Le sabbie mobili della crisi libica/ 2 – Di Marco Di Liddo
Seconda parte: l’anarchico mosaico delle milizie e i rapporti di forza sul terreno
(Precedente)
Come affermato in precedenza, gli sforzi delle Nazioni Unite rischiano di essere vanificati dalla scarsa rappresentatività dei due parlamenti, dal pericoloso scollamento tra questi e le loro milizie alleate, dalla natura stessa della guerra civile libica.
Infatti, a più di un anno dall’inizio sia di «Operazione Dignità» (16 maggio 2014), l’operazione anti-islamista e anti-jihadista lanciata dai laici del generale Khalifa Haftar, sia di «Alba Libica» (13 giugno 2014), la campagna militare attuata dalle milizie islamiste e jihadiste contro i laici, nessuno dei due schieramenti è riuscito a prevalere nettamente sull’altro.
Dunque, al pantano politico in cui annaspa il negoziato corrisponde la stasi militare sul campo, con l’elemento aggravante che i parlamenti non dispongono di alcun potere effettivo e, anzi, spesso risultano in balia delle milizie e dei ricatti dei propri leader.
Basti pensare al caso del Generale Haftar che, dopo aver ripetutamente sfiduciato la CR e condannato il governo di Tobruk, è riuscito a farsi nominare Capo di Stato Maggiore della Difesa (marzo 2015), usando toni spesso minatori e facendo pesare la propria forza militare.
In quel momento, Operazione Dignità, che era nata alla stregua di una iniziativa unilaterale e individuale, si è trasformata nella missione «ufficiale» del Parlamento laico.
Inoltre, uno degli elementi più drammatici è costituito dall’estrema frammentazione della società libica attuale, inasprita dalla lunghissima stagione di conflitti.
Se fino ai tempi delle rivoluzione e nei mesi immediatamente successivi ad essa le reti tribali e claniche avevano rappresentato quelle unità minime fondamentali attorno alle quali si strutturava la vita politica e sociale del Paese, con la continuazione della guerra civile si è assistito ad una loro parziale disgregazione.
Ad oggi, i membri di uno stesso clan e di una stessatribù possono trovarsi a combattere gli uni contro gli altri, inquadrati in milizie sempre più atomizzate e mosse dal desiderio di aumentare il proprio potere.
Tale potere si manifesta attraverso il controllo del territorio e l’adozione di tecniche amministrative di stampo criminale, che ricordano quelle utilizzate dalle organizzazioni malavitose in Italia e dai cartelli della droga in Messico e Colombia.
Le milizie impongono il proprio arbitrio con la forza delle armi, tassano attività e famiglie, si fanno garanti dell’ordine, amministrano a loro modo la giustizia ed offrono servizi e lavoro.
Naturalmente, per finanziare queste micro realtà para-statali, i gruppi armati attingono all’economia illegale e gestiscono i traffici di droga, armi esseri umani e petrolio.
Appare opportuno sottolineare come l’ideologia, gli obbiettivi e le finalità ultime delle organizzazioni miliziane cambino a seconda dell’agenda politica e del fanatismo religioso che le caratterizza.
Dunque, lo spettro politico dei combattenti edelle loro formazioni varia da un timido laicismo al salafismo più estremo.
Di conseguenza, la varietà e la frammentazione del tessuto politico-sociale nazionale rende qualsiasi organizzazione para-militare poco coesa e quasi per nulla caratterizzata da una comunanza di obiettivi politici.
Anzi, al contrario, queste formazioni sono da considerarsi alla stregua di un mero ombrello che raccoglie gruppi senza vincoli di fedeltà e desiderosi di massimizzare esclusivamente i propri benefici individuali. Di conseguenza, è facile che le milizie passino con facilità da uno schieramento all’altro, senza offrire punti di riferimento precisi se non un accentuato pragmatismo ed utilitarismo.
Quindi, la dicotomia tra forze islamiste e forze secolariste non è da considerarsi netta o con una eccessiva particolarizzazione ideologica, ma semplicemente come un’etichetta funzionale a comprendere e raccogliere al meglio gli schieramenti in lotta.
Infatti, le differenze sostanziali a livello politico e religioso tra le due fazioni avverse sono davvero minime e concernono il grado di ingerenza della religione islamica nella società e nella politica nazionali.
