«In Africa ci sono pochi palloni ma tanti ragazzi intorno»

Incontro dei giovani trentini con i missionari al teatro Cuminetti

Dopo l'introduzione di Don Beppino Caldera, direttore del Centro Missionario diocesano, alcuni missionari - padre Corrado Tosi, Nicoletta Gatti, Maria Grazia Emanuelli, padre Oscar Girardi e padre Flavio Paoli - introdotti da Monica Collini del Centro pastorale giovanile, hanno dialogato con alcuni ragazzi che provengono da parrocchie e associazioni del mondo giovanile trentino.

Cosa rappresenta per un missionario l'Africa? Perché si decide di partire? Quali sono le maggiori differenze tra l'essere giovani in Africa e l'essere giovani in Trentino? Molte - e difficili - le domande che Monica Collini, coordinatrice dell'incontro, ha posto ai missionari presenti.

Padre Oscar, originario di Roverè della Luna opera in Tanzania. "La bellezza dell'Africa è che più che dare mi ha dato, mi ha fatto crescere" ha detto ai ragazzi attenti, ripetendo quello che è divenuto quasi un mantra di questi giorni. L'idea di un continente in via di sviluppo, difficile, spesso rischioso, per alcuni versi povero che però è in grado di insegnare molto, anzi moltissimo a chi lo sa guardare con gli "occhiali" giusti.

Padre Oscar ha raccontato poi la vita dei ragazzi africani, tratteggiando i contorni di una giovinezza più difficile, più breve di quella cui siamo abituati, ma anche più libera.
«In Africa - ha aggiunto - i bambini e i giovani si divertono ma il divertimento non è organizzato, non esiste un business, basta un niente: i palloni sono pochi ma i ragazzi intorno sono tanti.»

Padre Corrado Tosi, viene da Balbido, una frazione del comune di Bleggio Superiore; ora vive in Congo. L'Africa, dice, è stata per lui la conseguenza di una serie di piccole scelte quotidiane iniziate quando ancora era un adolescente.
«Ecco cosa rappresenta l'Africa per me oggi: è un luogo dove c'è una forza di vita straordinaria ma si incontrano anche violenza, situazioni di disagio e sofferenza spaventose.»
Racconta poi delle differenze tra i giovani africani e giovani trentini. Il discrimine principale è, a suo parere, l'atteggiamento nei confronti della scuola, dello studio. Nel continente nero è un privilegio, qualcosa per cui lottare e camminare per ore. Da noi, invece, un dato per scontato, un diritto acquisito e spesso subito malvolentieri. «Approfittatene - conclude - avete qui una ricchezza di cui non vi rendete nemmeno conto.»

Anche padre Flavio si sofferma sulle difficoltà che un giovane eritreo incontra nella sua giornata tipo. La lunga strada per andare a scuola, ma anche la ricerca del cibo - sempre scarso -, il lavoro, la necessità di accudire fratelli e sorelle più piccoli. Ventiquattro ore radicalmente diverse dalla giornata ideale dei ragazzi presenti in sala.

Maria Grazia Emanuelli, originaria di Sabbionara, parla del Mozambico.
«Per me l'Africa - dice - è il dono che Dio ha dato a me; è stato l'aprirsi a un mondo diverso, in cui io ho potuto continuare a fare quello che facevo qui, l'insegnante.»

Anche Nicoletta Gatti, che insegna assieme a colleghe mussulmane in due università del Ghana, parla dell'Africa come un dono, un regalo.
«Comincio col dire che l'Africa è la mia casa, il luogo dove sto bene, dove mi sento davvero Nicoletta.»
E conclude il suo intervento con una storia. E' il racconto di un episodio vissuto prima di trasferirsi in Ghana, in Etiopia.
«Qui, dice Nicoletta Gatti, il governo obbligava la popolazione a dichiarare la tribù di appartenenza. I ragazzi di un gruppo giovanile risposero a quella che consideravano un'ingiustizia realizzando una maglietta. Sul davanti una frase "Di quale tribù sei?" e il disegno di una faccia triste. Sul retro la risposta "Della tribù di Dio".»
«I giovani sono stati arrestati per questo - continua - ma hanno continuato ad indossare la maglietta. Il loro coraggio mi ha cambiata, perché mi hanno fatto capire che volevano essere loro gli artefici del proprio futuro.»

Dopo le domande dei ragazzi, l'incontro si è chiuso con una preghiera recitata dai missionari lingue africane che abitualmente parlano.