Da Confcommercio una Guida al salario minimo

Nell'approfondimento anche un confronto tra salario minimo in Italia ed Europa e la posizione della Confederazione sul tema

Nel nostro Paese il dibattito politico e sociale sul salario minimo ha caratterizzato periodicamente gli ultimi quattro anni con la presentazione di diverse proposte di legge sul tema e in questi ultimi mesi del 2023 il clima si è ulteriormente surriscaldato fino ad arrivare al 30 giugno scorso, quando le opposizioni di centro-sinistra (con l'eccezione di Italia Viva) hanno presentato l’ultima proposta di legge per la sua introduzione in Italia.
La proposta, articolata in sette punti, prevede una soglia minima di 9 euro lordi l’ora, con l’obiettivo di tutelare i lavoratori “poveri” che attualmente hanno una retribuzione inferiore e in molti casi non sono coperti da contratti collettivi.
Nel giugno 2022 il Parlamento europeo ha adottato la nuova legislazione sui salari minimi adeguati che si è tradotta in una Direttiva adottata dal Consiglio europeo il 4 ottobre 2022.
A partire da questa data, gli Stati membri hanno 2 anni, quindi sino all’ottobre 2024, per recepirne i contenuti nel proprio diritto nazionale.
 
 Che cos’è il salario minimo garantito  
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), il salario minimo è l’ammontare di retribuzione minima che il datore di lavoro deve pagare ai propri dipendenti per una determinata quantità di lavoro (oraria, giornaliera, settimanale o mensile).
La principale finalità del salario minimo è quella di contrastare la povertà attraverso la garanzia di una retribuzione che sia proporzionata al lavoro svolto.
Lo Stato interviene nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari operata dal mercato per incrementare le retribuzioni di quelli che sono in fondo alla scala salariale.
 
 A quanto ammonta  
La proposta di legge depositata il 30 giugno 2023 dalle opposizioni di centro sinistra, M5S, PD, Sinistra Italiana, Azione, Europa Verde e Europa+, prevede un salario minimo legale di 9 euro.
L'importo, secondo i firmatari, non dovrebbe riguardare solo i lavoratori subordinati, ma anche nell'ambito della para-subordinazione e del lavoro autonomo.
La discussione generale è andata alla Camera il 27 luglio scorso e la maggioranza di governo ha chiesto la sospensiva dell'esame fino al prossimo 29 settembre, che sarà invece votata la prossima settimana.
 
 Il salario minimo in Europa  
Quello tra Unione Europea e politiche salariali nazionali è un rapporto complesso, in quanto una competenza Europea in tema di “retribuzioni” è esclusa in radice dall’art. 153 par. 5, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Tutto ciò implica che l’Unione non possa allo stato attuale imporre agli stati membri uno standard salariale minimo comune.
Nella maggior parte dei paesi europei il salario minimo viene fissato in maniera unica ed universale dalla legge.
Soltanto in una minoranza di paesi 6 su 28 (Danimarca, Finlandia, Svezia, Cipro, Austria, Italia) è la contrattazione collettiva a prevedere settorialmente la misura dei minimi di retribuzione.
Si tratta di paesi caratterizzati da una forte forza sindacale e con una contrattazione collettiva pervasiva soprattutto per quanto concerne la determinazione delle retribuzioni.
 
La direttiva UE 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 interviene nei seguenti ambiti:
- adeguatezza dei salari minimi legali;
- promozione della contrattazione collettiva per la determinazione dei salari;
- accesso dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo.

La direttiva non può imporre agli Stati membri né di introdurre un salario minimo legale laddove sia garantita mediante contratti collettivi e nemmeno di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile.
Entro il 15 novembre 2029, è inoltre prevista una valutazione da parte della Commissione, che presenterà poi al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione con l'attuazione o meno della direttiva.
 
 La posizione di Confcommercio  
Sul salario minimo Confcommercio ha avuto sempre una posizione molto chiara ribadita anche recentemente dal presidente Sangalli.
«La risposta più efficace alla questione del salario minimo sta proprio nella valorizzazione erga omnes dei trattamenti economici e degli istituti del welfare contrattuale previsti dai contratti collettivi stipulati da chi realmente rappresenta il mondo del lavoro e il mondo delle imprese.
«La nostra contrattazione collettiva ha da sempre garantito trattamenti economici complessivi adeguati e proporzionati.»
Anche Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio con delega al lavoro e alla bilateralità ha ribadito il punto di vista della Confederazione rispondendo anche alle dichiarazioni del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.
 
Nel settore del terziario di mercato, che occupa più di 3,5 milioni di lavoratori, le retribuzioni orarie, al lordo degli istituti aggiuntivi, si attestano sempre sopra i 9 euro, anche per i livelli più bassi e senza la valorizzazione di istituti contrattuali che danno qualità alla contrattazione, come quelli che prevedono una contribuzione per il welfare sanitario e di prossimità, rappresentato dai fondi nazionali e dagli enti bilaterali territoriali.
 
