Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 1°
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Guido de Mozzi
«Operazione Folichon»
Primavera - Estate 2010
PERSONAGGI |
Dott. Marco Barbini |
Imprenditore italiano |
On. Vittorio Giuliani |
Senatore della Repubblica Italiana |
Arch. Giovanni Massari |
Imprenditore italo americano |
Eva de Vaillancourt Massari |
Moglie di Massari |
Geneviève Feneuillette |
Baby-sitter di casa Massari |
Antonio Longoni |
Soci d'affari di Massari |
Julienne (Giulia) Lalancette |
Assistente di Massari |
Rag. Luciano Pedrini (610) |
Promotore finanziario di Massari |
Giuseppe Kezich |
Maestro di caccia |
Amélie Varenne |
Estetista di Eva Massari |
Ing. Giorgio Scolari |
Titolare del calzificio Technolycra Spa |
Col. Antonio Marpe |
Dirigente del Gico |
Gen. Massimo Frizzi |
Alto funzionario della DIA |
Massimiliano Corradini |
Finanziere sotto copertura del Sisde |
Ammiraglio Nicola Marini |
Direttore del Sismi |
Nomi, fatti e personaggi di
questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore. |
Capitolo 1.
Miami, settembre 2001.
Mi trovavo sulla Alton, direzione Sud, a Miami Beach. Guidavo
una lussuosa Cadillac anni '70 con la capote abbassata, ascoltando
dall'autoradio originale dell'epoca Perry Como che cantava Catch a
falling star. Ero rilassato come se stessi guardando la televisione
seduto in poltrona. Nell'attuale linguaggio dei giovani italiani si
avrebbe potuto dire che stavo cazzeggiando avanti e indietro, anche
se in realtà era il paesaggio a scorrere tranquillo ai miei
fianchi. Erano le quattro del pomeriggio mi ero lasciato alle
spalle il Mount Sinai Medical Center, dove ero passato a vedere
come stava il mio cliente che avevo fatto ricoverare la mattina per
un devastante attacco di colite. Ero passato da casa a prendere la
mia Cadillac ed ora stavo cercando di rilassarmi pensando a cosa
avrei dovuto fare per passare i due giorni che quello doveva farsi
in terapia intensiva. Guardai prima il campo da golf Bay Shore
sulla sinistra e poi le villette sulla destra della strada, notando
che queste avevano le sbarre alle finestre. Probabilmente, pensai
con realismo, vivere in un quartiere di lusso a Miami Beach non è
più rassicurante che stare a Beiruth. Un colpo di fucile te lo puoi
beccare in entrambi i casi.
Neanche l'avessi chiamata, un'esplosione mi fece bloccare il
metabolismo, rizzare i capelli, cancellare gli ultimi 10 minuti di
vita dalla memoria, lasciandomi nell'auto ferma sul ciglio della
strada con il parabrezza volatilizzato in mille pezzi. Rimasi lì
per un po' rincoglionito a cercare i cocci di quello che restava di
me e della mia macchina. Poi balzai fuori come per riprendere in
mano la realtà. Mi guardai intorno ma non vidi nulla, a parte una
giovane signora vestita con pantaloni bermuda rosa e una polo
turchese, diretta verso di me con un ferro in mano.
«Non starà mica cercando una pallina?» - chiesi, col cervello
improvvisamente snebbiato.
«L'ha vista?» - Chiese lei senza imbarazzo.
«L'ho sentita.» - Precisai, indicando l'auto.
Lei mi passò cercando di trovarla.
«Eccola! - La indicò. - Una Titlest 5 Balata. E' la mia.»
Una pallina da golf stava effettivamente lì, sotto il bordo del
marciapiede.
«E' out. - Dissi spiaciuto. - E' fuori. Il percorso del golf
finisce prima della strada. Perde colpo e distanza. Regola N. 27-1.
Deve rifarlo, senza gancio stavolta.»
