«I Mocheni sono veneti», parola di Sergio Rizzo
La visione di un giornalista che sembra davvero quella di «un uomo d’altri tempi»
Avevamo preso forse un po’ troppo alla leggera l’articolo di fondo pubblicato giovedì scorso dal Corriere della Sera a firma di Sergio Rizzo intitolato «Le mani bucate delle regioni».
Confermiamo che secondo noi andava preso alla leggera per via della leggerezza con cui il collega affrontava e proponeva di risolvere problemi più grandi di lui.
La logica aritmetica con cui affrontava la lievitazione della spesa delle regioni era semplicistica al punto che secondo noi non avrebbe dovuto essere espressa nella posizione più importante del Corriere della sera.
Come avevamo scritto commentando il documentario su De Gasperi andato in onda su rai Tre (vedi), si trattava di un articolo balneare, niente di serio.
A ben vedere, sia pure col senno di poi, l'articolo di fondo sul Corriere è mille volte più inquietante delle battute del Ministro Calderoli che, quand’era ministro, prima per le Riforme Istituzionali e poi per la Semplificazione Normativa, si era scandalizzato proprio con la Provincia autonoma di Trento, avendo scambiato fischi per fiaschi.
I nostri lettori lo ricorderanno. Quando il Governo sdoganò la somma di oltre un miliardo (peraltro in 90 comodissime rate) dovuto alla Provincia autonoma di Trento come arretrati contabilizzati fino al 2005 [allora era tre anni prima – NdR], il Ministro gridò allo scandalo, dicendo che era «ora di finirla con questi privilegi».
Un classico popolare: il debitore, alla lunga si scandalizza perché il creditore vuole i suoi soldi…
Ma Calderoli era solo un ministro e quindi per definizione non un tecnico.
Sergio Rizzo, invece, è un collega giornalista: la gente per definizione gli crede.
Fermo restando l’ossimoro della leggerezza di un articolo di fondo del Corriere, la pesantezza dei contenuti è uscita l’indomani per mano dei colleghi di Rizzo in forza al Corriere del Trentino. I quali hanno doverosamente approfondito la questione.
Ed è stato qui che la visione del collega del Corriere è sembrata quella di un uomo d’altri tempi (la citazione del documentario di De Gasperi è voluta).
Non vogliamo riprendere tutta l’intervista, che la nostra collega di Trento ha svolto molto bene, ma alcune risposte meritano di essere citate.
In buona sostanza, secondo Rizzo, le regioni e le province a statuto speciale dovrebbero essere abolite. Naturalmente aggiunge che è una provocazione, anche se non comprendiamo che cosa volesse ottenere con questo attacco.
Secondo lui solo l’Alto Adige avrebbe ragione di restare in piedi, trattandosi di «un pezzo d’Austria».
I Trentini invece non hanno diritto ad alcuna autonomia, dato che sostanzialmente sono veneti.
Il Friuli non ha senso perché è caduta la Cortina di ferro.
La Val d’Aosta non dovrebbe essere neppure una regione (è troppo piccola).
(Sorvola volutamente su Sicilia e Sardegna).
Non vorremmo contraddire le motivazioni addotte, ma l’idea che il Friuli, dopo essere stata devastata da servitù militari per decenni (molti fiumi hanno tuttora guadi anziché ponti, per motivi strategici), debba essere privata dall’autonomia, ci sembra di un egoismo incredibile.
Che i Trentini siano veneti è possibile, ma la storia non pare d’accordo. Il nostro secolare Principato vescovile è resistito fino a Napoleone perché faceva comodo a papi e imperatori uno stato cuscinetto non schierato per definizone. Il Concilio di Trento si svolse qui proprio perché non era considerato Italia. Né Germania. A parte tutto, ci piacerebbe spiegare che i dialetti cambiano in Trentino valle per valle, a volte paese per paese. Provate dirlo voi ai Mocheni che in realtà sono dei Veneti?
Nel corso della Grande Guerra, il Trentino ha perso 11.400 soldati che hanno dovuto combattere per l’Impero Austro Ungarico e ne ha persi un migliaio perché hanno voluto combattere per l’Italia. A quasi un secolo dalla Grande Guerra, finalmente tutti i nostri morti stanno diventando uguali...
Sulla val d’Aosta, che dire? Che c’entrano le dimensioni? Ed è con questo spunto che passiamo alle conclusioni.
A Rizzo piacerebbe «una sanità uguale in tutta l’Italia», questa è la sua visione.
Quando una quarantina d’anni fa vennero costituite le regioni in Italia, ricordo che i partiti di destra avevano combattuto fino alla fine per impedirlo. La logica che aveva portato il Paese verso questo primo decentramento era proprio quella che dalla Vetta d’Italia a Capo Passero la realtà cambiava in maniera esponenziale.
Ma quello che pochi hanno ancora cominciato a capire è che le regioni a statuto ordinario sono solo degli uffici decentrati del governo centrale, perché non vivono un una gestione sottoposta al sistema del controllo budgettario. Ci spieghiamo.
A Trentino, Friuli, Val d’Aosta viene dato un budget annuale, proveniente dal ritorno in termini percentuali del gettito fiscale locale. Qualsiasi spesa che vogliano intraprendere la fanno solo se possono farla, perché oltre a quella cifra non si può andare. Punto.
Le competenze derivanti da queste autonomie sono state acquisite negli anni, man mano che gli organi amministrativi hanno preso a funzionare all'interno dei propri budget.
Insomma, se le amministrazioni locali autonome stanno andando bene è perché «hanno lavorato sul proprio». Un esempio per tutti. Quando dieci anni fa lo Stato demandò alle amministrazioni regionali l’onere di stabilire il grado di invalidità dei richiedenti queste indennità, il numero di invalidi si è decuplicato. Nelle regioni e province autonome invece no. Perché?
Ma perché a stabilire gli aventi diritto e a pagare le indennità era la stessa Amministrazione.
Noi riteniamo che per almeno la metà delle regioni italiane l’autonomia da una parte costerebbe molto meno allo Stato e dall'altra aumenterebbe il benessere grazie al miglioramento della spesa e al miglior funzionamento della pubblica amministrazione.
L’autonomia è da esportare, caro Rizzo, non da soffocare. Va negoziata regione per regione, e conclusa con un nuovo impianto costituzionale.
La demagogia antistorica dell'accentramento funzionale porterebbe semplicemente all’antica visione degli anni Settanta: non potendo dare a tutti lo stesso benessere, diamo a tutti gli stessi disagi.
Guido de Mozzi
[email protected]