Il mistero sulla morte del terrorista Mokhtar Belmokhtar
Gli americani ritengono di averlo ucciso con un drone, ma i suo sostenitori negano
Nella notte tra il 14 e il 15 giugno le Forze Armate statunitensi hanno lanciato un attacco aereo contro Agedabia, città sul Golfo della Sirte a 160 km a sud di Bengasi.
Obbiettivo del raid è stata l’abitazione nella quale erano riuniti circa 20 comandanti miliziani di Ansar al-Sharia, formazione jihadista coinvolta nella guerra civile e responsabile della morte dell’ambasciatore statunitense Stevens nel settembre 2012 a Bengasi.
Oltre a neutralizzare i miliziani di Ansar al-Sharia, lo scopo dell’attacco era quello di uccidere Mokhtar Belmokhtar, leader del gruppo al-Mourabitun («Le Sentinelle»), organizzazione terroristica attiva in Africa Settentrionale, Occidentale e nella regione del Sahel-Sahara, rea degli attacchi contro le infrastrutture gasifere algerine di In Amenas (gennaio 2013) e di un significativo numero di attentati e rapimenti in Mali, Niger e Algeria.
Al momento permane profonda incertezza sull’esito dell’attacco. Infatti, sino ad ora, il governo di Washington non ha fornito ulteriori dettagli sul raid aereo e non ha ancora confermato la morte di Belmokhtar.
Al contrario, Ansar al-Sharia ha espressamente dichiarato che tra i miliziani deceduti non c’è il leader di al-Mourabitun.
Belmokhtar è uno dei miliziani jihadisti più ricercati del nord Africa. Di origine algerina, egli ha combattuto sia in Afghanistan, tra le fila dei mujaheddin arabi che si opponevano al governo filo-sovietico, sia nella guerra tra il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) e le Forze Armate di Algeri.
Nel corso degli anni 2000, Belmokhtar si è affermato prima come uno dei più importanti comandanti militari di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e dopo quale leader di diverse formazioni jihadiste indipendenti, come il Movimento per l’Unità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), il Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue (BFS) e, infine, al-Mourabitun.
Oltre alle notevoli capacità militari, Belmokhtar si è distinto per la lungimiranza della propria strategia: infatti, egli è stato il primo a tessere reti di alleanze con le realtà tribali del Sahel e del Sahara, ad espandere significantemente il network terroristico fuori dall’Algeria ed a stabilire forti contatti con il mondo dei traffici illeciti, rispetto ai quali è diventato un facilitatore ed un gestore diretto.
All’interno del panorama qaedista nord africano, Belmokhtar è stato uno dei primi ad intuire la necessità di territorializzazione e statalizzazione dei movimenti terroristici nonché della cooptazione delle esigenze dei gruppi etnici subalterni o discriminati dal potere centrale.
Durante la Guerra in Mali del 2011-2013, egli è stato tra i maggiori protagonisti dell’offensiva delle forze jihadiste.
All’indomani del conflitto maliano, Belmokhtar ha continuato a tessere la propria rete di alleanze in Libia, sfruttando l’instabilità seguita alla caduta del regime di Gheddafi ed alla guerra civile.
Al di là della conferma effettiva della sua morte, la sua presenza in Libia sottolinea il respiro regionale dell’agenda jihadista di Belmokhtar, interessato a coordinare le attività terroristiche e di insorgenza dal Mali sino alle sponde del Mediterraneo.