Profughi, il dolore dei nuovi arrivati in Trentino
Sara Ferrari: «Hanno vissuto una tragedia, cerchiamo di garantire la massima protezione ma soprattutto serenità»
Sono sfuggiti alla morte nel Mediterraneo ma hanno visto il mare inghiottire i loro affetti. Sono arrivati in Trentino praticamente senza nulla, se non il dolore che li accompagnerà a lungo o, più probabilmente, per tutta la vita.
I quaranta profughi giunti ieri al Campo della Protezione civile di Marco di Rovereto viaggiavano fianco a fianco con i migranti che hanno perso la vita nella più recente tragedia dei cosiddetti «viaggi della speranza».
Lunedì – lo ricordiamo – il capovolgimento di una barca a due piani a circa centoventi chilometri a sud di Lampedusa. Centoquarantacinque persone sono state salvate e otto corpi sono stati recuperati, ma altre quattrocento persone sarebbero disperse.
Nelle parole dei sopravvissuti accolti a Marco il toccante racconto della tragedia in mare, su una barca priva di mezzi di orientamento (condotta da un comandante improvvisato addestrato dai trafficanti) che accoglieva circa settecento persone, oltre il doppio della capienza consentita.
Il dramma si è consumato in pochi secondi: l'acqua imbarcata e il sovraffollamento (numerosi profughi, fra i quali molte donne, viaggiavano anche nel vano motore) hanno fatto capovolgere lo scafo.
In acqua, le tante donne e i tanti bambini a bordo, mogli, figli, hanno perso la vita davanti agli occhi dei loro congiunti.
Ma la loro sofferenza era cominciata già in Libia, dove i trafficanti e le milizie avevano rinchiuso i migranti in un magazzino lasciandoli senza cibo; chi si rifiutava di entrare veniva freddato dai proiettili degli aguzzini.
Un soggiorno infernale che ha preceduto un viaggio di morte al prezzo di mille dollari a persona e partenza di notte, navigando a vista.
In base alle testimonianze raccolte sinora, sono un centinaio i nominativi delle persone morte in mare raccolti fra i profughi accolti a Marco. Questi nomi verranno trasmessi all'Oim, l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, che avrà a sua volta il compito di comunicarli ai famigliari rimasti in patria, che chiedono con apprensione notizie dei loro cari. Intanto gli operatori presenti per il Cinformi e per la Protezione Civile a Marco (medici e psicologi volontari della Croce Rossa e degli Psicologi per i Popoli e operatori di Astalli, Punto d'Approdo e cooperativa Mircoop) stanno offrendo sostegno e calore umano a chi ha assistito alla distruzione della propria famiglia.
Di fronte alla terribile esperienza provata da questi migranti, l'assessora provinciale alla Salute e Solidarietà sociale sottolinea l'importanza di creare le condizioni per un positivo clima di accoglienza.
«Sono persone – afferma l'assessora – che hanno vissuto una tragedia di vaste proporzioni. Si sono salvate dalle acque del Mediterraneo ma molte di loro in mare hanno perso famigliari, amici e compagni di viaggio.
«Sono, peraltro, migranti che già presentavano, ancor prima di partire, una particolare fragilità: hanno subito guerre, violenze e persecuzioni; poi hanno vissuto il distacco dal loro Paese di origine e quindi la partenza forzata dalla Libia.
«In mare hanno visto la morte in faccia e sono arrivati qui fra l'altro senza scarpe e con i soli vestiti che avevano addosso ma, soprattutto, senza più la forza anche solo di accennare un sorriso.
«Mai come in questo caso dobbiamo garantire loro non solo la massima protezione, ma cercare anche di creare le condizioni per una permanenza il più serena possibile nella nostra comunità. La rete dell'accoglienza in queste ore è fortemente impegnata, fra l'altro, nel cercare di ricostruire le loro relazioni familiari.
«Un'operazione che in alcuni casi si rivela straziante di fronte all'accertamento della scomparsa in mare di persone care. E' quindi fondamentale, soprattutto in questa fase e comunque la si pensi sull'accoglienza, mettere da parte ogni polemica e comprendere la situazione che i profughi stanno attraversando.
«Ciò nella consapevolezza che l'impegno delle istituzioni e del terzo settore, ma più in generale dell'intera comunità, anche se non potrà restituire a questi migranti gli affetti perduti potrà comunque accoglierli innanzitutto – prima ancora che come profughi – come persone e manifestare un unanime rispetto per il loro vissuto, le loro speranze e il loro dolore.»