«Lei gioca a golf?» - mi chiese confortandosi, mentre una sua
amica si avvicinava a noi con il golf-cart.
«Sì.» - risposi, mentre la signora raccoglieva la pallina e la
passava all'amica.
«Beh, - proseguì lei rivolgendosi all'altra. - Siamo alla buca
17 e possiamo virtualmente chiudere la partita qui.»
«Virtualmente, forse... - dovetti precisare. - Però,
materialmente dovreste pagare i danni. Non vi pare?» - chiesi
indicando il parabrezza.
«Sono stata io?» - domandò la giovane signora.
Dieci minuti dopo mi trovavo in una villa sulla Venetian, una
delle più esclusive Causeway che collegano Miami a Miami Beach. Io
aspettavo il marito di lei seduto all'interno della villa, in un
salone che aveva una vetrata lunga quasi come l'intera costruzione,
al di là della quale si vedeva la piscina e il molo sulla laguna.
Lei era andata a fare una doccia e a vestirsi. L'amica doveva
essere la bambinaia perché, appena entrata in casa, si era subito
messa un costume da bagno per accompagnare in piscina i due figli
della signora che l'avevano attesa in compagnia di una tata nera.
Entrò il signor Massari, un uomo alto con un cenno di pancetta,
capelli non molto folti ma lunghi e pettinati indietro, un sorriso
volitivo che addosso a lui dava una certa espressione di giovialità
e di furberia insieme.
«Hallo! Hallo! Hallo! Come va? Come va? Come va? - salutò il
signor Massari appena arrivato. Mi venne incontro come se fossi il
migliore dei suoi clienti. - Sono Giovanni Massari.»
«Tutto bene. - Risposi. - Ma non sono un cliente. Sua
moglie....»
«Gli amici di mia moglie sono amici miei.» - ostentò con
orgogliosa sicurezza.
«Dio mio! - dissi. - Sono qui per chiedere il risarcimento di un
danno. Non mi faccia sentire in imbarazzo.»
«Ah, allora è sua la vecchia Cadillac senza pararezza
parcheggiata qui fuori in giardino... - Si rabbuiò di colpo. - Dio
mio, non avrà mica travolto mia moglie?»
«Signor Massari. - Risposi alzando le mani e sorridendo. - Sua
moglie sta benone; il parabrezza l'ha sfondato con una Titlest
Balata. Il problema non è il danno in per sè, ma il fatto è che non
so neanche se si trova il parabrezza per una Cadillac come la
mia.»
Più di una trentina d'anni, 5.000 cc., otto cilindri, solo
40.000 miglia, sempre rimasta in garage, perfetta, full optional.
L'avevo trovata per puro culo. Il vicino di casa mia se ne era
andato all'altro mondo e suo figlio aveva cercato di vendere la sua
macchina incominciando da chi gli abitava più vicino.
«Via, Mister Barbini. E' pur sempre solo un'automobile. Non le
pare?»
«Sì, ma è una Eldorado, un'auto d'epoca...» - Mi accorsi in quel
momento che Massari aveva parlato in italiano. La signora, invece,
aveva parlato francese con la sua amica ed inglese con me. Proprio
allora la moglie entrò in sala in accappatoio asciugandosi i
capelli lunghi e biondi tenendo la testa piegata di lato. Rimasi
per un attimo senza parole per la bellezza che prima non avevo
realizzato.
«Ciao ragazzi» - Accennò in francese ai suoi bambini che,
essendo in piscina oltre la vetrata, non potevano sentirla. Poi si
rivolse a noi in italiano dall'accento appena appena francese. -
Vedo che vi siete conosciuti.»
«Ciao, cara.»
«Giovanni, credo che ci sia un problema.»
«Lo risolveremo. Com'è successo?»
«Alla buca 17 del Bay Shore. Ho agganciato la palla e...»