In ogni caso, è bene sottolineare che si tratta di sfumature. Infatti, sia il fronte laico che quello islamista non negano il ruolo dell’Islam nel futuro assetto socio-politico libico.
Tuttavia, mentre i laici intendono limitare l’influenza delle disposizioni coraniche e shariatiche nell’impianto legale ed amministrativo dello Stato, gli islamisti vorrebbero ampliarla quanto più possibile.
Dunque, la classificazione secolaristi \ islamisti andrebbe intesa come una etichetta per differenziare due conglomerati di forze disomogenee il cui
principale scopo è la conquista del potere e la distruzione dell’avversario. A ulteriore riprova della profonda differenziazione interna ai due ombrelli di forze è lo spettro delle formazioni che ne fanno parte, che varia dal nasserismo di alcuni reparti dell’ex-Esercito gheddafiano fino alla Fratellanza Musulmana e addirittura alle organizzazioni salafite orbitanti attorno ad Ansar al-Sharia al Califfato di Bayda (lo Stato Islamico in Libia) e con pericolose aree di contiguità con il panorama jihadista nord africano.
Ad oggi, in Libia possono essere individuati quattro conglomerati di forze: le milizie laiche, alleate del CR e impegnate in Operazione Dignità; le milizie islamiste, vicine al CGN e impegnate nella campagna militare «Alba Libica»; il Califfato di Bayda, di orientamento esplicitamente jihadista e ufficialmente affiliato allo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi; Ansar al-Sharia, ugualmente jihadista, ma legata maggiormente ai network di al-Qaeda nel Maghreb Islamico.
Operazione Dignità, che può contare su un numero di combattenti oscillanti tra le 35.000 e le 45.000 unità, è così composta:
- Esercito libico. Si tratta di un insieme disomogeneo di miliziani arruolati su base volontaria, di alcuni ex-riservisti e di alcuni ex-membri delle vecchie Forze Armate gheddafiane. Pur rispondendo complessivamente all’autorità di Haftar, alcune brigate sono fedeli al Generale Abdulsalam al-Obaidi, rivale dell’attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa.
- Consiglio militare rivoluzionario di Zintan (CMRZ), insieme di milizie espressione dell’omonima città dell’ovest del Paese. il CRMZ è formato dalle brigate Sawaiq, Qaaqaa e Civica e costituisce la colonna portante delle forze laiche.
Formazione di primaria importanza sin dai tempi della rivoluzione del 2011, la milizia di Zintan si è distinta per la sue attività a Tripoli e per aver catturato e tenuto prigioniero il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, senza mai cederlo alle autorità centrali e utilizzandolo come strumento di ricatto verso il governo.
La milizia di Zintan è comandata da Mukhtar Khalifah Shahub, leaderrimasto sempre dietro le quinte anche quando Osama al-Juwali (l’altro leader divenuto, tempo fa, Ministro della Difesa) è entrato in politica.
- Milizie tribali appartenenti alle tribù Warfallah e Warshefana, parte della confederazione Houara. Un tempo spine dorsalidel passato regime, oggi queste tribù risultano essere valide alleate di Tobruk a Bani Walid, Sirte e Bengasi.
- 35ª Brigata Toubou. Milizia tribale afferente all’omonima etnia, questa brigata è indispensabile per il presidio della regione meridionale del Paese, soprattutto lungo il confine con il Ciad.
Conosciuti per la tradizionale ostilità verso il regime gheddafiano, i Toubou permettono alla coalizione delle forze laiche di poter percorrere le rotte desertiche grazie alla loro conoscenza del territorio.
Oltre alle attività para-militari, la Brigata gestisce il traffico di essere umani proveniente dall’Africa sub-sahariana, grazie al controllo del confine e alla scorta dei convogli dalla Montagne Timbesti attraverso la città di Kufra fino alle città costiere.
-Squadra aerea di Tobruk. Si tratta di quei reparti della vecchia aviazione gheddafiana sopravvissuti, secondo le fonti governative, alla campagna NATO del 2011. Tale componente aerea dispone di caccia Mig-21 e di elicotteri Mil Mi-24.
