per anglosassone da almeno
due generazioni. Qui si trovano colonie di francesi, italiani,
spagnoli, portoghesi, persino inglesi ed altre ancora, proprio
perché il Québec è cosmopolita e tollerante.»
Bella e colta, pensai. Affascinante e di classe. Erotica e
professionale.
Ci guardammo negli occhi senza che nessuno dei due accennasse ad
abbassarli.
«Allora è meglio che io vada in albergo. Mi puoi chiamare un
taxi per favore?»
Mi alzai e lei, abituata ad assecondare gli uomini, mi seguì.
Andai a pagare da suo padre, ma mi disse che ero ospite di sua
figlia. Protestai dicendo che non sarei tornato più e sollecitai il
taxi per protesta.
«E' arrivato. - Indicò laporta. - E' fuori che t'aspetta.»
Mi aveva dato del tu.
Lo salutai con gratitudine, mi coprii per bene e me ne uscii
all'aperto. Cercai Giulia e non la vidi. Faceva freddo e salii in
macchina dietro, aspettandola. Poi vidi l'autista.
«Giulia! - gridai. - Hai rubato un taxi?»
«Siediti, Marco, sei stanco. E' un'auto normale e ti porto a
casa io.»
Accettai perché ero troppo stanco per protestare ancora. Mi
portai sul sedile davanti facendo numeri da circo, tanto che lei
scoppiò a ridere.
«Beh, quantomeno non ti ho messo in imbarazzo.» - Mi fece notare
allegramente.
«Già.» - risposi, imbarazzato per aver fatto la figura di chi ha
bevuto troppo.
Arrivati al Frontenac, fece posteggiare l'auto, scese anche lei
e mi prese sotto braccio.
«Grazie, Giulia. Ma ce la faccio da solo.»
«Lo so.» - rispose. Però mi accompagnò lo stesso al 17° piano.
Entrò in camera e andò a guardare dalla finestra il fiume San
Lorenzo.
«Ogni volta che lo guardo, - disse, - mi rendo conto che la
grandezza di questo Paese ha un fascino irresistibile. Ho scelto io
le stanze. Guarda.»
Mi portai al suo fianco.
«Hai ragione. - ammisi. - Qui è tutto maestoso.»
Le misi una mano alla vita e non me la tolse. L'attirai a me. Si
girò a guardarmi sfiorandomi il viso. Mi mise una mano dietro il
collo e la baciai con la dolcezza che il momento mi consentiva. La
portai sul letto, mi sedetti e le misi una mano sotto la gonna. Da
sempre, quando una donna si lascia accarezzare così, mi eccito da
morire. Lei lo capì; si slacciò un bottoncino della camicia e
avvicinò il viso al petto. Sentii il suo profumo e mi resi conto
che io invece non mi ero fatto una doccia da quando ero partito da
casa.
«Scusami un attimo - dissi. - Torno subito.»
Le accarezzai il viso e scivolai in bagno. Pochi minuti dopo ero
di nuovo in camera, indossando il solo accappatoio.
Ma lei non c'era più.
(Continua)
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