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Appuntamento da non perdere: il debutto di Dyscrasic Morphing

Nostre interviste al compositore Marco Uvietta e a Marco Angius che dirige la Haydn

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Il ricco programma del prossimo concerto della Stagione sinfonica dell’Orchestra Haydn (il 14 novembre a Bolzano e il 15 novembre a Trento), diretto da Marco Angius, prevede quattro diversi compositori: Haydn, Schönberg, Uvietta e Brahms.
Un evento particolarmente atteso anche per il debutto in prima esecuzione assoluta della composizione «Dyscrasing Morphing» di Uvietta, commissionata per l’occasione dalla stessa Fondazione Haydn.

Abbiamo avuto il privilegio di chiedere direttamente al Maestro Angius (foto di copertina) di illustrarci le caratteristiche delle composizioni che ascolteremo.
 
Maestro, è possibile individuare elementi comuni fra i brani che verranno eseguiti?
«Direi che ci sono legami profondi da molti punti di vista: quello più esplicito ovviamente è tra Haydn e le Variazioni di Brahms sul Corale di Sant’Antonio (l’originale haydniano è per fiati e inizialmente Brahms privilegia questo assetto).
«Tra Schönberg e Brahms è notorio: l’ammirazione del primo nei confronti del secondo risiede proprio nell’essere progressivo senza perdere le radici nel passato.
«Nel brano di Uvietta c’è un’evidente riflessione/trasformazione di musiche e linguaggi preesistenti. Insomma emerge una tematica o una problematica che dal secondo Ottocento a oggi è diventata sempre più impellente: il rapporto del presente con la storia.
«Il passato è irraggiungibile e lo si può reinventare oppure scegliere la strada dell’archeologia.»
 
Cosa significa affrontare una partitura nuova e una prima assoluta?
«La novità assoluta è tale per il pubblico e per la dimensione editoriale. Per me la novità assoluta è l’opera che non ho mai affrontato ma non è necessariamente legata all’epoca della sua composizione.
«Possono esserci lavori antichi estremamente intriganti e attuali, da riscoprire come novità, appunto.
«Trovo sorprendente ad esempio come Respighi rilegga l’Orfeo (1934) o Henze ll ritorno di Ulisse in patria (1981), per non fare che due esempi eclatanti: sono musiche antiche o contemporanee?
«Avendo affrontato centinaia di lavori nuovi nell’ambito della creazione contemporanea, cerco quello in grado di sorprendermi ma la partitura, come spesso ripeto, non è l’opera: c’è una composizione sulla carta che attende una fase successiva, quella interpretativa, in cui l’opera vive realmente e incontra l’ascolto del pubblico. Interpretare è anche un atto compositivo e non una mera traduzione (che rivelerebbe una sola versione autentica).
«In altre parole l’opera musicale è perennemente incompiuta perché sottoposta a una serie di variabili che ne rendono il profilo fluttuante.
«Lo stesso compositore difficilmente si accontenterebbe di avere una sola versione della sua opera.»
 