Ad oggi, entrambi sono stati impiegati per le operazioni, anche se permangono molti dubbi sulla provenienza del personale che li piloti e che svolga la manutenzione.
Infatti, il cattivo stato delle infrastrutture, della logistica e delle capacità operative dei presunti reparti libici che dovrebbero utilizzare tali velivoli lascia sospettare un coinvolgimento diretto dell’Egitto e degli Emirati in questo tipo di operazioni.
- Guardia delle infrastrutture petrolifere. Si tratta di un ombrello di gruppi para-militari che opera a protezione sia dei campi petroliferi della Cirenaica e del Fezzan sia delle infrastrutture portuali centro-orientali del Paese.
Queste milizie, anche se formalmente alleate del CR e rispettose dell’autorità di Haftar, seguono un’agenda indipendente volta a massimizzare i propri benefici.
Oltre agli alleati del fronte interno, lo schieramento della CR può contare sul supporto di importanti attori internazionali, fattore che contribuisce a rendere la crisi libica un importante terreno di confronto tra i più le più influenti potenze del mondo arabo.
Al fianco del CR e dei laici sono schierati Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Appare sempre più plausibile la circostanza che, nei mesi passati, velivoli emiratini (molto probabilmente caccia F-16 e Mirage 2000-9 avendo avuto i velivoli assistenza tecnica presso una base dell’Aereonautica egiziana ed essendo state usate nelle circostanze in oggetto) abbiano compiuto diversi raid contro le postazioni delle forze islamiste.
Tuttavia, quasi in concomitanza con l’inizio della campagna aerea «Decisive Storm» (marzo 2015) contro la ribellione degli Houthi in Yemen, al cui interno l’aeronautica militare emiratina ha svolto un ampio e massiccio ruolo, si assistito ad una brusca interruzione delle operazioni aeree in Libia.
Questa strana coincidenza sembra ulteriormente avvalorare l’ipotesi del coinvolgimento emiratino in Libia a favore delle forze laiche.
Oltre al possibile impiego di velivoli, i due Paesi in questione hanno regolarmente inviato armi e denaro alle milizie secolariste. In particolare, l’Egitto di al-Sisi vede in Haftar e nel suo progetto nasseriano per la Libia un potenziale, prezioso, alleato regionale sia in termini politici, come il contrasto all’islamismo e alla Fratellanza Musulmana, sia in termini economici.
Allo stato attuale, il CR e le forze riunite sotto l’ombrello di Operazione Dignità controllano la regione orientale, centrale e meridionale del Paese, lungo un’area che va da Torbuk ad est, al confine con l’Egitto, include Kufra e Murzuka sud, e si spinge fino a Bin Jawad, sul Golfo della Sirte, a ovest. In questo quadrilatero di territorio sono presenti la base aerea di al-Mateen, il terminal petrolifero di Ras Lanuf e numerose infrastrutture estrattive.
Inoltre, il CR ed i suoi alleati possono vantare il controllo di tre avamposti nell’estremo ovest del Paese, nel mezzo del territorio controllato dalle formazioni islamiste.
Nello specifico, si tratta delle città di Zintan, Yafran e Zilan, tutte e tre fondamentali per intraprendere azioni militari contro la capitale Tripoli.
Di contro, Alba libica e il CGN, la cui spina dorsale è costituita dal ramo nazionale della Fratellanza Musulmana, può contare su un numero di miliziani che oscilla tra le 20.000 e le 30.000 unità. La composizione delle forze di Alba Libica è la seguente:
- Forza Scudo. Fondata nel 2012 come ombrello di milizie che doveva costituire l’embrione delle future Forze Armate, la Forza Scudo si è presto disimpegnata dagli obblighi che aveva nei confronti del governo ed ha cominciato ad agire autonomamente.
Dopo la crisi elettorale che ha portato alla nascita dei due parlamenti distinti, essa ha deciso di schierarsi a favore di Tripoli. Secondo il Parlamento di Tobruk, alcuni comandanti
della Forza Scudo intrattengono proficue relazioni con elementi afferenti ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico.
- Sala delle operazioni dei rivoluzionari libici (SORL). Si tratta della milizia comandata dall’attuale leader del CGN, Nouri Abusahmain.
Responsabile del controllo della capitale e dei villaggi circostanti, la SORL dispone anche di una brigata che combatte a Bengasi.