 I contratti collettivi «antidoto» contro il dumping  
Il dumping contrattuale è un fenomeno molto esteso nel settore terziario che, oltre a introdurre concorrenza sleale tra le imprese, ricade direttamente sulla pelle dei lavoratori.
Il dumping è un elemento che comprime la dinamica salariale, diffonde cattiva occupazione, colpisce le buste paga e rende le persone più povere.
Per questo Confcommercio ed in particolare Fipe con riferimento al mondo dei pubblici esercizi (guarda link al documento pdf) hanno sempre ribadito l'importanza dei Contratti nazionali di lavoro delle organizzazioni più rappresentative che devono costituire il riferimento per determinare le migliori condizioni di lavoro all’interno dei settori economici, contrastando la proliferazione dei Contratti sottoscritti con il criterio della sottrazione.
 
 Le altre posizioni: Confindustria, CNA, Confesercenti, CGIL, CISL, UIL e partiti  
Il mondo politico, sindacale e datoriale ha assunto posizioni diverse sull'argomento del salario minimo.
 
I partiti politici
Nei programmi elettorali per le elezioni 2022, il Movimento 5 Stelle aveva parlato esplicitamente della necessità di introdurre un salario minimo a 9 euro.
Il programma del Partito Democratico diceva di voler applicare il salario minimo previsto dalla Direttiva europea (che, tuttavia, non prescrive l’obbligo) e citava poi «un salario minimo non inferiore a circa 9 euro lordi orari».
Anche Italia Viva e Azione si sono sempre dichiarati favorevoli alla misura.
 
Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel programma unitario del centrodestra non fanno invece nessun riferimento esplicito al salario minimo.
La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nell’aula della Camera per il suo primo Premier «question time», tenutosi lo scorso marzo, tuttavia ha bocciato l’istituzione di un salario minimo, spiegando che il Governo sta elaborando altre soluzioni per garantire retribuzioni dignitose ai lavoratori.
 
Le associazioni datoriali
Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha affrontato il tema dicendo che «è una direttiva europea introdotta per una serie di motivi come il dumping salariale. Si parla di 9 euro lordi, non è un tema che riguarda Confindustria».
«I nostri contratti sono sopra quella cifra, – ha aggiunto. – E lo dico perché si continua a narrare in Italia una cosa sbagliata. Si dice che si pagano poco i lavoratori ma non è l’industria italiana.»
 
Secondo Confesercenti, se il valore minimo fissato dal legislatore fosse più basso di quello dei contratti collettivi, si correrebbe il rischio di disapplicazione degli stessi, poiché per le aziende il salario negoziale sarebbe considerato come un mero ed incomprensibile costo ulteriore; al contrario, se fosse più alto, l'ingerenza legislativa determinerebbe uno squilibrio nella rinegoziazione degli aumenti.
 
Per la Cna, «l'Italia non ha bisogno di una legge che fissi il salario minimo. In coerenza, peraltro, con la direttiva europea che lo chiede solo nei Paesi in cui la contrattazione collettiva non arrivi a coprire perlomeno l'80 per cento dei lavoratori dipendenti.
«Nel nostro Paese, anzi, il salario minimo per legge rischierebbe di vanificare la struttura del sistema di relazioni sindacali e di minare la tradizionale collaborazione tra le parti sociali.»
 
Per Confapi, «c'è una direttiva dell'Unione Europea che stabilisce che la contrattazione collettiva è la soluzione primaria ed eventualmente il salario minimo debba essere la soluzione secondaria e anzi specifica che il salario minimo non può ritenersi una imposizione della direttiva. I
«l salario minimo è oggi ideologizzato e strumentalizzato dalle opposizioni e sarebbe un danno per i lavoratori».
 
 I sindacati  
Tra i sindacati, Cgil e Uil si sono mostrati favorevoli.
Dalla Cgil, Maurizio Landini chiede, al contempo, una legge sulla rappresentanza che cancelli il dumping contrattuale.
Posizione condivisa anche da Paolo Bombardieri in Uil.
Solo in questo modo si otterrebbe l’applicazione erga omnes dei contratti delle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
E, in seguito, si dovrà arrivare ad una legge sulla rappresentanza vera e propria (nel rispetto degli artt. 36 e 39 della Costituzione).
 
Quest’ultimo è un punto condiviso anche dalla Cisl che, allineata con le altre due sigle sindacali, chiede di dare valore legale ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Tuttavia, la posizione della Cisl diverge sull’introduzione del salario minimo.
L’opinione del leader della Cisl Luigi Sbarra è che l’indicazione di una soglia, di un compenso minimo per legge, possa esporre a diversi rischi, tra cui la fuga dall’applicazione dei contratti da parte di alcune aziende, uno schiacciamento verso il basso della dinamica retributiva dei salari medi e un espandersi del lavoro nero e del sommerso.