Il mio Canale di Suez – Di Luciana Grillo
La nave su cui sto navigando impiega un’intera giornata per arrivare nel Mediterraneo: procede lentamente, come in corteo, preceduta e seguita da altre navi
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C’era una volta l’istmo di Suez che chiudeva il Mediterraneo e obbligava le imbarcazioni che dovevano raggiungere l’Oriente a circumnavigare l’Africa.
Per rendere più veloci i viaggi, si studiò la possibilità di tagliare l’istmo – come era già accaduto a Corinto – e di creare un canale che dal Mediterraneo andasse verso il Mar Rosso, e viceversa.
Al centro del territorio si apriva il Grande lago Amaro, dunque si progettò di creare due canali collegati al lago, in modo da avere una via d’acqua tra Europa e Asia.
In realtà pare che un canale fosse già stato scavato al tempo di Ramsete II, nel 1300 a.C. Si dice che però le piene del Nilo e la sabbia che arrivava dal deserto lo avessero colmato dopo breve tempo.
Altri faraoni tentarono di realizzarne uno, ad esempio Nakao nel 600 a.C., che si servì anche dell’aiuto dei Fenici, ben noti come grandi navigatori.
Sicuramente fu il re persiano Dario I a realizzare il canale che nei secoli successivi fu più volte modificato.
Al tempo di Cleopatra pare che il canale fosse ostruito da detriti e dunque non più navigabile.
L’imperatore Traiano lo fece riaprire, lo chiamò Amnis Traianus, e anche gli Arabi, nel VII secolo d.C., ne curarono la manutenzione per favorire le comunicazioni.
È stata la sabbia, insieme al famoso limo del Nilo, la grande nemica del canale che comunque è stato utilizzato successivamente da turchi e portoghesi.
Poi la via d’acqua rimase inutilizzata, fin quando in Egitto arrivò Napoleone che avrebbe voluto una riutilizzazione del canale, ma pare che furono proprio i tecnici al suo seguito a scoraggiarlo, sostenendo che dal canale riaperto l’acqua, scendendo a un livello più basso, avrebbe inondato l’Egitto e scombussolato persino il mar Mediterraneo.
Verso la metà del 1800, il cancelliere austriaco Metternich costituì un gruppo di esperti, tra cui l’ingegnere trentino Negrelli (le cronache del tempo lo definiscono «tirolese» perché suddito dell’impero Austro-ungarico) che studiò la situazione, fece complicati calcoli e presentò infine i piani tecnici per un’opera ciclopica.
Furono i Francesi, però, a fondare la «Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez» con l’appoggio del Viceré d’Egitto Mohammed Said e a realizzare il canale, a cui si opponeva fieramente la Gran Bretagna.
L’inaugurazione avvenne il 17 novembre 1869, il traffico marittimo aumentò subito e la Gran Bretagna, con una politica accorta, riuscì ad impossessarsi di gran parte delle azioni, per cui dal 1878 si assicurò il controllo della Compagnia e del canale.
Lungo più di 160 chilometri, diventati 193 dopo i lavori di ampliamento del 2010, oggi il canale permette il transito di navi con portata massima di 150.000 tonnellate.
Non ci sono chiuse, come nel canale di Panama, perché il livello fra il mar Rosso e il Mediterraneo è lo stesso.
Oggi la proprietà è egiziana.
La nave su cui sto navigando impiega un’intera giornata per arrivare nel Mediterraneo: procede lentamente, come in corteo, preceduta e seguita da navi e portacontainers.
Anche ora che il canale è stato ampliato, in alcuni tratti si procede a senso unico alternato.
Avanzando da sud verso nord, a sinistra il paesaggio è verde, ci sono terreni coltivati e palmeti, poiché siamo sul delta del Nilo; a destra, invece, deserto, postazioni militari, lunghe strisce di terre disabitate, infine scopro una nuova città (cinque anni fa forse non c’era) dove le moschee – costruite in luoghi ampi e isolati – si alternano a lunghe file di grattacieli tutti uguali.
Non mi sembra di vedere anima viva, mi pare una città fantasma.
Sull’acqua, intorno alle grandi navi, si muovono barchini di pescatori o minitraghetti che congiungono le due sponde.
Rivedo il canale di Corinto, stretto fra rocce alte e scoscese, dove sembrano aleggiare antichi miti, e il canale di Panama, bloccato dalle chiuse, che improvvisamente si allarga nel lago Gatùn: la vegetazione sulle rive è fitta e curata, in lontananza si vede la città di Panama, paradiso fiscale per molti, con grattacieli avveniristici e luci intense.
Il canale di Suez ha un che di malinconico, la penisola del Sinai ricorda guerre non troppo lontane, il colore dell’acqua è lo stesso del deserto.
Luciana Grillo – [email protected]
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