Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 2°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 2.
A colazione mi sedetti a tavola senza imbarazzo. Ero vestito
bene, mi sentivo fresco sia fisicamente che intimamente. La moglie
di Jacques era la tata di casa, un'oversize XXXL. Mi aveva chiesto
subito se volevo mangiare o attendere i padroni di casa. Ovviamente
avevo voluto attendere, oltretutto che era virtualmente disponibile
il Corriere della Sera fresco di giornata, stampato da Eva che
l'aveva preso da Internet. Il suo attivismo domestico era davvero
sorprendente; era la prima volta che vedevo una donna così bella
gestire la casa con tanta attenzione e managerialità. Forse perché
questo suo impegno poteva essere il solo ruolo che il marito le
consentiva di giocare nel proprio business finanziario? Chapeau!
comunque.
«Buongiorno Marco. Ben alzato. - ironizzò Eva. - Massari arriva
subito. I ragazzi mangiano in camera. E' servito, quindi sediamoci
a tavola. Abbiamo qualsiasi cosa, ma spero che tu sappia
scegliere.»
Mi sedetti cercando di capire dove si sarebbe seduto Giovanni. -
«Io vorrei caffelatte forte, una brioche e della frutta.»
«Niente uova e bacon. Italiano, eh?»
«Di solito in America gradisco il bacon a colazione, ma ieri
sera abbiamo cenato abbondantemente.»
«Yogurt?»
«Perché no? Grazie.»
La tata mi aveva versato una spremuta di pompelmo senza
chiedermelo, ma era tanto invitante che ne diedi subito un lungo
sorso.
Entrò Giovanni.
«Eccolo qua! Buon giorno buon giorno. Come va, tutto bene?» -
Era la sua cantilena benaugurale.
«Sì grazie.»
La tata portò a Giovanni e a Eva quello che prendono di solito,
senza attendere le loro richieste. Poco dopo entrò anche Jacques
per ricevere istruzioni.
«Va' a prenderli alle nove. - gli disse Giovanni. - Li
accogliamo qua.»
La sera prima, Jacques era andato a prendere gli ospiti
all'aeroporto di Opa Loca, il piccolo aeroporto di Miami usato
dagli aerei privati, e li aveva condotti al mio stesso Hilton. Così
aveva ritirato i bagagli miei e di Bivar, tantovero che mi ero già
vestito con il mio ricambio migliore.
«Hai mangiato?» - domandò Giovanni a Jacques.
«Sì, capo. Grazie.»
«Allora va'. Ma non arrivare prima delle nove e dieci. - Poi si
rivolse a me con una certa complicità. - Devono sapere che non sono
in cima alle nostre aspettative. Sono arrivati ieri sera, via New
York dove avevo mandato il mio aereo a prenderli. Jacques li ha
portati direttamente in Hotel a smaltire il fuso orario. Non mi
sono fatto vivo apposta per lasciarli decantare.»
«Chi sono?» - chiesi.
«Dei soci d'affari italiani e un mio venditore. Se vuoi vedere
come si svolgono le cose, rimani. Ma se vuoi un consiglio, sappi
che non parlerò concretamente d'affari prima di pranzo. E' una
questione di convenienza psicologica. Fingerò di aver tirato per le
lunghe la mattinata e chiederò loro se vorranno mangiare
qualcosa...»
«E' il mio mestiere organizzare sceneggiate, - gli risposi, -
fingere casualità con sincronismo matematico, ma perché mi dici
queste cose?»
«Perché il tuo lavoro e il mio potrebbero proprio sposarsi.»
«Però non ti ho ancora dato una risposta.» - gli dissi poco
convinto.
«Me la darai certamente alla fine della giornata. Almeno
spero.»
«Ma se non mi conosci neanche un po'.»
«Mia moglie mi ha detto di stamattina. Della Jacuzzi, voglio
dire. In conclusione, Eva mi ha detto che di te ci si può fidare.
Conosco pochi uomini in affari con me che si sarebbero comportati
come te. Cioè che non avrebbero provato a farci un dispetto.