Nel caso di «Dyscrasic Morphing», qual è il contributo che può dare un direttore d’orchestra con la Sua esperienza nel campo della musica contemporanea a un progetto così particolare e, verrebbe da dire, volutamente così poco «avanguardistico»? Quali aspetti di questo lavoro vorrà trasmettere al pubblico?
«L’avanguardia è finita da un pezzo e non a caso si parla di avanguardia storica: il fenomeno ha tentato di fare tabula rasa del passato ma continuiamo a essere immersi nella storia, affascinati o condannati a declinarne le implicazioni.
«Se consideriamo la musica contemporanea come un genere allora dobbiamo rinvenirne sempre gli stessi elementi-cliché: lo sperimentalismo, la ricerca sul suono, l’indagine sulle tecniche strumentali, eccetera.
«Oggi ci troviamo piuttosto in una fase archeologica piena di reperti da svelare. Il dato contemporaneo non è quello cronologico, ripeto, e ancor meno quello individuato dallo storicismo che suddivide per comodità musicologica le epoche del comporre (anche se tendo a documentarmi molto sulla genesi di un’opera attraverso confronti sinottici delle fonti).
«Il concetto evoluzionistico in musica è fallimentare e la situazione è molto più complessa di quanto la riducano le soluzioni analitiche; d’altra parte l’evoluzione di un interprete non può concentrarsi solo su una determinata epoca.
«Ho recentemente affrontato esecuzioni integrali di Beethoven, Schubert, Schumann e ciò comporta una crescita che si riflette quando ho di fronte un repertorio più vicino a noi.
«E viceversa. Rispetto al brano di Uvietta, mi ha incuriosito studiare come il compositore abbia affrontato efficacemente certe problematiche formali e stilistiche, ho ascoltato la sua opinione e la sua visione della partitura, ho cercato il confronto, ma come interprete devo essere libero di agire nella direzione che preferisco.
«Non sono a mio agio – e non potrei combinare molto – se mi limitassi a seguire delle prescrizioni o preferenze solo per accontentare il compositore in sala. Le prime prove con l’orchestra sono andate molto bene; alla prossima (e ultima) interverrà anche il compositore.
«L’opera è una sfida verso il mondo, verso un’idea di realtà che viene fatta traballare. Pensiamo a Beethoven che urla la propria rabbia e la propria disperazione esistenziale attraverso la musica.
«Ovviamente mi fa piacere se un compositore esprime soddisfazione per il lavoro svolto, ma la finalità non è svolgere un compito quanto piuttosto offrire una lettura ricca di spunti e idee, originale e magari misteriosa: la partitura è un punto di partenza ineludibile ma di per sé appena indicativa.
«Serve a memorizzare il percorso ma non rivela con quali mezzi si realizzeranno i suoi contenuti.
«Credo infine, relativamente al pubblico, che non ci sia bisogno di guide per l’ascolto ma di sollecitazioni e stimoli a entrare nel mondo sonoro: ognuno di noi ritrova ciò che vuole – e che può – nell’opera d’arte: ritrova (o perde) semplicemente se stesso.»
 
 

Siamo particolarmente lieti di poter affiancare alle parole del Maestro Angius anche quelle del compositore bolzanino Marco Uvietta (foto qui sopra) che abbiamo intervistato nel suo studio presso l’Università di Trento dove lavora come docente di Musicologia e Storia della musica.

Professore, potrebbe descriverci la struttura della Sua composizione? A quali elementi dovrebbe fare particolare attenzione il Suo ascoltatore?
«Si tratta di una struttura fluida che non trova riscontro nella tradizione; piuttosto, assimila ed elabora alcune condizioni formali particolari, statisticamente poco frequenti.
«Per fare un esempio, il punto culminante si colloca in posizione anomala, molto dopo il punto in cui lo si attenderebbe. In generale ho voluto procedere assemblando le sezioni per associazione di idee.»
 
Qual è il Suo rapporto con gli esecutori della musica che compone?
«Ho grande stima degli esecutori, e loro lo avvertono. Una delle più grandi soddisfazioni è vedere che gli esecutori si impadroniscono della composizione; da quel momento non chiedono più nulla al compositore.
«Così il compositore lascia che il frutto del suo lavoro diventi un oggetto dotato di vita propria. Di conseguenza gli esecutori possono vivere liberamente la composizione, senza condizionamenti.
«Sulla base di queste premesse nascono spesso amicizie profonde e durature.»
 
Qual è il rapporto con il pubblico che ascolta la Sua musica ai concerti?
«La presenza del compositore in sala suscita sempre interesse nel pubblico. Alle prime esecuzioni mi sembra di percepire una certa partecipazione degli ascoltatori, consapevoli di far parte di un evento.
«Io vorrei essere invisibile, ma poi, quando vedo tante persone cordiali, mi sento profondamente appagato».

L’appuntamento è martedì 14 novembre 2017 all’Auditorium di Bolzano e mercoledì 15 novembre all’Auditorium S. Chiara di Trento.

Elsa Paredes

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