Nella politica italiana non si sa né vincere, né perdere

Stiamo assistendo al triste declino di Berlusconi, vincente, e a una uscita decadente dalla scena politica di Letta, sconfitto

È sempre triste osservare come i nostri politici non sappiano né vincere né perdere.
Ci riferiamo a due massimi leader, Silvio Berlusconi e Enrico Letta.
Il primo ha vinto le elezioni, il secondo le ha perdute. Entrambi hanno cominciato la loro nuova legislatura male, molto male.
Berlusconi ha messo in luce i propri difetti, che pensavamo appartenessero al Berlusconi di 20 anni fa.
Dispotico, onnipotente, nepotista, ha sempre pensato di essere il Grande Capo anche nei momenti di inferiorità.
 
Vent’anni fa sembrava che con lui la Seconda Repubblica potesse portare un nuovo corso all’Italia. Bisogna dire che non ha avuto la vita facile in politica, trovandosi contro nientemeno che la Magistratura e i presidenti della Repubblica Scalfaro e Napolitano. Il primo era riuscito a farlo abbandonare dalla lega, il secondo lo ha fatto dimettere affinché cedesse il posto a Mario Monti.
Berlusconi però è sempre risorto, come ha fatto anche stavolta. È un uomo fuori classe, certamente sopra la media, ma è anche il simbolo del capitalismo che le sinistre vogliono combattere.
Insomma, all’età di 86 anni è tornato al potere entrando dalla porta di quel Senato che (arbitrariamente) lo aveva buttato fuori dalla finestra.
 
E invece, con la sua solita mania di collocare amici e parenti nei posti chiave della politica, come se in questo modo potesse dominare il Paese, gratificando persone che di politico avevano poco o nulla, si è scontrato con chi ha vinto effettivamente le elezioni, Giorgia Meloni.
La quale ha voluto andare avanti per la sua strada, costi quel che costi.
Al momento non sappiamo ancora come procederà la legislatura. Ma lo sapremo ben presto, cioè quando i partiti dovranno recarsi al Quirinale per le consultazioni di rito. Vedremo se Berlusconi salirà al Colle da solo o insieme a Meloni e Salvini. Se andrà da solo, ha chiuso.
E sarebbe un peccato, perché la gente lo ricorderà per quest’ultima lite insensata dimenticando quello che ha fatto per il paese.
 
Passando a Enrico Letta, ecco un altro leader di partito che se ne uscirà dalla scena malamente.
Venne incaricato a formare il governo nel 2013, esperienza che durò meno di un anno, quando Renzi lo cacciò perché incapace.
Lui la prese male, si dimise anche da parlamentare e andò in Francia a insegnare all’università.
Poi il PD entrò in crisi con le dimissioni di Zingaretti dalla segreteria e il partito chiamò Letta alla direzione. Lui accettò, ponendo la sola condizione di avere «carta bianca».
Gli fu data carta bianca, ma non ci pare che se ne sia servito. In realtà era rimasto come quando lasciò l’Italia.
Ha condotto una campagna elettorale inutile, se non dannosa, che fece perdere ulteriormente il PD. Annunciò le sue dimissioni, che diventeranno operative quando si farà il congresso a marzo.
 
Tra le battute scellerate tenute in campagna elettorale, ricordiamo quando chiese aiuto al cancelliere tedesco Scholz. Lo fece a discapito dell’Italia, allarmando l’Europa di possibili - e improbabili - svolte autoritarie.
Ma non ha smesso di parlare troppo e male. Ha criticato a Berlino l’elezione di Ignazio La Russa al Senato e di Lorenzo Fontana alla Camera con un linguaggio da bar: «I due presidenti sono stati eletti con una logica incendiaria».
Che dovesse fare una opposizione dura, lo sapevamo, ma che dovesse farla offendendo le istituzioni all'estero, è inaccettabile. Si è dimostrato antidemocratito. E, per essere leader di un partito che ha il democratico nel nome, è andato ampiamente fuori carreggiata.
La Meloni ha replicato invitandolo a scusarsi, ma non c’è stata risposta.
Infine, non sappiamo se Letta abbia espresso la propria solidarietà a La Russa minacciato dalle Brigate Rosse.
 
Insomma, questa legislatura ci sta portando molte novità, tali da far pensare a una Terza Repubblica.
O quantomeno a un passaggio generazionale.
Ci spiace che ancora una volta non siamo riusciti ad assistere a qualcuno che sa perdere, né a qualcuno che sa vincere.

GdM