Professionalità e lealtà. Sono un'abbinata che sono disposto a
comperare. A occhi chiusi.»
Eva aveva parlato con la tata quanto bastava per organizzare il
pranzo che, con una certa istrioneria, avrebbero finto di
organizzare in quattro e quattr'otto, dopo l'una. Poi era venuta da
me a chiedermi se preferivo accompagnarla in macchina o in barca.
Evidentemente non aveva messo in dubbio che comunque l'avrei
assecondata.
«Fammi vedere la carta nautica della laguna e dimmi dove devo
portati. Mi piace pilotare una barca.»
«Qui. - disse, indicandomi sulla mappa della città (e non sulla
carta nautica) l'attracco di Bayside, oltre la Causeway Mac Arthur.
- E' il molo dello shopping center e della Downtown. Ma so pilotare
anch'io, se occorrre.»
«Non avevo dubbi. Andiamo.»
Aveva una camicia bianca con losanghe d'oro da ufficiale di
marina e pantaloni blu navy, elasticizzati aderenti. Si mise un
foulard di Hermès e un paio di grandi occhiali sportivi. Io avevo,
al contrario, camicia blu e pantaloni bianchi. Li avrei sporcati di
sicuro. Jacques mi portò un berretto da capitano e un paio di
occhiali a specchio. Mi spiegò il funzionamento di base della barca
piccola, un entrofuoribordo da 220 CV mercruiser a benzina, fece
salire noi due davanti e Gène, con i bambini, dietro.
«Buongiorno ragazzi.»
«Buongiorno, goodmorning, bonjour.» - risposero, nelle tre
lingue. Geneviève fece un cenno col viso.
«Dopo mi fai pilotare?» - mi chiese il più grande.
«Al ritorno.» - promisi.
Infine Jacques mi avvisò che la polizia pattugliava le acque,
consigliandomi di conseguenza a non superare i 15 nodi. Ci aiutò a
salpare, poi si allontanò per andare a prendere gli ospiti. Io non
avevo problemi con la barca. So girare per la laguna di Venezia da
anni, leggendo le carte, osservando scrupolosamente la segnaletica
nautica e sfruttando il senso d'orientamento che ogni marinaio deve
possedere. Mi diressi al grande ponte della Mac Arthur con
sicurezza e senza sollevare spruzzi che entrassero in barca. Lei
non si aspettava niente di meno da me. Guidavo seduto alto, sullo
schienale, tenendo la testa sopra il parabrezza. Poiché non c'era
troppa aria, si alzò anche lei. Gli ornamenti d'oro della camicia
la facevano molto importante e ne esaltavano la bellezza.
«C'era bisogno di dirlo a tuo marito?» - le chiesi dopo essermi
avvicinato all'orecchio.
«Certamente. O avrebbe dovuto scoprirlo da solo? - Fece uno dei
suoi affascinanti sorrisi. - Pensa se lui ci avesse visti e io non
gli avessi detto nulla. E poi, io e lui non abbiamo segreti. Almeno
da parte mia.»
«E come l'ha presa?»
«L'hai visto anche tu.»
«Già. Sembrava addirittura compiaciuto.»
Dopo una pausa ponderata, si girò nuovamente verso di me con un
sorriso malizioso.
«Devi conoscere un nostro piccolo segreto, del quale lui mi ha
autorizzato a renderti partecipe.»
Non risposi, in attesa che andasse avanti.
«Lui ama espormi nuda in pubblico.»
D'istinto mi ritrovai un po' deluso. Mi girai a guardarla. Stava
aspettando la mia prima reazione. Poi riprese a parlare sicura di
sé.
«Non lo sa nessuno, ma è uno dei suoi sogni erotici più
ricorrenti della nostra intimità, da sempre. Nel suo sesso ludico
accade questo: lui mi espone al mercato degli schiavi in un paese
arabo; mi fa spogliare un po' alla volta davanti ai compratori e ne
gestisce l'asta. Quando vengo battuta, però, non mi vende più, e
dobbiamo scappare. Lui vestito e io nuda con caviglie e polsi
incatenati.»
