Lo scenario militare davanti alle coste italiane – Di G. Paradiso
Militari italiani in Libia? Ecco è bene sapere: Chi comanda in Libia – Durata e impatto della missione – Conseguenze militari immediate – Impatto sull'economia
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In questi ultimi giorni c'è parecchia fibrillazione tra gli italiani, preoccupati dalle allarmanti notizie di un'avanzata dell'ISIS in Libia, paese che si affaccia direttamente davanti le nostre coste.
Prima di analizzare la situazione in Libia credo sia opportuno precisare alcuni aspetti fondamentali.
Innanzi tutto l'ISIS non possiede in Libia una forza militarmente armata in grado di impensierire la nostra sicurezza nazionale: non dispone di missili in grado di arrecare danni alle nostre coste.
L'ultimo attacco missilistico che si ricordi fu quello sferrato il 15 aprile 1986 dal governo di Tripoli, quando due missili SS-1 Scud in dotazione alle forze armate libiche furono lanciati contro un'installazione militare del sistema di radionavigazione LORAN della NATO situata sull'isola di Lampedusa.
I missili, definiti da alcuni esperti come dei «bidoni», caddero in mare senza causare alcun danno. Tuttavia dal giorno dopo, l'isola fu presidiata dai paracadutisti della Folgore e da una componente del 1º Battaglione carabinieri paracadutisti Tuscania.
Nel complesso, le nostre forze armate si schierarono dando vita all'Operazione Girasole che durò fino al luglio 1986, orientata al pattugliamento delle acque territoriali italiane e del Canale di Sicilia da parte di una squadra navale composta da unità della Marina Militare.
L'ISIS e le milizie a suo sostegno non dispongono di aerei militari in grado di sorvolare il Canale di Sicilia per compiere un attacco alle nostre coste.
Non dispone neanche di una Marina militare.
Il pericolo per l'Italia, allo stato attuale, non è quindi di carattere militare, ma politico-strategico: bisogna scongiurare che l'ISIS costruisca uno stato totalitario jihadista in Libia, praticamente davanti le nostre coste.
Comunque la si pensi, bisogna riconoscere quindi che il premier Matteo Renzi ha fatto bene a calmare i bollori guerrafondai scaturiti dall'emozionalità degli avvenimenti.
«Calma e gesso»: il problema va analizzato a fondo se non si vogliono ripetere gli errori compiuti nel passato.
Chi comanda in Libia? In verità nessuno
Dopo l'attacco militare di iniziativa franco-inglese, con la partecipazione italiana ed americana, che ha gettato le basi per la deposizione di Mu'ammar Gheddafi che faceva da collante tra tutte le confessioni tribali libiche, il paese è in preda al caos e dilaniato da numerosi scontri tra tribù e fazioni rivali per il controllo dei numerosi pozzi e giacimenti petroliferi o di importanti vie commerciali.
Questa è la causa principale dell'incontrollato flusso migratorio che ha interessato le nostre coste, non essendoci un governo locale in grado di intervenire - di concerto con le autorità italiane - per arginare il fenomeno, così com'è avvenuto, ad esempio, con l'Albania.
In questo contesto, la soluzione più efficace è risultata essere quella messa in campo da Mare Nostrum: le navi della Marina militare che trasportavano agenti della Polizia di Stato e medici, hanno costituito un ottimo filtro sia contro l'ingresso di cellule terroristiche sia, nel campo medico, contro il pericolo di diffusione nel nostro paese di malattie pericolose.
Che ci piaccia oppure no, grazie all'intervento di Mare Nostrum il nostro Paese non è stato teatro di azioni terroristiche o di epidemie.
Ma veniamo alla situazione politica e al controllo del territorio delle varie fazioni
Da subito dobbiamo citare Derna, in Cirenaica, che l'ISIS ha proclamato come suo «Califfato», dove operano le milizie estremiste di Ansar al-Sharia, la formazione jihadista attiva in Libia.
Quello è il «bubbone» principale, una zona dove neanche l'autorità di Gheddafi riusciva ad avere influenza.
A Tobruk c'è il governo «laico» di Abdullah al-Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, costituitosi lo scorso giugno.
Tuttavia l'esecutivo di al Thani, non controlla le città principali della Cirnaica. Fedeli al «parlamento» di Tobruk ci sono le truppe dell'ENL (Esercito Nazionale Libico) guidate dall'ex generale in pensione dell'esercito di Gheddafi, Khaifah Haftar (foto), il quale è riuscito a riunire introno a sé principalmente miliziani anti-islamisti e quel che era rimasto dal vecchio esercito regolare.
L'Enl è apertamente schierato contro il governo di Tripoli, accusato di aver lasciato che le forze di ispirazione religiosa si stabilissero indisturbate in diverse zone della Libia.
In una recente intervista rilasciata lo scorso anno ad un giornale italiano non ha esitato ad affermare che «combatto il terrorismo anche per voi: se vince in Libia arriva in Italia».
Molti osservatori internazionali (compresi italiani) concordano con l'attribuire proprio a Khaifah Haftar il ruolo di interlocutore privilegiato.
Tripoli, invece, dall'estate scorsa è controllata da una coalizione di milizie islamiste di varie estrazioni: la principale si chiama «Fajr Libia» (Alba della Libia), un'alleanza guidata dalle milizie di Misurata alla quale fanno parte anche i Fratelli Musulmani.
Queste milizie, hanno imposto un governo «parallelo» - non riconosciuto dalla comunità internazionale - è guidato da Omar al Hassi.
