Come i cambiamenti climatici cambiano la viticoltura in Europa
Un nuovo studio di Eurac Research combina i dati sulle varietà di vite e sul clima in varie regioni europee e mostra come queste potrebbero svilupparsi in futuro
Nel corso dei secoli, viticoltrici e viticoltori europei hanno perfezionato la conoscenza delle viti e della loro coltivazione con l’obiettivo di produrre i migliori vini possibili. In molte regioni queste conoscenze sono protette dal disciplinare DOC, cioè un insieme di regole da seguire per produrre un vino che riceva il riconoscimento di «denominazione di origine controllata».
Il disciplinare non si limita a stabilire le varietà di vite, ma definisce anche dove possono essere coltivati i vitigni, la quantità di raccolto e le modalità di produzione; protegge i consumatori dalle imitazioni e regola la produzione professionale di vino in tutta Europa.
Per molto tempo le aziende che aderivano al disciplinare DOC hanno avuto un chiaro vantaggio rispetto alla concorrenza internazionale. Ora le cose potrebbero cambiare a causa dei cambiamenti climatici.
Simon Tscholl, coautore dello studio «Climate resilience of European wine regions» (Resilienza climatica delle regioni vinicole europee), pubblicato di recente sulla rinomata rivista «Nature Communications», teme che le aree DOC – in cui possono essere coltivati solo alcuni vitigni nel rispetto delle normative molto rigide – incorrano in maggiori difficoltà.
Tscholl spiega: «Se i regolamenti prevedono solo pochi vitigni per una specifica area, le aziende vinicole hanno poco margine di manovra per adattarsi all’aumento delle temperature».
Tscholl usa il concetto di sensitivity (sensibilità) di una regione per indicare quali siano le varietà coltivabili in base a diversi fattori, tra i quali le prescrizioni DOC.
Nel suo studio il biologo ha applicato i modelli di previsione climatica a un totale di 1.085 regioni vinicole, per stimare quali saranno particolarmente colpite dall’aumento delle temperature. Attualmente i modelli climatici ipotizzano entro il 2100 un riscaldamento compreso tra i 2 e i 5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali.
«La viticoltura come la conosciamo oggi dovrà per forza cambiare», è convinto Tscholl.
Da una parte cambierà la distribuzione delle varietà, dall’altra la vite si diffonderà come coltura permanente ad altitudini più elevate e geograficamente più vicine al Nord Europa.
Le simulazioni infatti mostrano chiaramente che le regioni più a sud sono generalmente più vulnerabili, mentre alcune regioni a nord potrebbero beneficiare dell’aumento delle temperature. Mettendo in correlazione i vitigni prescritti dai disciplinari con i modelli climatici la ricerca mostra chiaramente quali regioni sono particolarmente vulnerabili.
Tuttavia la capacità delle regioni di adattarsi ai cambiamenti climatici non dipende solo dal quadro giuridico dei regolamenti DOC.
«Anche gli aspetti sociali, naturali, finanziari e del personale giocano un ruolo importante», spiega Tscholl.
Gli aspetti sociali includono, ad esempio, lo sviluppo della popolazione e la distribuzione anagrafica, mentre gli aspetti finanziari comprendono il tasso di indebitamento e il rendimento degli investimenti. Questi dati sono stati raccolti per tutte le 1.085 regioni vinicole prese in esame. I risultati dello studio sono stati integrati in una applicazione web: Winemap by Eurac Research. Con l’aiuto di algoritmi programmati appositamente chi naviga può filtrare e confrontare con facilità i vari parametri per tutte le 1.085 regioni vinicole: sensibilità (vitigni), suscettibilità (cambiamenti climatici) e adattabilità.
«Lo studio e l’applicazione web hanno lo scopo di contribuire alla sensibilizzazione, per preparare le regioni vinicole europee ai cambiamenti climatici», spiega Tscholl.
In alcuni casi sarebbe necessario allentare le normative sulla DOC mentre in altri sarebbe necessario investire in nuove tecnologie e tipologie di finanziamento.
«Le aziende non possono procedere a tentoni, sperimentando se una varietà funzioni o meno, perché queste scelte sono sempre associate a costi, rischi e tempi lunghi», conclude Tscholl.