Ora cambiò tono, come per tornare alla realtà.
«Lui si era innamorato di me a prima vista, diciamo, perché ero
bella e intelligente. - Avvertii l'ironia divertita del suo tono. -
Non so quanto gli importasse della mia intelligenza, ma in realtà
mi desiderò subito per due motivi che mi confessò tempo dopo. Ero
una delle donne di classe che più frequentemente apparivano nude in
pubblico o sulle riviste, ma era anche risaputo che io non ci stavo
con nessuno. Quando accettai il suo amore, l'idea di essere l'unico
a possedermi e tutti gli altri a desiderarmi e basta, lo rendeva
l'uomo più felice del mondo.»
«Ora non più?» - le domandai, dato che parlava nel passato.
«Beh, è da quando ho avuto il primo bambino che ho smesso di
lavorare.»
«Hai un fisico di una ragazzina, come se non avessi mai avuto
bambini...»
«Sì, grazie. Lo so. - ammise con soddisfatta civetteria. - Ma
non volevamo che i bambini vedessero la loro mamma sui giornali
nuda.»
«E perché non fai più la top-model?»
«Per lo stesso motivo. Eppoi non ne ho bisogno e non voglio
lasciare la famiglia.»
«Hai ragione. E ha ragione anche Giovanni. Sei una donna da
amare.»
Passammo sotto il grande ponte della Causeway senza superare i 4
nodi indicati dal cartello posto prima del passaggio. Al di là
della campata, una barca della polizia di Miami stava sorvegliando
con apparente sonnolenza il traffico delle barche, peraltro
piuttosto limitato.
«E quando gliel'ho detto, stamattina... - Fingeva di voler
evitare il mio sguardo, - Si era eccitato come i vecchi tempi.»
Non dissi nulla.
«Ecco laggiù la bocca del porticciolo di Bayside. Prendila
larga, - suggerì. - Escono tutti come razzi.»
Un marinaio ci gettò una cima e si prese l'onere di ormeggiare
la barca, contro 5 dollari di mancia, ovviamente.
Mentre uscivo per ultimo dalla barca, mi disse sottovoce un'ultima
frase per chiudere l'argomento dell'attraversata, con una giusta
dose di malizia.
«Ti ringrazio a nome suo. - Poi, come accertandosi che nessuno
ci sentisse, - E, ovviamente, anche a nome mio.»
Punto.
Appena sbarcati, mi venne in mente che dovevo informarmi sulla
salute del mio cliente.
«Fermiamoci ad una cabina telefonica.» - le chiesi, spiegandole
cosa dovevo fare.
«Faccio io.» - mi rispose. Prese il portatile, richiamò dalla
memoria il numero de Mount Sinai Hospital. Lo chiamò e chiese del
signor Bivar. Apprezzai che fosse lei a parlare, il suo inglese era
molto migliore del mio.
«A te non direbbero nulla per motivi di privacy. - mi bisbigliò.
- Mi sono presentata come la signora Bivar.»
«Bivar o beavar? Ha ha!»
Ricevuta la comunicazione, diede un taglio con durezza alla
reazione dell'infermiere sul cognome e passò subito all'argomento.
Riuscii a capire quanto bastava per sapere che il signore aveva
passato una notte tranquilla e che tra un po' gli avrebbero fatto
un clistère per pulirgli le viscere.
«Un clistère...? - obiettai con una smorfia. - Ma se ha...»
«Gliel'ho suggerito io. E l'infermiera che glielo farà ha
assicurato che nel pomeriggio Bivar sarebbe stato meglio. Volevi
saperne di piu?»
Andammo a fare la spesa.
Un'ora dopo salimmo a bordo per il ritorno. I ragazzi erano
stati con la bambinaia e avevano comperato le loro cose. Eva aveva
fatto la spesa ed io gliel'avevo portata. Ma mi aveva anche fatto
comperare un regalo per mia moglie, sapendo che le avrebbe fatto
piacere avere un marito che la pensa quando è in viaggio. Non c'era
bisogno di ricordarmelo, ma lo apprezzai lo stesso.
