In politica il pareggio non è una opzione – Di Cesare Scotoni

Giorgia Meloni ha compreso con brutalità l’inconsistenza cui si è ridotto il Paese sul piano internazionale con l’uscita di scena di Draghi

Il Governo Meloni ha ricevuto la fiducia a fine ottobre 2022. Proprio a ridosso della presentazione in Europa della Legge Finanziaria costruita dal Governo Draghi.
Quel Governo, dimessosi pur avendo una maggioranza parlamentare ampia e solo per offrire al Paese l’opportunità di avere finalmente una Maggioranza Politica con cui tornare a dire qualcosa sul piano internazionale, dopo i troppi equivoci seguiti all’incarico dato da Sergio Mattarella al dottor Cottarelli nel 2018.
Ora son passati 6 mesi da quella Fiducia Parlamentare ed è scontato che, un po’ tutti, si cominci a crearsi una opinione su come questo Governo si muova e su come vadano ad assestarsi gli equilibri di maggioranza.
Anche perché, le tanto attese nomine pubbliche che si concretizzeranno entro giugno, non potranno essere solo una cartina tornasole dei rapporti di forza nell’ambito di quella maggioranza politica.
 
Essendo chiarissimo a tutti quanto abbia pesato sulla formazione di questo esecutivo, l’ipoteca Draghi sulla nomina dal primo ottobre 2023 a Segretario Generale della NATO, nomina per la quale si attende l’indicazione di Washington a luglio 2023 ed il sostegno di Roma a quella scelta.
Cosa si percepisce dunque oggi dalle tante increspature di una maggioranza che appare solidissima anche grazie alla incapacità delle tante «quasi opposizioni» di proporsi dopo lo scempio offerto al Paese nei 30 mesi iniziati a febbraio 2020?
Che la Lega ha meno difficoltà di altri al proprio interno, che quella calma che in Forza Italia ha fatto seguito alla sostituzione del capogruppo Cattaneo è e resta una tregua, che lo scontro tutto romano centrico in Fratelli d’Italia c’è ed è meno trascurabile di come appaia sulla stampa, che per la parte “centrista” della Maggioranza, in attesa di rinforzarsi ora, con l’arrivo di Elly Schlein nel PD e sul previsto spiaggiare dell’alleanza socialdemocratica tra Renzi e Calenda, vi è netta la consapevolezza che serve un passo in più in vista della scadenza delle Elezioni Europee 2024. Tutto questo si “respira”.
Con un ombelico del confronto tutto romano, in un panorama dove l’appartenenza da sola forse non è più sufficiente per molti ad incidere.
 
Giorgia Meloni ha compreso con brutalità l’inconsistenza cui si è ridotto il Paese sul piano internazionale e la determinazione di tanti tra gli «Alleati di sempre» a mantenere l’Italia in quella condizione di Minorità, figlia dei passaggi del 2010 e 2011.
Passaggi che non hanno fatto e non fanno onore a molti dei protagonisti in uscita che ora bisogna avere il Coraggio e la Forza di accompagnare sollecitamente a fare altro.
La concomitanza delle Elezioni Europee del 2024, lo schiantarsi delle ambizioni tedesche e la debolezza di Macron a casa sua, la Polonia che diviene il riferimento della NATO ad Est ed il ruolo dell’Ungheria di Orban offriranno sicuramente degli spazi importanti al Governo Meloni sulla Finanziaria 2024 che si imposterà da settembre, ma forse quello richiederà una Discontinuità più netta con l’eredità ricevuta lo scorso anno.
 
Su cosa dare corpo a quella Discontinuità? A pensar male la leva potrebbero essere i modi che hanno consentito di prorogare l’emergenza di Protezione Civile oltre il luglio 2020, quando le troppe e ripetute “anomalie” sulla gestione dei dati forniti al Parlamento ed alla Presidenza della Repubblica possono aver inficiato il processo di Decretazione d’Urgenza.
D’altronde, la scelta più recente di individuare nello strumento dello Stato di Emergenza per Protezione Civile anche sulla gestione dei clandestini in arrivo ha fatto comprendere, a tutti coloro che dovevano comprenderlo, che l’uso strumentale dell’Emergenza ora è divenuto, grazie al Governo Conte II, uno strumento ordinario nell’armamentario di ogni Governo.
Con buona pace di chi ne ha abusato e di chi ne biasimava l’abuso, prima delle elezioni di settembre 2022.
 
Si potrebbe dare per certo come, sia con il consolidato ricorso al «promoveatur ut amoveatur», ovvero con il cercare lo scontro strada facendo su cose piccole per parlarsi meglio, oppure già sui movimenti che seguiranno a luglio l’approdo o il non approdo di Mario Draghi al Quartier Generale della NATO a Bruxelles, quella Discontinuità nelle Politiche si concretizzerà ancor prima di quella discontinuità negli Uomini cui molti cominciano a sperare.
Anche perché il tempo e lo spazio per agire son, giorno dopo giorno, sempre meno e, con la nomina di un ambasciatore USA a Roma, da oltre Atlantico ci chiamano in partita.
Una di quelle dove «il Pareggiare Non è un’Opzione».

Cesare Scotoni