Luci e ombre sul referendum confermativo di ottobre

Non è per bontà di Renzi né per merito delle opposizioni se la modifica costituzionale sarà sottoposta a referendum confermativo: è un obbligo di legge

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Quando la Costituente Italiana giunse ad approvare la Costituzione italiana, decise che tutto era modificabile, tranne la forma repubblicana.
Ma poiché la possibilità di modificare lo Statuto Albertino con delle semplici leggi parlamentari aveva consentito a Benito Mussolini di aggiustarlo con troppa facilità, i padri costituenti vollero istituire delle procedure lunghe e complesse da seguire.
L’articolo che disciplina dettagliatamente il procedimento di modifiche costituzionali è il 138, che prevede che queste leggi debbano essere approvate da Camera e Senato con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi, e approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
Oggi la maggioranza assoluta si ottiene con 316 deputati e circa 161 senatori «nella seconda votazione».
Le leggi che modificano la Costituzione vanno sottoposte a referendum confermativo se proprio nella seconda votazione, in ognuno dei rami del Parlamento, i voti favorevoli sono inferiori ai due terzi dei componenti (oggi 420 deputati, 215 senatori).
Tali modifiche costituzionali vanno sottoposte a referendum confermativo anche e se «entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali».
 
La doppia votazione deve avvenire all'interno della stessa legislatura, pena la decadenza della prima approvazione.
Ovviamente, nel caso di modifiche apportate alla seconda approvazione, questa diventa la prima lettura e deve ottenere a sua volta una nuova approvazione non prima di tre mesi,
Se l’approvazione delle leggi a doppio turno è avvenuta con un minimo scarto, il referendum è obbligatorio per assicurare alle minoranze il diritto di chiedere al popolo un giudizio sulla riforma.
In Italia è accaduto due volte. La prima avvenne con la legge costituzionale n. 3/2001 di modifica del Titolo V della Costituzione, prima approvata nel corso della XIII legislatura a maggioranza assoluta (ma non qualificata) dalle Camere, poi confermata con referendum il 7 ottobre 2001 (64% di voti favorevoli; affluenza alle urne: 34,1%).
La seconda avvenne col disegno di legge costituzionale approvato nella XIV legislatura dalle Camere, anche stavolta a maggioranza assoluta ma non qualificata (le modifiche erano state votate dalla maggioranza di Berlusconi). Venne respinto col voto popolare (61% di voti contrari; affluenza alle urne: 52,3%) al referendum del 25-26 giugno 2006.
 
Quanto sopra mette in chiara luce alcuni aspetti fondamentali che accompagnano l’attuale situazione di modifica della Costituzione voluta da Renzi.
Il primo è che – con tutta evidenza – la maggioranza che ha approvato le modifiche costituzionali non era certamente qualificata. Basti pensare che per approvarle è stato necessario chiedere la fiducia.
Ergo, il referendum è obbligatorio. Non è quindi né per bontà di Renzi né per merito delle opposizioni se la modifica sarà sottoposta a referendum confermativo: è un obbligo di legge, punto.
Il secondo riguarda la posizione del presidente Renzi che ha deciso, in caso di bocciatura delle modifiche alla Costituzione, di ritirarsi dalla politica. Ci pare doverosa la sua posizione perché l’intera portante del suo governo sarebbe divenuta inutile.
Il terzo è che, con queste premesse, il Paese si troverà a decidere non tanto se le modifiche andranno bene o meno, ma se votare a favore o contro Matteo Renzi.
Il che, a nostro avviso, depone a favore del premier, perché la maggioranza che emergerà dal referendum non dovrà essere qualificata: basterà un solo voto a decidere le sorti della costituzione, del governo e della legislatura.
Se Berlusconi non riuscì a farsi approvare dal popolo italiano le modifiche è perché si trovava a essere leader di un partito conservatore, cioè che non ama i cambiamenti.
Renzi invece si trova leader di un partito – malgrado tutto – solido e compatto. E non conservatore per definizione.
 
A questo punto esprimiamo una nostra valutazione sulle modifiche volute da Renzi.
Noi siamo perfettamente d’accordo che andava cancellato il bicameralismo perfetto, ma non ci piace la fine che è stata riservata al Senato.
Non ci sembra una bella soluzione quella di cancellare le Province, perché i lavori che facevano questi enti locali qualcuno dovrà pur farli lo stesso. Era per ridurre il numero delle prefetture?
Anche la riduzione del potere alle regioni ci lascia perplessi. Sicuramente c’erano molte incongruenze, soprattutto nei rapporti regolati parte dallo Stato e parte dalle Regioni. Ma secondo noi – sia pur riducendo le competenze – si sarebbe dovuto procedere a una maggiore autonomia gestionale.
Le province e le regioni autonome del Nord hanno dimostrato che il sistema del controllo budgettario locale ha funzionato molto meglio dello Stato accentratore.
Ciò premesso, siamo del parere che una cattiva riforma sia meglio di una riforma mancata.
Auguriamo al Paese di riuscire a fare questo importante cambio di rotta. Col tempo e con l’esperienza riusciremo a migliorare anche ciò che a priori ci pare incongruente.
 
G. de Mozzi