«Amen. - Rispose lui. - Il campo è assicurato ma noi
anticiperemo la riparazione.»
«La ringrazio. - Dissi intervenendo nel loro colloquio. - Ma
dicevo alla signora...»
«Eva.» - Ricordò lei.
«Dicevo a Eva che tra due o tre giorni al massimo devo ripartire
per l'Italia. Io ho una casa a Fort Lauderdale, ma vivo a Trento.
Sono qui per lavoro ma ho avuto un altro contrattempo...»
«Viaggio sfigato?»
«No, - sorrisi. - Anzi, il viaggio è andato benone, solo che
stanotte il mio cliente non si è sentito bene di viscere ed ho
dovuto ricoverarlo all'ospedale. Quassù...»
«Al Mount Sinai?»
«Esatto.»
«Niente di grave?»
«Diarrea… devastante. - Dissi con una smorfia. - Ha mangiato tre
dozzine di ostriche, dicendo che nel mese di settembre non possono
far male. Ha bevuto una Jacuzzi di spumante della California.
Fumato tutti gli Avana di contrabbando trovati sulla Ocean Drive...
Poi si è sentito male senza riuscirsi a spiegare perché. Avremmo
dovuto partire stasera, ma ovviamente ho rinviato. Se pensa che
eravamo riusciti a passare una settimana ad Haiti senza avere il
minimo disturbo...»
«Siete stati ad Haiti?»
«Sì, infatti.»
«I miei domestici sono di Haiti.»
Non sapevo che dire.
«E' da tempo che sto progettando di investire ad Haiti. -
Aggiunse Massari. - E' il paese più povero del mondo, o giù di
lì... Non so con esattezza. Ma è appena uscito dal medioevo ed ha
bisogno di tutto. Ed io voglio vendergli tutto... Anzi, meglio
ancora, comperargli di tutto, stando all'interno del paese. Il suo
cliente che cosa ci è andato a fare?»
Rimasi un po' perplesso sul cosa rispondere. La riservatezza fa
parte del mio lavoro. - «Servizi finanziari, - risposi sul vago. -
Consulenza finanziaria.»
«Magnifico! - Rispose. - Penso che ci intenderemo. Da quando non
cè più Baby-Doc...»
Rimasi ad ascoltarlo con poca attenzione perché probabilmente ne
sapevo più io di lui. Da quando non c'era più Duvalier, Baby-Doc
come lo chiamava lui, Haiti aveva scoperto che essere liberi
costava almeno o forse più di quando erano schiavi. Il povero
vecchio Duvalier, ora in pensione a Parigi dove gli Americani erano
riusciti a portarlo poco prima che i suoi sudditi lo prendessero a
calci in culo, aveva lasciato il Paese a malincuore perché lo
considerava suo a tutti gli effetti.
«Era il padre e padrone - stava dicendo Massari. - Pensi che ad
Haiti non c'è neanche un sistema fiscale, perché tutto era di
Duvalier al punto che non aveva bisogno di tasse...»
Lo sapevo. Infatti, il cliente che viaggiava con me era stato
chiamato proprio per studiare un sistema fiscale moderno adatto
allo Stato di Haiti.
«La proprietà, ad esempio, è un problema da risolvere subito in
termini di concetto. Prima c'era un padrone solo, Duvalier, ma
adesso non sanno neanche come assegnare le case ai cittadini.»
«Non è il problema principale.» - intervenni, senza voler essere
coinvolto più di tanto. - «Hanno più del 62% di analfabeti. Il
governo ha appena introdotto l'istruzione obbligatoria, ma non
hanno né maestri né scuole...»
«Vede? - Disse radioso Massari. - Hanno bisogno di tutto.»
«Ma lei, scusi, perché è attirato da Haiti?»
«Parlano il francese.»
«E allora?»
«In Québec si parla francese. E' per questo che l'ONU ha inviato
ad Haiti i caschi blu del Canada francofono.»
«Ah.»