- Milizie Tuareg del Ghat. Attive nei distretti sud-orientali, al confine con l’Algeria e Formalmente alleate del Parlamento di Tripoli, queste formazioni paramilitari seguono un’agenda indipendente.
Esse forniscono mercenari e sono in stretto contatto con le realtà tuareg maliane, assieme alle quali gestiscono il traffico di armi, droga e esseri umani.
La loro vicinanza al CGN è dovuta principalmente al tradizionale conflitto con i Toubou, etnia rivale e alleata del CR, con la quale rivaleggia per il controllo delle rotte desertiche e per la supremazia nella città meridionale di Awbari.
- Milizie Amazigh. Formate da combattenti delle tribù berbere dell’ovest del Paese, compiono scorribande e controllano i traffici illeciti tra Libia e Tunisia.
- Network di Abdelhakim Belhaj. Presidente del partito islamista al-Watan (La Nazione), Belahj è uno dei personaggi più influenti del panorama politico e militare nazionale.
Ex leader del Gruppo islamico combattente libico (GICL), dissolta organizzazione jihadista a lungo nell’orbita di al-Qaeda e protagonista dell’opposizione a Gheddafi, Belhaj ha ricoperto un ruolo di primo piano nella rivolta anti-Gheddafi del 2011.
Nel contesto della guerra civile, Belhaj ha mantenuto un atteggiamento ambiguo. Infatti, se da un lato ha cercato di lavare la propria immagine e il proprio passato da combattente jihadista riciclandosi come politico conservatore, dall’altro ha mantenuto inalterata la propria rete di fedeli combattenti.
Nello specifico, Belhaj riesce a controllare entrambi gli aeroporti di Tripoli, circostanza che in passato gli ha permesso di ricevere ingenti aiuti finanziari e militari provenienti dal Qatar, di cui egli rappresenta il maggiore collettore.
Inoltre, l’ex leader del GICL può contare su una rete di alleanze politiche di assoluto livello, soprattutto nella capitale. Tra i suoi principali sostenitori pare ci sia Ali al-Salabi, noto chierico islamista in contatto con Yusuf al-Qaradawi, uno dei più rilevanti teologi del ramo egiziano della Fratellanza Musulmana.
Una menzione a parte merita la milizia di Misurata, tra le più decisive nella ribellione contro Gheddafi del 2011. I combattenti di Misurata possono essere definiti vicini allo schieramento islamista, ma non parte integrante di esso.
Infatti, Misurata segue un’agenda indipendente e pragmatica. In questo senso, i contatti con il CGN e lo schieramento islamista risultano essere un riflesso dei rapporti tra i leader miliziani e le autorità qatariote, consolidatisi già dai tempi dell’assedio lealista alla città durante la guerra del 2011.
In questo, il rafforzamento della milizia di Misurata a Tripoli, avvenuto anche grazie al supporto ricevuto da parte di alcuni leader tuareg islamisti della regione di Sabha e Awbari, legati al clan Ifoghas e ai guerriglieri jihadisti di Ansar al-Din, e il suo sostegno alla causa islamista appare più legato alla massimizzazione di benefici individuali che ad una vera e propria comunanza ideologica.
Al pari delle forze laiche, anche le forze islamiste usufruiscono di aiuti internazionali. Infatti, ad appoggiare le forze islamiste, ci sono il Qatar, influente attore del Golfo sin dalla rivoluzione anti-Gheddafi del 2011, il Sudan, deciso a trovare un partner internazionale che gli permetta di uscire dall’isolamento diplomatico e apra alla possibilità della vendita di petrolio, e infine la Turchia di Erdogan, decisa ad aumentare la propria capacità di proiezione politica estera nel Mediterraneo e in Nord Africa. Dal punto di vista pratico, il supporto logistico è reso possibile dal controllo che il governo di Tripoli esercita sugli importi porti e aeroporti della parte occidentale del Paese.
Nel momento in cui si scrive, il CGN controlla alcuni dei più importanti distretti occidentali libici, in un quadrilatero compreso tra la capitale Tripoli, la città meridionale di Ghat, quella centrale di Waddan e infine Misurata, sul Golfo di Sirte.
Marco Di Liddo
(Ce.S.I.)
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