Monzini: l’associazione desiderio sessuale e acquisto di servizi è spontanea

La storia vera di Wendy, la schiava della prostituzione. - Molte le domande a cui non è sempre facile dare una risposta. Tra inganni e rassegnazione, la vittima paga un prezzo alto e amaro

Sul palco, due donne sicure, energiche, si apprestano ad affrontare il complesso tema della prostituzione. E nel farlo, partono da una storia di vita vera. Hanno il sorriso sulle labbra, sebbene l'argomento sia, oltre che delicato, triste e spesso aberrante. Come chi vuole raccontare storie di cui non si parla mai abbastanza. Un tema che, usando le parole delle due donne, «ci riguarda molto da vicino». L'interazione col pubblico è subito annunciata. Il dialogo è lo strumento scelto: domande e risposte caratterizzano l'incontro. Le due donne sono Roberta Carlini, giornalista, e la relatrice Paola Monzini.

Una sua breve presentazione è d'obbligo: ricercatrice sociale, ha conseguito il dottorato in Scienze sociali presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Ha lavorato come ricercatrice per l'UNICRI (United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute) e come consulente per la Dia (Direzione investigativa antimafia). Scrive papers e libri che affrontano il tema della criminalità, tratta e sfruttamento delle donne. Dopo «Il mercato delle donne», edito da Donzelli, scrive «Il mio nome non è Wendy».

È proprio l'ultimo libro dell'autrice a suggerire le prime domande alla giornalista. «Il mio nome non è Wendy» (tradotto in inglese dalla Zed Books col titolo «Sex Traffic») è l'autobiografia di una prostituta nigeriana. Roberta Carlini, ricordando alcuni passi del libro, racconta: «la sua è una storia di sfruttamento, che ripercorre tutte le fasi della vita, dall'infanzia all'adolescenza fino alla maturità di oggi. Nella storia di Wendy sono riassunti grandi temi, che non perdono mai la loro attualità, in primis quello dello sfruttamento della prostituzione e della riduzione in schiavitù». Nel dire questo, si riallaccia al tema del divario tra ricchezza e povertà, che come Roberta Carlini ammonisce, «non sempre basta a spiegare la disparità tra i paesi sviluppati e l'Africa».

Tante, dunque, le contraddizioni. Che non riguardano solo il continente africano, ma si estendono a livello globale. Paola Monzini osserva come sia facile fare delle generalizzazioni sulla prostituzione, e afferma che «nel mercato globale della prostituzione, esistono diverse condizioni di vita, e così diversi livelli di gerarchia; ad esempio è differente la condizione di chi è prostituta nella strada e chi non lo è».
Roberta Carlini pone la prima questione relativa ad un punto cruciale (i clienti delle prostitute) e domanda: «E' dunque vero che senza la domanda non esisterebbe il fenomeno? Perché, nonostante le rivoluzioni di costume e la proclamata libertà sessuale, esistono ancora i clienti in questo triste mercato?».
Paola Monzini ha detto che a questa domanda non sa rispondere. Ma ha risposto sui clienti con una provocazione: «In Italia si stima che ci siano 9 milioni di uomini, e il 70% di questi ha una situazione stabile in famiglia, e appartengono a ceti sociali differenti, magari anche con un livello di istruzione elevata».
Secondo Paola Monzini «è quasi spontaneo fare l'associazione tra desiderio sessuale e acquisto di beni e servizi. E i nuovi mezzi di comunicazione sono di grande supporto nell'avvicinare domanda ed offerta. Internet, infatti, consente un incontro confidente e raggiunge persone anche molto distanti fisicamente».

La giornalista Roberta Carlini fa un'autocritica rivolgendola alla sua categoria. «Troppo spesso abusiamo della parola schiavitù. Ma quando è corretto parlare di riduzione in schiavitù nel 2007?
Paola Monzini non esita a precisare che è diverso parlare di una schiava oppure di una prostituta. «La schiavitù ha come precondizione necessaria lo stato di mancanza di diritti, lo sradicamento sociale, quindi la tratta. Inoltre alla base del rapporto di schiavitù vi è un ricatto di tipo economico oltre che morale. La donna che ne è vittima, si sente in dovere di risarcire. Si crea un meccanismo di trappola dalla quale è difficile uscire.»
Si è detto che i fenomeno della prostituzione conosce un'estensione globale. Quanto accade alla donne nigeriane, vale anche per le donne dell'Europa dell'Est. La domanda di Roberta Carlini è tempestiva. «Esistono dei fili conduttori tra le reti criminali nei diversi continenti?»
La relatrice argomenta dicendo che «nel contesto africano, il fattore debito è di grande rilevanza. Prima della partenza si stringe un vero e proprio contratto tra la famiglia e l'organizzazione. Nel caso delle famiglie più abbienti, il contratto è addirittura scritto». Nella stipulazione dell'increscioso contratto, l'inganno celato è un debito molto più alto di quello che la vittima e la sua famiglia immaginano. Come rimarca Paola Ronzini, «La scelta non è quasi mai autonoma, ma è della famiglia. Le ragioni sono quelle della sopravvivenza o della speranza di una vita migliore».

L'interrogativo di uno spettatore stimola lo sviluppo di un profilo ulteriore. «La rete criminale che gestisce questo terribile rapporto di schiavitù, vede coinvolte anche donne?»
«Ebbene sì», spiega con amarezza la Monzini, «le schiave che si arricchiscono, alimentano e gestiscono poi il mercato della schiavitù a loro volta; diventano donne vincenti e invidiate. Mentre, le perdenti, ovverosia quelle che se riescono ad uscirne ne escono a pezzi, preferiscono nascondersi. Non vogliono raccontare la loro dolorosa esperienza nemmeno alla famiglia, per non dover condividerne la sofferenza. E allora preferiscono mentire ed ingannare loro stesse di non aver mai vissuto un tale incubo».

Ma cosa accade in Europa? Quali sono i meccanismi di scambio? Paola Monzini parla di una minore predeterminazione e piuttosto di un passaggio continuo da uno sfruttatore all'altro, una volta raggiunto il paese di destinazione. E prosegue: «Spesso si verifica lo sconcertante meccanismo dell'asta, che psicologicamente azzera la capacità di reazione della vittima».

In conclusione, si tocca il tema della prostituzione per scelta. Da ciò la provocazione della Carlini. «E' possibile parlare di una prostituzione "libera"? Fino a che punto è preferibile un approccio proibizionista o abolizionista?».
Alcune domande del pubblico si inseriscono nel dibattito finale. La Monzini suggerisce come l'approccio abolizionista sia certamente da favorire, e punta all'intensificazione dei rapporti di cooperazione tra magistratura, forza pubblica e amministrazioni locali. «Si guardi all'esempio di realtà come quella veneziana. Le politiche locali devono necessariamente occuparsi del fenomeno, poiché è innegabile che si tratti di una questione che non si può far finta di non vedere».

Dunque, potenziamento dei rapporti di cooperazione giudiziaria e di polizia, oltre che espressamente amministrativa, coerentemente con una corretta campagna informativa che vada nella direzione di limitare la diffusione dello scambio. Un'informazione che, citando le parole della Monzini, «spieghi al cliente chi c'è dietro quella figura triste che aspetta il suo prossimo carnefice, nuda e infreddolita in una notte di pieno inverno».