«Sono in contatto con il loro Console a Québec, e prima o poi
guiderò una cordata per il recupero economico di Haiti.»
Eva era uscita per sedersi al bordo della piscina e mi fece
cenno di andare da lei.
«Vuol bere qualcosa?» - mi domandò, indicandomi il bar vicino
alla piscina.
«Grazie.» - risposi cordiale. Guardai la laguna e in lontananza
la grande Mac Arthur Causeway che portava alla Downtown. Il molo di
legno di villa Massari ospitava una vera e propria base da pesca,
un paio di carrucole per gli acquascooter ed una scaletta per
scendere in acqua. Una barca grande ed una più piccola erano
ormeggiate alle briccole. La più grande era sollevata dall'acqua
grazie ad un interessante sistema di alaggio a camere di
galleggiamento di alluminio.
«Il suo cliente era ospite a casa sua?»
«No. Eravamo entrambi all'Hilton Fountainebleu. Lui non sa
neanche che ho casa da queste parti. Miami era solo una sosta
tecnica inevitabile per andare a Milano da Haiti. Avevo già fatto
il check-out, poi lui ha iniziato a star male e così, dopo averlo
portato in ospedale ho deciso di andare a casa a prendermi l'auto.
Volevo andare a ritirare i bagagli in albergo e portarli a casa, ma
ora...»
«Rimanga con noi. - Disse Eva senza riflettere. Si portò dietro
al banco bar. - Spumante va bene?»
«Beh, non so se dopo quello che ha passato il suo cliente...» -
ironizzò il marito.
«Il mio cliente non beveva certo Ferrari.» - osservai guardando
la bottiglia che Eva aveva preso dal frigo.
Avevano cenato con noi la baby-sitter, che non si era ancora
tolta gli occhiali a specchio, i due bambini dei Massari e i due
bambini di colore della governante.
«Quando preparo gli spaghetti, - aveva precisato Eva, - li
invitiamo sempre a tavola con noi. Ne vanno matti.»
«Viceversa, - aggiunse Giovanni - Ogni tanto la tata ci prepara
una delle sue famigerate zuppe, per contraccambiare.»
«Buone?» - chiesi. Eva si versò un caffè per evitare il
discorso.
«Una volta ci ha preparato la zuppa del Guatemala... - ricordò
Giovanni. - Come descriverla...?»
«Provo dirlo io in trentino. - Dissi. - La zuppa del Guatemala,
o la te copa o la te mala.»
«Esatto. - Disse Giovanni ridendo. - L'hai capita?» - chiese poi
a sua moglie.
«Quantomeno suona bene. - Rispose. - Allora prova a descrivergli
quella cubana.»
«La zuppa cubana... - lo precedetti, - o la te copa o la te
sana.»
«Non male, ha ha! Eva, ti ricordi quando aveva fatto quella
cinese?»
«La zuppa cinese, per digerirla ci vuole un mese.» - sparai,
ormai lanciato.
«Io, invece, - disse Giovanni tornando serio, - ogni tanto ne
preparo una tutta mia.
«La zuppa del Giovanni, - dissi impietosamente, - solo in culo
non fa danni.»
Alla fine della cena eravamo rimasti in tre, e dopo tre
bottiglie di Ferrari sapevamo quasi tutto di noi. Io ho una moglie
e un figlio di 20 anni. Loro hanno due maschi di 7 e 9. Eva è di
Québec City, Canada, mia moglie di Rovereto, Trentino. Lei era
stata una top-model, mia moglie lavorava nella moda ma da tempo
lavora con me. Giovanni era originario di Torino, poi passato a
Milano, quindi a Montecarlo e infine in America facendo base sia a
Miami che a Québec. Lui si occupa di investimenti immobiliari e
mobiliari. Io mi occupo di pubblicità, di pubbliche relazioni e di
relazioni internazionali. Lui, a Miami ha una Rolls Royce e una
Lumina monovolume; io, a Fort, una Mustang e una Cadillac Eldorado.
