Quando la politica si eleva e diventa... letteratura
Scene da «Paralipomeni della Batracomiomachia», i capponi dell’Azzeccagarbugli, le Baruffe Chiozzotte… e chi più ne ha, più ne metta
Forse suona irriverente citare il fiore della letteratura italiana per descrivere i comportamenti dei nostri politicanti che, a un mese e mezzo dalle elezioni, invece che enunciare programmi lanciano strali agli avversari.
Giacomo Leopardi aveva iniziato nel 1831 a scrivere un ampio poemetto satirico in ottave durante il suo soggiorno napoletano. Si intitolava «Paralipomeni della Batracomiomachia»
l poemetto leopardiano discute, sotto veste favolistica, gli avvenimenti politici del 1820-21 e il fallimento dei moti rivoluzionari, satireggiando austriaci (rappresentati dai granchi, alleati delle rane), Borbone (rane), e gli insorti liberali napoletani (i topi).
Il Manzoni aveva inserito nei Promessi Sposi quelli che nel cinema si chiamano «fegatelli, consistenti in piccole scene, brevi pezzi di raccordo in un film per dare soluzione di continuità o arricchire scene noiose o scontate.
Qui ricordiamo i «Capponi di Renzo» quando andò dall’Azzeccagarbugli per chiedere aiuto. Per ingraziarsi il legale, gli aveva portato due capponi vivi. I quali, anziché mettersi d’accordo per scappare e non finire in padella, si beccavano tra di loro.
Passiamo alla lingua veneta? Il Goldoni aveva scritto un poema intero intitolato «Le baruffe chiozzotte» per dare simpatia a schermaglie che in lingua italiana non avrebbero divertito: sarebbero divenuti, diciamo, sketch politici…
Bene, ciò premesso, dedichiamo il tutto a Campobase e Lega che, anziché parlare dei propri programmi, stanno accusandosi a vicenda sulla storia degli orsi.
Se non vogliamo scomodare la letteratura, citiamo la Talpa, il nostro Satiro, che nei periodi elettorali si trova sempre costretto ad avvisare i lettori di non ascoltare i politici: «Potreste pensare di essere le persone più intelligenti di questo mondo!»