Appena fuori dalla bocca del porto, Eva mi suggerì di prendere la
via d'acqua sulla dritta, passando dietro Dodge Island e Lummus
Island, cioè a Sud del Canale delle Navi di Miami. Voleva portarmi
a vedere la Star Island, l'Isola delle Stelle dove, con un po' di
fortuna, avrei potuto vedere Madonna, Stallone o altri ancora.
Obiettai che potevamo prendere il canale delle navi, ma mi rispose
che aveva visto attraccata la Sea Princess, una delle più grandi
navi da crociera al mondo.
«Fabbricata a Monfalcone per una compagnia Americana. - precisò
per farmi inorgoglire. - Vedi il fumo dei comignoli? Potremmo
incontrare problemi, se è di partenza.»
Prendendo la via dall'esterno, meno frequentato, il viaggio
sarebbe stato più sicuro e saremmo rientrati dal canale della
Fisher Island, altro bel posto da vedere con la barca.
Vedendo che non c'erano né traffico né onde, diedi gas. Poi ci
ripensai, rallentai e chiamai il piccolo Andrea.
«Vuoi pilotare? - gli gridai. - Questo è il momento
migliore.»
Si portò avanti felice con un balzo, dimenticando i giochini che
aveva appena acquistato. Si mise in piedi sul sedile ed iniziò a
virare a dritta e a manca girando il volante con fatica. Eva si era
rilassata a godersi il sole. Erano le 11 scarse.
Dopo una decina di minuti, vidi in lontananza un grosso
motoscafo nero che si dirigeva verso di noi.
«Aspetta, Andrea. - dissi al piccolo. - Dammi i comandi finché
non l'abbiamo incrociato.»
Mi lasciò fare inginocchiandosi raggomitolato sul sedile,
guardando da sopra il cruscotto. Il motoscafo aveva però una
velocità troppo elevata e decisi, per sicurezza, di allontanarmi
sulla destra, verso Key Biscayne. Quello però aggiustò la rotta per
dirigere nuovamente verso di noi. Accelerai per evitare una rotta
di collisione, ma lui virò ancora per tagliarmi la strada. Non
capivo cosa diavolo volesse fare.
«Li conoscete?» - Urlai a Eva che si era alzata a guardare.
«No proprio. Che cavolo...»
«Geneviève!» - urlai. La ragazza capì al volo e si prese Andrea
con un braccio portandoselo dietro. Ora li teneva entrambi stretti
a sè.
«Siediti, Eva. E tienti. Credo che dovremo fare manovre brusche.
Questi coglioni...»
«Ci vengono addosso! - continuò Eva. - Vira, vira!»
Non c'era bisogno di dirmelo. Diedi gas al massimo facendo
impennare il motoscafo, senza acquistare velocità immediata. Virai
a babordo per sfruttare l'impennata e mi diressi di forza verso il
motoscafo che stava per investirci. Ora stavamo per incrociarci e
sarebbe stato difficile per loro travolgerci senza rischiare a loro
volta l'affondamento. E infatti, all'ultimo momento dovettero
evitarci per un soffio.
Ero soddisfatto dall'idea di averli spaventati, ma non avevo
avuto tempo di vedere chi pilotava. Ora stavo proseguendo verso
Fisher Island sperando solo di arrivare nel tratto di canale più
frequentato prima che gli altri riuscissero a portarsi di nuovo su
di noi.
Dopo un'ampia curva di ripresa, il motoscafo era di nuovo sulla
nostra rotta, di poppa. Così sarebbe stato più facile per loro, se
davvero volevano travolgerci. Guardando dietro, vidi che Gène aveva
estratto i giubbini di salvataggio dal gavone di poppa e cercava di
infilarli al più piccolo.
«Prima tu, prima tu!» - urlai in francese.
Mi indicò i bambini.