Lui, a Québec ha... Non avevamo ancora risolto il problema della
mia automobile.
«Giovanni. - dissi. Ormai ci davamo del tu. - Devi aiutarmi a
riparare l'auto. Non è un problema di costi, ma dovrò partire
appena l'altro starà meglio e non so neanche dove cercare il
parabrezza di ricambio. Forse...»
«Facciamo così. - Disse lui. - Lascerai l'auto qui, nel mio
garage. Domani Jacques se ne occuperà personalmente.»
«E' affidabile?» - chiesi stupidamente.
«Chi, Jacques? - Sorrise Eva. - Guida la nostra Rolls.»
«Scusate.»
«E' il marito della governante e padre dei due bambini che erano
a tavola con noi. Vengono da Haiti ma vivono da anni in casa
nostra. La dependance è per loro. Gli ospiti, invece, dormono qui a
fianco della piscina.»
Non avevo ancora accettato l'invito di stare a casa loro.
«C'è una camera doppia con bagno e l'ingresso è
indipendente.»
«Dovrò prendere un'auto a noleggio... - Dissi con imbarazzo. - I
bagagli sono all'Hilton.»
«Andrà a prenderli Jacques.» - Decise Giovanni.
«Se invece più tardi vuoi uscire, e domani muoverti liberamente,
puoi prendere la Lumina.» - Aggiunse Eva.
«E voi?»
«In qualche modo ci organizzeremo. C'è anche la macchina di
servizio.»
La bambinaia era fuori dalla vetrata e teneva i bambini per mano
sul divano a dondolo. Forse stava raccontando loro la classica
favola prima di andare a letto. La guardavo con curiosità perché
non si era ancora tolta gli occhiali di dosso. Era giovanissima e
molto carina, magra ma con un aspetto muscoloso che notavi solo in
un secondo momento. Non si era mai rilassata un momento.
«E' la loro guardia del corpo. - Disse Giovanni prevenendo il
mio interrogativo e includendo anche Eva tra le persone che
proteggeva. - Si chiama Jèneuviève, un orribile nome in italiano,
Genoveffa, ma che in francese suona bene. Noi la chiamiamo Jène.
Non li perde di vista un attimo. E' stata campionessa di judo, ha
un fisico super atletico e gira armata.»
«Non è che abbiamo paura, - si intromise Eva per
tranquilizzarmi, - ma se si volesse colpire la nostra famiglia, i
figli sarebbero l'obiettivo principale, seguiti da me.»
Entrò una persona che evidentemente doveva essere Jacques.
«Dagli nomi e cognomi e le ricevute dei bagagli.» - Mi disse
infatti Massari indicandolo. Avrebbe fatto il giro dall'Hilton ed
avrebbe preso anche i nostri bagagli.
«Il mio nome è Marco Barbini, il mio cliente si chiama Paolo
Bivar.»
Scoppiarono tutti tre a ridere.
«Beh? - Dissi dopo un po'. - Posso ridere anch'io?»
Eva lasciò parlare il marito gustandosi la scena.
«In inglese Beaver significa castoro, ma sarebbe come dire in
Italia passera... Il sesso femminile, insomma, detto in gergo
familiare, comunque non volgare. Capisci?»
Eva si compiacque della descrizione. Anche Jacques mi guardava
soddisfatto.
«Sapevo che si dicesse Pussy, o Pussy-cat. Scusa Eva, che
discorsi...»
«Pussy è linguaggio pre-adolescenziale. - Spiegò Eva. - E non
scusarti. Ho lavorato molto in Italia per le griffe più importanti
e puoi immaginarti se non so in quanti modi si dice... Pussy
potrebbe corrispondere all'italiano... Ciccina? Passera? Va bene
Passera?»
