Il 2020 lascia alle spalle un anno di problematiche irrisolte
In Italia si dovrebbe prendere la politica dai quattro angoli della tovaglia e gettare tutto dalla finestra e sgombrare il tavolo per qualcuno che ci sappia fare
L’aggettivo «farraginoso» lo avevo sentito pronunciare solo a scuola, alle medie, quanto la professoressa criticava i temi di italiano piuttosto malandati.
Poi il temine lo ho dimenticato, finché non ho ascoltato il discorso di fine anno del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
«Fatto di tanti elementi accostati o ammassati insieme in modo disordinato, avviluppato, confuso.» In una parola, «farraginoso».
Al di là dei concetti di principio, quali l’annuncio di restare in politica quando aveva più volte sostenuto il contrario, il presidente ha messo insieme tanti elementi ammassati in modo disordinato, avviluppato e confuso per sostenere la propria leadership.
Passata l’emergenza, ha annunciato, si può pensare alla maratona da qui alla fine della legislatura in tutta serenità.
Beh, l’emergenza non è passata per nulla e la maratona potrebbe durare più di una legislatura, anche se lui non è mai stato eletto.
Nella storia delle Repubblica italiana non ricordo un presidente paragonabile a Conte, l’uomo che ha avuto la fortuna di diventare Presidente del Consiglio sbucando dal nulla, ma soprattutto riuscendo a mantenere la poltrona anche con il cambio di maggioranza.
È sua la singolare definizione del «post ideologismo» ideata per giustificare come si possa passare da un centrodestra a un centrosinistra. Le ideologie sono scomparse da tempo, ma la soluzione dei problemi ha inevitabilmente un’impostazione di destra o di sinistra.
Non vogliamo essere irriverenti nei confronti di Conte ma, a dir la verità, ricordo un momento storico in cui le ideologie erano messe in secondo piano: finita la Seconda guerra mondiale, il motto era «Viva la Francia, viva la Spagna, purché se magna».
E qualcuno ha fatto il suo nome come possibile prossimo Presidente della Repubblica…
Resta il fatto che, con o senza la guida ideologica, i problemi del paese - ben elencati dal presidente Mattarella nel discorso di ieri - rimangono insoluti e sono molti.
Ma non c’è solo Conte tra le persone che non hanno funzionato nel corso del 2019, anche se a lui spetta il primato.
A partire da Salvini, anzitutto perché si è legato con l'incognita Di Maio, per poi tentare il colpetto delle elezioni anticipate senza immaginare che potesse avvenire il matrimonio di interesse tra M5S e PD.
A seguire troviamo Luigi Di Maio, leader discusso di un movimento che ha poche idee e confuse. La sua ossessione contro i Benetton, la sua gioia per aver diminuito il numero dei parlamentari, il fallimento del vantato reddito di cittadinanza [«abbiamo sconfitto la povertà» - NdR]. Ma soprattutto la soddisfazione per aver tolto la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, dimenticando che in questa maniera si allungano all’inverosimile i tempi del processo. Chapeau! Solo voli pindarici.
In compenso, Di Maio non è riuscito a portare a casa nessun risultato utile. Il contratto con l’Ex Ilva, la situazione fallimentare della Popolare di Bari, l’emorragia dell’Alitalia.
E, infine, la sua singolare inattività da Ministro degli Esteri. Prima di lui c’era Moavero, di cui non si ricorda molto. Ora c’è Di Maio, di cui purtroppo qualcosa si ricorda.
Va aggiunto, da una parte, il fatto che la maggioranza è tenuta in piedi da partiti costretti a convivere per non perdere le prossime elezioni e, dall’altra, il fatto che l’attuariale vincitore potenziale Salvini è del tutto inadeguato ad affrontare la situazione del Paese.
Guardiamo la realtà dei fatti. Quando scoppiò la crisi dei mutui (in Europa il 2009), tutti i paesi occidentali si trovarono in ginocchio in egual misura, toccando il fondo nel 2013.
Da allora a oggi, però l’Italia è stato il paese che ha recuperato meno. Il prodotto lordo italiano è aumentato del 4%, un recupero di meno della metà di Grecia, Portogallo e Finlandia, a fronte di un recupero di Spagna e Giappone due volte e mezzo l’Italia, di Francia e Danimarca di tre volte tanto, di Germania oltre quattro volte tanto, di Gran Bretagna e negli Stati Uniti di più del quintuplo e in Svezia di più di sei volte.
Tutto questo perché anziché affrontare la situazione guardando avanti, abbiamo cercato di affrontare l’emergenza.
Ora ci troviamo in una situazione in cui l’emergenza sta per travolgere il Paese. La Popolare di Bari, l’acciaio, la compagnia di bandiera, le autostrade da rinazionalizzare.
La nostra attuale classe politica è del tutto inadeguata per affrontare questa situazione.
C’è bisogno di prendere la tovaglia politica dai quattro angoli e gettare tutto dalla finestra per incominciare da zero a tavolo sgombro.
Servono però due cose: un uomo all’altezza della situazione, che guardi davvero «alle future generazioni» e un sistema che gli consenta di governare.
Per dirla con un esempio di due parole, Mario Draghi sostenuto da un Paese compatto.
Se sul nome di Draghi pensiamo che non ci sarebbero obiezioni, sulla compattezza del Paese abbiamo i nostri riveriti dubbi.
G. de Mozzi