«No, porca puttana! Prima tu, ho detto! I bambini si salvano
solo se si salvano i grandi! Eva. Mettilo anche tu, forza.
Svegliatevi, cazzo!»
Il motoscafo stava guadagnando terreno rapidamente e io cercavo
di fare zig-zag per creargli una turbolenza contraria, senza però
avere risultati apprezzabili. Stavo per raggiungere il canale di
Fisher Island e i miei passeggeri avevano ormai tutti i giubbini
salvagente; ma il motoscafo stava portandosi sulla nostra destra,
tra noi e l'isola. Ora stava per dirigersi sulla nostra barca e
vidi che Gène aveva messo i bambini sdraiati per terra e li teneva
giù con i piedi scalzi. Stringeva in mano un'automatica di piccolo
calibro. La puntò sul motoscafo nero tenendola con due mani,
cercando di essere precisa al momento opportuno, adeguandosi ai
salti che le due barche facevano.
Mi girai avanti per vedere dove stavamo andando, accorgendomi
giusto in tempo che entrambi stavamo dirigendoci a tutta forza
verso il ferry-boat che collega Miami Beach a Fisher Islands.
Questo suonò la tromba navale con tutta la potenza che aveva,
mentre i nostri due motoscafi lo incrociarono a distanza
ravvicinata, uno sulla dritta e uno sulla sinistra. Ricordo che
riuscii assurdamente a notare che il traghetto trasportava anche
una Bentley. I passeggeri ci guardarono allegri, mentre io cercavo
solo di tenere a galla la barca.
Passato il traghetto che veniva in qua, vidi quello gemello che
ci precedeva in direzione opposta. Allora cercai il motoscafo
aggressore per decidere da che parte scappare, ma mi accorsi che
aveva preso la rotta per il mare aperto. Rallentai un po' alla
volta cercando di riportare la calma a bordo. Passai il secondo
traghetto portandomi sulla destra, dirigendomi al ponte più
orientale della Causeway MacArthur. Passata la grande arcata, mi
sentivo miracolosamente a casa. Geneviève aveva messo via l'arma,
Eva si era messa a sedere e si era tolta il giubbino. All'altezza
della Star Island andavamo ormai a velocità normale. Eva si alzò in
piedi e si mise al mio fianco.
«Ecco. - disse tranquillamente. - Lì abitano le Stars, le Stelle
del cinema. Quella è la casa di Stallone... Guardalo, c'è! Sei
fortunato. E' lì, mentre gli stanno facendo un massaggio in
giardino.» - Mi prese sotto braccio per sdrammatizzare. - E'
contento il turista Barbini?»
«Avrei preferito vedere Madonna. - risposi rilassandomi anch'io.
- Mentre le facevo io un massaggio.»
«Io preferisco Stallone.»
«Io preferisco Madonna.»
«Madonna è meglio di me?»
«No. Preferirei fare un massaggio a te, ma con te non ho
speranze.»
«E chi l'ha detto? Ha ha!»
Puntai verso casa a velocità moderata.
«Non diciamo niente.» - Eva mi strinse il polso per assicurarsi
la mia collaborazione mentre stavamo facendo prua su villa
Massari.
«Dillo a Geneviève. E ai bambini.»
Si girò e parlò in francese.
«Ragazzi per favore, toglietevi i giubbini. Asciugati gli
occhiali Gène. Rimettetevi a posto e fate finta di nulla. E' tutto
OK, OK?»
«Andrea, - dissi al più grande. - Vuoi fare le manovre di
attracco?»
Il bambino balzò avanti e prese in mano il timone.
«Prendi in mano il gas. - gli guidai la mano sul pomolo. -
Quando ti dico di frenare, tira indietro la leva, così innesti la
retromarcia. Ricevuto?»
«Ricevuto, capitano.»
«Tutta la barra a sinistra.» - Girò il timone a sinistra.
«Leva del gas in piedi.» - Mise la leva verticale.
«Tutta la barra a destra.» - Girò senza fatica il timone a
destra.