«Dio mio! - Dissi alla fine. - Ora capisco perché tante
sceneggiate qui a Miami. Facciamo il chek-in all'aeroporto
presentandoci come Mr. Barbini and Bivar. Stessa cosa negli
alberghi: Mr. Barbini and Bivar. Era imbarazzo, ecco cos'era!»
«Jacques. - Disse Massari. - Queste sono le ricevute. Quando vai
all'Hilton Fountainebleu, sii così cortese di ritirare i bagagli
del signor Barbini e la gentile passera. OK?»
Durante la cena avevo studiato alcuni aspetti del rapporto tra
Giovanni e Eva. E' il mio lavoro, quello di studiare i
comportamenti della gente, per poi sfruttarli o modificarli secondo
una precisa pianificazione strategica e lo facevo anche nelle
relazioni extralavorative. Era una famiglia solida. Lui era il
tipico italiano che non mette la moglie al corrente dei suoi
affari, e lei era la tipica donna che sa gestire la famiglia senza
dover caricare il marito di altre responsabilità. Gelosi entrambi,
solo che lui all'occasione scopa, mentre lei pian piano sposterà il
suo ruolo da quello di moglie a quello di mamma. Ma non ha chiuso
con la sua sessualità, anzi; solo che lui è troppo preso dagli
affari... Era evidente che le davano più soddisfazione i figli del
marito.
Quando uscimmo sul pontile, Eva si eclissò, mentre io e Giovanni
restammo a guardare i grattacieli della Downtown che cambiavano il
colore delle luci con lo scandire delle ore. La bambinaia aveva
portato i bambini da noi per la buonanotte. Diedero un bacetto
anche a me. L'insieme delle cose mi emozionò un po', quel tanto che
basta per annotare la serata in uno dei prossimi déjavu.
«Hai tanti clienti?» - Mi chiese Giovanni, interrompendo le mie
sensazioni.
«Quanto basta.»
«Cose diresti di raddoppiare il tuo business?»
«Non è facile. Io lavoro già più di quello che dovrei.»
«Intendevo dire, senza raddoppiare il lavoro.»
«Spiegati.»
«Se tu mi presenti i tuoi clienti, ti passo la provvigione per
ogni affare che io concludo. Sono tutti imprenditori, mi pare,
no?»
«Quasi tutti. - Risposi senza convinzione. - Ma sono difficili
da trattare. Mi confidano le loro strategie solo perché si fidano e
perché non li ho mai traditi. Se avvertissero che io...»
«No. Hai capito benissimo: devi solo presentarmeli. Al resto
penso io.»
«E' una cosa seria?» - Chiesi, sapendo che la risposta era
scontata.
«Io offro rendite. Garantite, sopra la media, in mattoni e in
dollari. Vendo immobili il cui affitto rende notevolmente.»
«Quanto?»
«A me il 16, il 18% lordo. Agli investitori l'8, il 9%
netto.»
«Dove?»
«A Miami Beach e a Québec City.»
«E perché queste zone offrirebbero condizioni così
particolarmente vantaggiose?»
«Perché a Miami per costruire il nuovo bisogna abbattere il
vecchio: non c'è posto. A Québec City invece la politica di
separatismo ha provocato la fuga dei capitali e...»
«Conosco il meccanismo. C'è stato anche da noi in Alto Adige, ma
sono tempi ormai passati.»
«Infatti. Anche da noi sta per finire.»
«Che cosa?»
«Il separatismo. Lavalle è stato sconfitto nuovamente e stavolta
dovrà andarsene.»
«Come fai a saperlo?»
«Mia moglie appartiene alla leadership di Québec.»
Lasciò decantare quest'ultima affermazione, aspettando che fossi
io a riprendere il dialogo.
«E quale sarebbe la provvigione per me?»
«Il 10%.»
«Come potrei controllare i risultati delle vendite? Cioè, visto
che non sarei presente alla firma dei contratti, chi mi direbbe
quando vendi veramente e quando no?»
