Tra banca e impresa serve un nuovo rapporto di conoscenza
Andrea Ferretti: «Altrimenti il rating è come l’airbag senza cinture di sicurezza»
E’ inutile prendersela con le banche o con i sistemi di rating.
Il rapporto tra imprese e mondo del credito sta subendo un’evoluzione darwiniana e solo comprendendola appieno è possibile trarne beneficio.
Questo l’avvertimento lanciato da Andrea Ferretti, docente di Gestione delle Imprese Familiari presso l’Università di Verona e docente presso la Scuola di Formazione del Banco Popolare, nella due giorni di seminario iniziato ieri e che si concluderà nel tardo pomeriggio di oggi, mercoledì 17 giugno, presso il Polo Tecnologico di Rovereto.
Una quarantina i partecipanti, in gran parte imprenditori e titolari di piccole-medie aziende, che hanno colto l’iniziativa organizzata da Trentino Sviluppo in collaborazione con Banco Popolare come momento prezioso per comprendere, grazie ad un taglio molto pratico, come relazionarsi in modo proficuo con le banche.
«Negli anni Novanta, prima degli Accordi di Basilea – ha ricordato Andrea Ferretti – il rapporto tra banca e impresa era imperniato sul cosiddetto «credito di vicinanza». In questo modello i bilanci ed i conti delle aziende entrano ovviamente nell’analisi del merito creditizio, ma molto dipende dalla conoscenza diretta del cliente, dalla sua reputazione, dai rumor di piazza».
Poi è arrivato il crack di Lehman Brothers e i successivi salvataggi bancari e sotto la spinta della vigilanza gli istituti di credito sono passati ad un modello di erogazione del credito più oggettivo, frutto di sofisticati sistemi di rating. Il passaggio dal «rapporto fiduciario» e dalla conoscenza personale agli algoritmi del rating è stato tutt’altro che indolore.
«Il rating – spiega Ferretti – è «addestrato» ad osservare con attenzione alcune poste che si prestano più di altre a valorizzazioni soggettive e ad eventuali manipolazioni. Ad esempio si «innervosisce» in presenza di un forte incremento nel bilancio delle aziende delle immobilizzazioni immateriali, quali marchi, brevetti, investimenti in sviluppo e ricerca. Peccato che in molti casi siano proprio questi ultimi a sostenere le nostre aziende durante la crisi e a ridurre quel drammatico gap esistente rispetto ai competitor esteri.»
In questo caso sarà il gestore della relazione che, grazie alla sua conoscenza dell’azienda e dell’imprenditore, interverrà modificando il rating espresso dalla «macchina».
Meno credito, meno progetti di sviluppo, meno innovazione, meno competitività.
Questo il circolo vizioso nel quale sono rimaste impantanate, come nelle sabbie mobili, molte aziende italiane.
Come uscirne, allora? «Le imprese maggiori saranno chiamate progressivamente – ha ribadito Ferretti – a fornire alle banche flussi di informazioni e dati previsionali più continuativi, più attendibili e di migliore qualità. Ciò deriva dal fatto che la Banca Centrale Europea vuole che i modelli di rating attualmente utilizzati dalle banche accentuino progressivamente la loro capacità di «guardare avanti», tenendo conto, ad esempio, dei flussi di cassa previsionali generati dalle aziende».
«D’altra parte grazie a questa informativa più completa – osserva ancora Ferretti – la banca migliorerà la conoscenza dell’azienda e non solo non sarà più costretta ad effettuare tagli lineari sulle previsioni aziendali, ma potrà anche ridurre, eventualmente, il peso delle garanzie da acquisire.»
Il futuro del rapporto tra banca e impresa sta quindi nella coesistenza tra modelli di valutazione che passano da visioni aggregate ad analisi più dettagliate su prodotti, concorrenza e mercati di sbocco della singola impresa, ed un rapporto di conoscenza molto più solido e continuativo rispetto al passato, senza il quale i sistemi di rating fine a se stessi sarebbero come un airbag che si attiva senza cinture di sicurezza, dunque estremamente pericoloso.