«Frena. Tira indietro la leva.» - Lo fece.
«Bravo. Ora molla.» - Si fece da parte e mi lasciò attraccare,
una virata a sinistra e una controvirata a destra con retromarcia.
Eva saltò a terra per prima con una cima in mano e si predispose
per far scendere tutti, che ormai avevano fatto scomparire i
salvagenti nel gavone di poppa. Ci erano venuti incontro un po'
tutti per omaggiare la famiglia di Massari, e fu più difficile
organizzare loro che i miei passeggeri. Appena a terra, tuttavia,
Gène portò i bambini al piano di sopra di corsa, con i regali in
mano.
A me e Eva, l'onere di subire gli abbracci di tutti.
La tata era rimasta rispettosamente in disparte, ma aveva capito
che era successo qualcosa. Jacques si era occupato della barca.
Giovanni ci venne incontro.
«Eccoli arrivati. Come va, come va?»
«Tutto a posto. - disse Eva ironicamente. - Se solo Marco
corresse un po' meno...»
Stava fornendo una giustificazione al fatto che eravamo
scapigliati. Ma non c'era vento e la laguna era calma. Anche
Giovanni aveva capito che qualcosa aveva turbato il viaggio, ma mi
infastidì lo stesso l'idea che si potesse pensare che vi fosse in
qualche modo una mia responsabilità di comandante.
«Giuro che mi sono divertito.» - Dissi ugualmente, sbattendomi
i pantaloni con le mani.
Tutto andò come previsto tanto che alle tredici Eva uscì in
giardino e, come da copione, dai bordi della piscina disse: «Beh,
non vi pare che sia ora di mangiare qualcosa, ragazzi?»
Fu il primo sorriso del gruppo che riuscii ad annotare.
Alle quindici sapevo tutto di loro. I suoi soci d'affari mi
erano stati presentati come solidi palazzinari veneti. Avevo capito
che il nome di uno di loro faceva Antonio Longoni, e poiché veniva
da Padova lo chiamavano Sant'Antonio da Padova. Un altro si
chiamava Cesare Agnolin, 'angelino' detto in veneto anche se
sembrava un satanasso, il terzo si chiamava Giancarlo Negroni, il
cognome di un coktail o di una pluralità di grossi africani. In
realtà erano dei personaggi diffidenti e taciturni, piuttosto
strani per essere veneti. Se non fossero stati in business con
Massari, avrei giurato che di professione facevano il
cravattari.
Il suo venditore si chiamava Luciano Pedrini ed era un uomo
giovane e gioviale sui 140 Kg. Anche se diceva di conoscere il
francese, praticamente non parlava nessuna delle lingue
indispensabili in America, a parte il veneto. La sua professione
ufficiale era quella del promotore finanziario, cioè il classico
professionista che vende carta firmata da varie personalità
consolidate nella finanza internazionale in cambio di carta firmata
solo dal Governatore della Banca d'Italia. Per Massari vendeva
rendite finanziarie di natura immobiliare.
Era venuto con loro anche il pilota di Massari, certo Mario
Salmonella. Cittadino italiano residente a Roma, parlava inglese
fluente e assomigliava per certi tratti all'attore Johnny Deep. Un
bell'uomo che stonava un po' in quel quadro d'insieme. Se solo ne
avessi avuto occasione gli avrei chiesto che aereo avesse il
Massari.
I tre imprenditori avevano anche cave di marmo a Verona. Ricchi
da fare schifo, venivano chiamati da Luciano (senza offesa, si badi
bene) grezzi, sassaioli e sessaioli. Nell'ordine.
Mi venne spontaneo reggere le parti del padrone di casa, tanto
che due di loro ad un certo punto mi chiesero se ero il segretario
di Massari e il terzo mi diede persino degli ordini che ignorai
bellamente, mentre il venditore cercò istintivamente di rendersi
simpatico.
Alle cinque del pomeriggio, Luciano vide i bambini in piscina in
acqua con la bambinaia e decise di far loro uno scherzo da prete.