«La fiducia. Senti, domani verranno dei clienti accompagnati dai
miei venditori. Sono tutti italiani. Rimani con noi. Respirerai
l'atmosfera giusta. Poi, se ti andrà, raggiungeremo un accordo;
altrimenti, amici come prima. Giuro che ti faccio riparare lo
stesso la Cadillac. A proposito, quando sarà rimessa a nuovo, vuoi
che te la tenga qua io o preferisci che te la faccia portare a casa
tua?"
«Fa' quello che ti disturba meno, grazie. - Dissi. Cambiai
discorso.- Ad Haiti cosa volevi farci?» - Era una curiosità, ma
giunse Eva.
«Buona notte, ragazzi. Marco, queste sono le chiavi della
macchina e della stanza degli ospiti. Io vado a letto. Oggi ho
fatto danni abbastanza.» - scherzò. Mi diede un bacio sulla guancia
davanti agli occhi compiaciuti del marito.
«Buona notte, Eva.»
Mi voltai a guardare ancora i colori incredibilmente irreali
della Downtown di Miami. Compresi di essere vittima di emozioni
pilotate dal caso, ma mi lasciai andare lo stesso. Accettai le
chiavi.
«Mi ritito anch'io. - Disse Massari alzandosi. - Parleremo di
Haiti un'altra volta.»
Verso le quattro di notte mi svegliai. Mi capita spesso in
America, per via del fuso. Poi riprendo subito sonno. Quella
mattina, però, mi alzai, entrai in bagno, poi andai a guardare
dalla finestra la scena notturna delle luci della Downtown. Decisi
di uscire e fui accolto piacevolmente dai 30 gradi notturni della
Florida di fine estate. Guardai il pelo dell'acqua della laguna
come per cercare segni di vita acquatica notturna. Poi mi portai al
banco bar vicino la piscina e cercai dell'acqua minerale. La trovai
e mi disposi a bere seduto su una sdraio in direzione delle luci
della città.
Saranno state le 5 quando decisi di entrare nella Jacuzzi posta
a fianco della piscina. Mi tolsi la maglietta e gli slip e scivolai
piano nell'acqua bollente cercando di salvare le parti più
delicate. Dovetti uscire dall'acqua per andare ad accendere il
meccanismo dell'idromassaggio. Poi vi ritornai in fretta
lasciandomi andare nudo sulle bollicine dell'aria forzata. Mi
appoggiai ad un'uscita d'aria prima col lato destro, poi col lato
sinistro, poi di schiena, in modo che il getto di bollicine mi
massaggiasse un po' dappertutto. Infine mi sistemai in modo che la
nuca poggiasse delicatamente sul bordo. Questa è la dura vita del
viaggiatore.
Ero così rilassato con tutti i benefici offerti dalla tecnica
americana, quando vidi un'ombra avvicinarsi alla vasca e mi sentii
paralizzare d'improvviso. La cosa più stupida che mi venne in mente
lì per lì era il fatto che ero nudo. Vincendo il bruciore degli
occhi, riuscii ad inquadrare la sagoma della persona e finalmente
anche a distinguere chi fosse. Era Eva, in accappatoio. Ma a questo
punto ero incerto se rassicurarmi o preoccuparmi ancora di più.
Lei si sfilò l'accappatoio e, mentre cercava di entrare
nell'idromassaggio, mi accorsi che era nuda anche lei.
«Eva! - Gridai agitato. - Fermati. Nella Jacuzzi ci sono io. E
sono nudo. Scusami! Io non pensavo...»
Lei dapprima si ritrasse per la sorpresa, poi superò l'imbarazzo
ma rimase incerta sul da farsi. Infine decise che la cosa migliore
era entrare in vasca anche lei.
«Scusami. - Ripetei stupidamente. - Ora esco io.»
«Non è una cattiva idea. - Disse quindi Eva. - Così ti vedo nudo
anch'io e siamo pari."
