«Sulle Rotte del Mondo»: Arrivederci al 2010
Grande successo per la prima edizione della manifestazione con protagonisti i missionari trentini in Africa
Si è conclusa sulle note dell'«Inno
al Trentino», cantato in coro dai missionari in terra d'Africa sul
palco del teatro Sociale assieme all'arvicescovo Luigi Bressan e
all'assessore provinciale Lia Giovanazzi Beltrami, la prima
edizione di «Sulle rotte del mondo», la manifestazione organizzata
dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Arcidiocesi dedicata ai
nostri missionari.
Appuntamento esattamente fra un anno, quindi, con i missionari
trentini che arriveranno, in quell'occasione, dall'Asia. Nel
frattempo, tutti gli eventi pubblici, i comunicati stampa e molta
documentazione che verrà integrata nei prossimi giorni rimangono
consultabili sul
sito.
La comunità trentina ha salutato ieri sera i suoi missionari al
teatro Sociale, dove si è tenuto l'ultimo incontro pubblico della
manifestazione «Sulle rotte del mondo», dedicato al futuro
dell'Africa.
Sul palco, moderati dai giornalisti Enrico Franco e Ivan Maffeis,
padre Gabriele Ferrari, saveriano di Rovereto, per
molti anni in Burundi, la teologa e docente universitaria in
Ghana Roberta Gatti, roveretana, Eugenio
Melandri, anch'esso saveriano, già parlamentare europeo,
anche nota «penna» del mondo della solidarietà, il giornalista e
parlamentare di origine congolese (il primo parlamentare italiano
originario dell'Africa sub-sahariana) Jean Leonard
Touadi, il comboniano Giuseppe Filippi,
di Baselga del Bondone, che sta per essere ordinato vescovo in
Uganda, e monsignor Luigi Bressan, in procinto di
partire per Roma per il Sinodo africano che si apre lunedì 5, ai
quali si è unita per i saluti finali l'assessore provinciale alla
solidarietà internazionale, instancabile «motore» della
manifestazione, Lia Giovanazzi Beltrami.
Si è parlato, ancora una volta, di aiuti allo sviluppo, aiuti che
spesso non finiscono nelle tasche giuste, anche se, come osservato
da Melandri, «il primo problema non è quello di
aiutare, è quello di capire, di conoscersi. Abbiamo a che fare con
persone che hanno una dignità, una storia, una cultura, non
dobbiamo mai dimenticarlo».
Concetto sottolineato mirabilmente anche da
Touadi, per il quale, a 500 anni dalla
circumnavigazione dell'Africa da parte di Vasco Da Gama, dopo il
Congresso di Berlino [con il quale le potenze europee si spartirono
a tavolino il Continente, spesso tracciando semplicemente delle
linee sulle mappe, e ignorando quali realtà queste linee unissero o
separassero - ndr], dopo tutto ciò che è avvenuto nel frattempo, «è
davvero corretto pensare che da un lato c'è un futuro dell'Europa e
dall'altro un futuro dell'Africa?».
L'incontro fra queste due realtà è ben simboleggiato, per Touadi,
dalla scuola coloniale, che, come avevano intuito alcuni saggi
(come l'anziano protagonista del romanzo «L'ambigua avventura» di
Cheikh Hamidou Kane), «ha reso la conquista dell'Africa perenne»
(ci si riferisce qui a quella scuola che insegnava ad esempio agli
africani delle colonie francesi che i loro antenati erano i Galli e
i loro fiumi la Senna e la Loira). E oggi? Oggi siamo tutti
necessariamente «personalità in bilico», sospesi fra culture
diverse, nell'oceano della globalizzazione. Noi e gli africani.
Nel frattempo, però, c'è un mare, il Mediterraneo, che in questi
anni è diventato la tomba di 14.000 migranti, «che con i loro corpi
stanno costruendo lo spazio euro-africano». In quanto ai
respingimenti, sono la cifra di un rapporto sbagliato fra noi e
l'Africa, che pone problemi morali enormi. Anche perché, come
ricordato da Roberta Gatti, l'immigrazione può
creare dei problemi ma non è un problema in sé.
«Noi trentini lo sappiamo bene, siamo cresciuti grazie alle rimesse
degli emigranti. Come potremmo negare ad altri questo diritto?»
Ma bisognerebbe anche parlare delle cose belle dell'Africa; non i
paesaggi o i luoghi turistici («quelli li amano tutti - ha detto
Touadi, - più difficile è amare le persone»), ma i doni che
l'Africa fa.
«Per me - ha detto ancora la teologa trentina - il dono più grande
è stato allargare il mio sguardo, il mio orizzonte, per
confrontarmi con realtà che nessuno immagina possano esistere, qui,
perché nessuno parla di luoghi come la mia università,
un'università pubblica, dove teologi cristiani e musulmani lavorano
fianco a fianco, dialogando continuamente, avendo in aula anche
molti studenti ebrei, provenienti soprattutto dagli Usa.»
In quanto al lavoro di evangelizzazione, padre
Filippi è stato molto chiaro.
«Non ci interessa la pratica in sé, non ci interessa il battesimo,
ciò che conta è che le persone si comportino da cristiane, cioè
amino il loro prossimo. Anche in Africa vediamo molte persone in
grado di citare le Scritture dall'inizio alla fine, ma che poi
ignorano concetti come onestà, giustizia, rispetto del Creato,
rispetto della donna. Quindi abbiamo una pratica di vita che non
corrisponde ai principi cristiani. È su questa che dobbiamo
concentrarci.»
Da padre Ferrari, infine, un appello alla
tolleranza, alla capacità di rimettersi sempre in discussione.
«Stare in Africa mi ha dato il senso della relatività. Non dico più
all'africano quello che deve fare. Naturalmente i poveri sono
poveri, non si può ignorare questa realtà. Però il Africa la
condizione del povero mi costringe a misurarmi con le mie povertà.
E questo mi fa bene. I soldi, da soli, non risolvono niente. Non
dico che non si debba donare, dare un contributo fa bene
soprattutto a chi lo fa. Ma quando i soldi sono troppi bloccano la
possibilità di crescere autonomamente, vengono usati male, generano
distorsioni. I poveri in Africa ci insegnano che si può essere
felici con poco. E' una delle più grandi lezioni che possiamo
ricevere nella nostra vita.»
Il miglior suggello a queste giornate è contenuto forse nelle
parole con cui l'assessore Beltrami si è accomiatata dai missionari
trentini e da tutto il pubblico che ha affettuosamente seguito i
tanti incontri disseminati lungo questa settimana, che si chiuderà
oggi alle 19 in Duomo con la veglia missionaria:
«Abbiamo sentito le temperature alzarsi, in questi giorni, non è
vero? Qualcuno ha detto: è l'effetto serra. No, è stato il calore
dei nostri missionari.»