Andò in toilette, si mise il costume da bagno e prese la rincorsa
nel salone per saltare di peso nella vasca. Conosceva gli effetti
del disastro naturale che il suo corpo avrebbe provocato con un
tuffo alla pompiera in piscina. Cacciò un lungo urlo alla Tarzan e
volò fuori.
O per lo meno tentò di farlo, perché la vetrata in realtà era
chiusa e lui vi sbatté contro con tutta la forza che aveva. Senza
sfondarla, nonostante i suoi 140 Kg. Una bella pubblicità per i
serramenti degli immobili che Massari vendeva, ma un disastro per
il naso di Luciano Pedrini.
Dieci minuti dopo Jacques, aiutato dal pilota e da altri quattro
omaccioni, lo aveva portato orizzontale al pronto soccorso del
solito Mount Sinai Medical Center per ritirarlo mezzora dopo in
piedi con una notevole quantità di cerotti sul naso che coprivano
tredici punti.
Alle sette di sera Massari aveva già concluso di massima i
contorni dei nuovi affari per i suoi partner e l'avvocato stava
preparando le carte per i contratti da firmare. Luciano Pedrini,
medicato, giocava allegramente con i bambini. Massari si rese conto
che io annotavo puntualmente scena per scena ma, invece che
preoccuparsene, mi inviò sorrisi di complicità che devo ammettere
riuscirono a mitigare il mio amor proprio e farmi involontariamente
sentire suo complice, almeno per una serata.
Alle otto di sera Giovanni Massari decise che si doveva andare a
cena perché l'indomani c'era da andare dall'avvocato sul
presto.
«Fuori il dente, fuori il dolore.» - disse in italiano un po' in
disuso.
E così, mentre il pilota guidava la monovolume per portare
Giancarlo, Antonio, Cesare e il dolorante Luciano al ristorante
Porcao nella Downotown di Miami, Giovanni guidava di persona la
Rolls per portarvi Eva, Geneviève, i due bambini e me. Mario, il
pilota, avrebbe voluto viaggiare con noi per scambiare due parole
con Giovanni, ma doveva guidare la monovolume perché Luciano non
era in grado di connettere e gli altri non conoscevano la strada.
In realtà, il padrone di casa aveva da conferire improrogabilmente
con la sua famiglia e me. Io ed Eva impiegammo tutta la Venetian e
la MacArthur per spiegare con chiarezza di particolari l'incidente
della mattina col motoscafo nero.
Giunti in Downtown, Giovanni non aveva ancora deciso come
comportarsi, fatta salva la volontà di non far parola degli
incidenti con gli invitati. L'indomani avrebbe deciso se far
denuncia o meno dell'accaduto. Probabilmente, però, non avrebbe
fatto nulla. Prima di arrivare al Porcao, si rivolse ancora una
volta a me.
«Marco, devo ringraziarti, ma non trovo le parole.»
«Non preoccuparti. - risposi. - Le ho io. Accetto di lavorare
per te. Non perché tu mi abbia convinto, ma perché mi sono
innamorato della tua famiglia.»
I due bambini mi presero le mani. Geneviève non comprese la
lingua ma si mostrò ugualmente soddisfatta. Eva guardò in avanti
tranquilla. Giovanni comprese di aver trovato un amico e un
socio.
I o non sapevo come valutare l'accaduto.
L'indomani mattina, solo due fatti di un certo rilievo
caratterizzarono la mia giornata, la salute del Bivar e quella di
Luciano.
Bivar era tornato perfettamente a posto, il clistère ordinato da
Eva aveva funzionato a dovere. Lui mi aveva fatto prenotare il
ritorno per quella stessa sera. Lo feci, ma lo informai che sarei
andato a prenderlo solo per andare direttamente all'aeroporto di
Miami. L'altro fatto si era consumato all'alba.
Per Luciano invece il destino era ancora in agguato.
Alle 5 mi ero alzato per andare all'idromassaggio. Avevo
guardato attentamente per assicurarmi che Eva non ci fosse.