Tra le città di Zintan e le montagne Nafusa opera invece il «Consiglio Militare dei Rivoluzionari», che riunisce sotto di sé numerose milizie attive. Questo gruppo, noto per aver catturato il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, nel novembre 2011, si è alleato all'Enl di Haftar.
Il Consiglio di Zintan, controlla diversi mezzi di informazione fra cui l'emittente satellitare Al-Watan.
A Bengasi invece è scontro aperto tra i miliziani di Ansar Al Sharia e le truppe del generale Khalifa Haftar. Proprio in questi giorni l'aeronautica e la marina egiziana hanno avviato una pesante operazione militare in appoggio alle truppe del generale Haftar per la riconquista della città.
Durata e impatto della missione
L'obiettivo della coalizione militare deve puntare principalmente a stabilizzare la Libia.
Lo scontro armato con le milizie jihadiste dell'ISIS, dal punto di vista strettamente militare, non dovrebbe costituire un problema per le truppe della coalizione, abituate da decenni ad operare in ambito internazionale.
Quello che però dovrebbe apparire chiaro all'opinione pubblica italiana è che non si tratterà di una passeggiata di salute di poche settimane ma comporterà un impegno di alcuni anni, che necessiterà di ingenti risorse economiche e che, inevitabilmente, potrà esigere il sacrificio di molti militari sul campo.
Come già detto in precedenza, l'Italia deve assolutamente scongiurare la possibilità che l'ISIS possa costituire stato totalitario jihadista in Libia, così vicino alle nostre coste.
Con buona pace dei pacifisti social che scrivono «no alla guerra» citando impropriamente la Costituzione, la difesa del nostro stile di vita si basa anche su questo.
Per ottenere i risultati sperati però, non si può prescindere da un accordo di massima tra le quasi 300 tribù libiche che hanno un'enorme influenza su ogni aspetto della socialità magrebina.
Così come in Germania nel 2002 venne convocata la Loira Jirga, l'assemblea di tutti i capi tribù afghani delle varie etnie, allo scopo di addivenire ad un clima di stabilità nella regione, allo stesso modo dovrebbe accadere anche con le rappresentanze tribali libiche, magari ospitate a Roma per una conferenza di pace.
Conseguenze militari immediate
Non sarà sfuggito ai lettori di GrNet.it l'episodio che ha visto una motovedetta della Guardia Costiera italiana, impegnata in un'operazione di soccorso, minacciata con le armi dagli scafisti che hanno preteso la restituzione dell'imarcazione utilizzata dagli immigrati.
Bene, cosa sarebbe successo se al posto dei delinquenti che sfruttano il traffico di esseri umani ci fossero stati miliziani jihadisti dell'ISIS? Probabilmente in Italia sarebbe infuriata una polemica ferocissima contro il vertice politico e militare che ha spedito a poche miglia dalle coste libiche dei militari disarmati.
Non vogliamo nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se i militari italiani ostaggi dell'ISIS avessero subito la stessa sorte di quelli tante volte raccontate dalle cronache.
Occorre quindi, se si vuole continuare a spingersi così lontano nelle operazioni di soccorso, che ai militari operanti venga assicurata un'idonea protezione contro simili (tragiche) eventualità che comprometterebbero seriamente la calma necessaria per ponderare un intervento militare in Libia.
Impatto sull'economia
Sul piano economico bisogna anche ricordare che l'interscambio complessivo Italia-Libia è di quasi 11 miliardi di euro, con l'Italia che si posiziona al primo posto come cliente e fornitore della Libia, e il paese maghrebino che occupa il dodicesimo posto come fornitore e il trentatreesimo come cliente italiano.
È questa la dimensione dei commerci tra Italia e Libia, un mercato di rilievo che le tensioni nel paese nordafricano stanno facendo traballare.
Il flusso di scambi interessa soprattutto i prodotti energetici, considerato che la Libia è il paese con le prime riserve di greggio dell'Africa e le quarte di gas naturale.
L'interscambio commerciale della Libia con l'Italia, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, si è progressivamente ridotto negli ultimi anni, arrivando nel 2013 a quota 10,942 miliardi di euro, pressoché dimezzato rispetto ai livelli del 2008 (20,054 mld), dopo aver toccato un picco negativo nel 2011, l'anno della rivolta contro Gheddafi, a 4,583 miliardi (-69%): in quell'anno «nero» le esportazioni sono calate del 77% a 610 milioni e le importazioni del 67% a 3,9 miliardi.
I dati più recenti sono relativi al primo semestre 2014 (4,786 miliardi) e mostrano una flessione del 49,2% rispetto al 2013.
A Tripoli l'Italia vende principalmente prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (56% dell'export totale). In misura molto minore (con un peso inferiore al 5% del totale) anche macchine di impiego generale o per impieghi speciali, apparecchiature di cablaggio, auto e motori.
Dalla Libia, invece, il nostro paese esporta soprattutto prodotti energetici, gas naturale (47%) e petrolio (42%).
Negli ultimi 10 anni (dal 2003 al 2013) gli investimenti diretti italiani in Libia sono stati 277 milioni di euro (a fronte di 112 milioni della Libia in Italia).
Per quanto riguarda infine la presenza di imprese italiane nel paese nordafricano, i dati fotografano la situazione al 31 dicembre 2011, quando le aziende erano 11, operanti in particolare nei settori petrolifero, infrastrutture, meccanica e costruzioni.
Giuseppe Paradiso
(Scrive per la rivista militare indipendente GrNet)