Vidi la sua chiostra splendere alla luce della luna, o della
Downtown...
«Cosa devo fare?» - Chiesi imbarazzato.
«Fa' come se non ci fossi. - Rispose lei. - Non c'è pericolo,
l'acqua è sterilizzata dal cloro attivo del sistema di filtraggio;
quindi non corriamo rischi.»
«Non volevo dire questo. Io...»
«Senti, Marco. - Disse. - Io e te facciamo, o almeno abbiamo
fatto, un lavoro per il quale il nudo è, o era, il nostro habitat
naturale. Io non mi sento imbarazzata, ma se tu hai paura di non
controllarti, allora è diverso...» - Finse di dover decidere se
doveva preoccuparsi o meno.
«No. - Dissi più sereno. - Non ho problemi. Davvero. Ma siamo
qui, in casa tua e di tuo marito. Comprenderai che mi sento davvero
una persona in più, un ospite, un estraneo, un rompiballe... Che ne
so?»
«Mio marito mi ha conosciuta in un periodo in cui ero più spesso
nuda che vestita. Ma mi ha sempre amato perché sapeva perfettamente
che anche io lo amavo. Non lo ho mai tradito, anche se sono molti
quelli che, avendomi vista nuda di persona, si vantano stupidamente
di aver avuto una fantomatica relazione con me.»
«Capisco, ma qui, in vasca io e te...»
«Questo è vero. - Disse guardandomi con severità. - Sono davvero
pochi quelli che ospitiamo in casa nostra e francamente nessuno di
questi è mai entrato in una Jacuzzi con me, tantomeno senza niente
addosso. - Sorrise mostrando di nuovo i denti luminosi di fluoro. -
Anzi, lo avevo fatto solo con mio marito e con uno stilista gay che
era più imbarazzato di te. Ed ora che ci penso, saranno almeno 7-8
anni che nessuno mi ha più vista nuda. Ma dato che sei un
professionista, come ti sembro? Reggo ancora, oggi che ho
trentacinque anni? Vuoi che esca per farti dare un parere
ponderato?»
Sorrise alzando il suo bel collo dall'acqua.
Rimasi in silenzio, sorridendo anch'io. Ormai tutto sembrava
tornato normale. Finché il timer dell'idromassaggio non concluse il
suo lavoro e l'acqua si calmò.
«Vuoi andare a riattivarlo? - Mi domandò. - Oppure preferisci
che andiamo a farci una ventina di vasche in piscina?»
Vedendo che non mi decidevo, Eva uscì piano dalla vasca
lasciandomi vedere di schiena il suo bellissimo corpo nudo che
usciva flessuosamente ondeggiando sugli scalini. Non ero riuscito a
distogliere lo sguardo. Lei lo sapeva e si girò sicura di sè.
«Allora? - Disse. - Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno. Le
fai una ventina di vasche con me? Vediamo chi ci impiega meno?»
La piscina, contrariamente alla Jacuzzi, veniva tenuta
illuminata per tutta la notte con le luci subacquee. Saremmo stati
più visibili.
Forza! mi dissi ed uscii finalmente dalla vasca anch'io. Non
provai a coprirmi, però mi tuffai subito nell'acqua della piscina.
Era freddissima rispetto alla Jacuzzi, così mossi le prime
bracciate piuttosto goffamente. Cercai conforto nei movimenti
vigorosi, finché non riuscii ad adeguare il nuoto al respiro e pian
piano seguii piacevolmente Eva finché lei non si fermò.
«Bene.» - disse uscendo dall'acqua. - «Noi facciamo colazione
alle 6 e mezza. Hai il tempo di farti una doccia anche tu e
presentarti a tavola. A dopo, Marco.»
«Che bella che sei.» - Riuscii a dire finalmente.
«Grazie. - Mormorò girandosi. - Sei un gentiluomo.»
(Continua)
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