Finalmente mi decisi di uscire, ma stavolta con tanto di costume e
asciugamano. Mi diressi alla vasca, accesi il meccanismo e vi
entrai. Poco dopo, come un fantasma arrivò Eva. Mi rimisi in
guardia.
«Ancora tu.» - L'avevamo detto insieme.
«Vedo che hai il costume.» - le feci notare.
«Ce l'hai anche tu.» - precisò.
«Come fai a dirlo, se non si vede nulla?»
«Ti ho guardato dalla finestra. Aspettavo che uscissi. Se non
avessi avuto il costume non sarei venuta.»
Entrò in vasca.
«Mi deludi. - sorrisi. - Dov'è andata la fiducia? E poi,
deluderai anche Giovanni, no?»
«Non c'entra la fiducia e lo dimostri anche tu che il costume lo
hai indossato. Abbiamo entrambi la testa sulle spalle. Mai forzare
la fortuna. Quanto a Giovanni, gli lascerò credere che eravamo
nudi.»
Parlammo della serata precedente. Io e i Massari eravamo andati
a letto presto. Di solito si alzano alle 5 perché Giovanni deve
comunicare con l'Italia prima che lì finisca la mattinata. Il
pilota era andato a casa sua, un appartamentino che dava
sull'Indian Creek, messogli a disposizione da Massari. Luciano
aveva accompagnato Antonio in albergo e gli altri due al Mango, un
locale alla moda sulla Ocean Drive. L'accompagnatore non si era
divertito per niente, col nasone impedito. Ma i due pellegrini
avevano bisogno di bere, fumare e, possibilmente, fare sesso.
«Sono sempre così?» - avevo chiesto a Eva che mi aveva informato
sui loro movimenti.
«Sono sempre così. Perché, i tuoi clienti no?»
«Io li chiamo clienti, non soci daffari… Comunque hai ragione,
scusa. E' per questo che non mi piace accompagnarli in America. Si
sentono autorizzati a fare di tutto.»
«Lo immagino. Per questo avevo pensato che un buon clistère
avrebbe fatto bene al tuo Bivar. Quello che non potevo immaginare è
che gli avrebbe fatto bene davvero!»
«Sono così anche quelli che vengono in Québec?»
«Peggio. Li vedrai. E più sono ricchi e più si sentono
autorizzati a fare di tutto.»
«Il pilota?»
«Bello vero?»
«Solo bello?»
«Non ti pare abbastanza? E' un uomo…»
Uscimmo dalla Jacuzzi per andare alla piscina a fare anche
quella mattina una ventina di vasche. Non ci eravamo accorti che
Luciano Pedrini era già arrivato in casa e ci stava guardando
dall'interno della villa mentre la tata preparava la colazione.
Guardandoci così regolari nel nuoto mattutino, non aveva
resistito alla tentazione di traumatizzarci con un tuffo a bomba in
mezzo a noi, dove l'acqua tremolante lo invitava subdolamente. Si
sfracellò contro la vetrata antiuragano del salone della villa,
tuttora chiusa.
Quella sera, Mr. Barbini & Bivar partivano effettivamente
per l'Italia. Per stare un attimo da solo prima della partenza, mi
fermai da un lustrascarpe e mi feci fare un servizio super, insomma
il più lungo possibile. Grazie alla business class, le nostre due
poltrone erano materialmente separate. Bivar, tuttavia, volle che
gli tenessi la mano per tutta la durata del decollo.
Quando prese sonno, mi rilassai nuovamente anch'io. Nel mio
immaginario intimo personale avevo ora una nuova bellissima
famiglia con un marito di 41 anni, una moglie di 34, due figli 6 e
di 8, una bambinaia-rambo poco più che ventenne della quale non
avevo ancora visto gli occhi, una governante ed un autista
jamaicani.
Nel mio sogno, solo Massari non era presente in prima persona.
Ma sentivo che nei prossimi mesi la sua personalità avrebbe giocato
un ruolo molto importante nella mia vita.
(Continua)
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