Un viaggio in Arabia/ 4 – Di Luciana Grillo

Si visita Hegra, una «Petra» saudita, quella descritta da Lawrence d’Arabia che nel deserto circostante ha combattuto contro i turchi

Puntata precedente.
 
Tornati a Jeddah in nottata, sbarchiamo abbastanza presto per andare all’aeroporto e imbarcarci per Al Ula.
L’aeroporto di Jeddah è grande, ben organizzato, ma non offre alcun collegamento wi-fi. Arrivati ad Al Ula, nel piccolo aeroporto il collegamento wi fi free invece è immediato.
Finalmente, mentre usciamo in fila indiana, scrupolosamente divisi (maschi da una parte, femmine dall’altra), WhatsApp mi rimette in contatto con il mio mondo!
 
Ho letto sul programma delle escursioni di cosa si tratta, sono molto curiosa, si parla di Hegra, una «Petra» saudita, forse descritta da Lawrence d’Arabia che lì intorno, nel cuore del deserto, ha combattuto contro i turchi.
La località è anche conosciuta come Mada’in Salih, cioè la città del profeta Salih, che è citato nel Corano. È il sito archeologico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2008, il primo dell’Arabia.
 

 
Ci arriviamo in pullman, percorrendo una strada disegnata nel deserto rosso. Il cielo è di un azzurro abbagliante, ma quando scendiamo ci rendiamo conto che l’aria è abbastanza fresca.
D’altra parte, in gennaio è inverno anche in Arabia! Camminiamo su terreno sabbioso, sconnesso; le scarpe si riempiono di sabbia… poi, davanti ai nostri occhi, si stagliano dei monoliti rocciosi, imponenti, nei quali - come a Petra - sono scavate le tombe.
Tante, ancora in attesa di essere sistemate perché i turisti possano entrarvi, affascinanti, ieratiche, distanti l’una dall’altra (dunque, non una città come Petra, ma un’area di circa 14 km che ospita più di 100 tombe, alcune singole, altre collettive).
 
La guida, poco loquace, spiega – e il bravissimo Andrea traduce – che questo era un luogo di confino per i miscredenti, forse un luogo maledetto da dio.
È probabile che poco lontano si trovi la città dei vivi, si dice che fosse la città più importante dei Nabatei dopo Petra, ma ancora la sabbia del deserto copre tutto.
Sicuramente Hegra era abitata dai Nabatei, forse dal 100 a.C. al 100 d.C… non ci vengono forniti dati più precisi, come se gli studi e le ricerche, ancora in corso, non avessero rivelato di più.
 

 
Si racconta che Hegra fosse il grande mercato dei beduini nel I e II secolo d.C. e che il dominio romano sia finito al tempo di Traiano.
La tomba più imponente è quella di Liyan, figlio di Kuza, o di Alfareed, un ricco mercante.
Questo sito affascina perché è ancora misterioso, perché siamo praticamente gli unici esseri viventi presenti, perché i colori sono forti, perché il vento muove la sabbia e mi fa pensare che potrebbe, all’improvviso, far scomparire tutto davanti ai nostri occhi, oppure… lo stesso vento potrebbe smuovere altra sabbia e rivelare tesori nascosti.
 
Ci aggiriamo a piedi, mi sembra di essere in una città di fantasmi, i colori sono caldi, il vento va aumentando di intensità.
Ogni tanto, tra sabbie rosse e massi, appare qualche arbusto; sullo sfondo, le grandi tombe, porte aperte nella roccia, scavate dall’alto verso il basso.
Andiamo a mangiare a qualche km di distanza, sotto una tenda è preparato per noi un buffet; all’esterno una griglia ospita carni varie, un altro piatto di pesce e gamberi.
Il personale però è abbastanza scortese, la carne e i gamberi grigliati non sono sufficienti per tutti.
E sotto la tenda soffia un vento fastidioso e (troppo) fresco.
 

 
Andiamo via volentieri, di nuovo in pullman a solcare il deserto, fino alla Roccia dell’elefante, incredibile monolite che si staglia sullo sfondo del deserto, sotto l’azzurro intenso del cielo.
Qui per i turisti ci sono panche accoglienti, con cuscini, per riposare e farsi fotografare… l’elefante gigante alle spalle domina la scena.
Mi dicono che le panche sono una novità, fino a qualche tempo fa l’elefante era solo, chi voleva una foto poteva arrivare fino a toccarne zampe o proboscide.
Intorno, automobili e famigliole, bambini issati sui cammelli. Gli indigeni si meravigliano se li guardiamo. Si chiedono: «Cos’hanno da guardare? Forse in Italia non ci sono i cammelli?»
 
Prima di tornare all’aeroporto, andiamo a visitare Al Ula, la cosiddetta Old Town: qui sì che i sauditi aspettano i turisti!
Attraverso vicoletti suggestivi, ripercorriamo le stradine linde dove una volta si incontravano pellegrini e coloni.
Le costruzioni sono semplicemente perfette, tutte in mattoni, sembrano appena costruite… ospitano negozietti di souvenir e di datteri, incantano i turisti che hanno l’impressione non di visitare un vecchio centro abitato, ma un moderno set cinematografico.
Una cittadella fortificata in via di restauro (o di ricostruzione totale), forse del X secolo, sovrasta l’old town.
 
La guida ci racconta che una volta Al Ula era circondata da palmeti. La ricca offerta di datteri ne è testimonianza!
Un po’ delusa, passo dal pullman all’aeroporto, dall’aereo alla nave.
Jeddah dall’alto appare in tutta la sua estensione, ricca di luci, distesa accanto al mare.