Centenario della Grande Guerra/ 3 – La «crisi di Luglio»

Terza puntata del calendario digitale «lagrandeguerrapiù100.it» realizzato dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

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L’ultimatum alla Serbia innescò il sistema di alleanze che anni prima era stato giudicato il miglior deterrente contro lo scoppio della guerra. Fu così che sfumò l’ultima speranza di isolare il conflitto nei Balcani: era iniziata la crisi di luglio. L’Europa era ad un passo dalla catastrofe.
La fase successiva all’attentato di Sarajevo sarebbe passata alla storia come la «crisi di Luglio».
Nel corso del mese le potenze europee scivolarono verso un conflitto senza precedenti nella storia. Tuttavia ben pochi se ne resero conto.
Nonostante la gravità dell’attentato e il clima bellicoso che si respirava tra le alte sfere austro-ungariche (Francesco Giuseppe auspicava un’azione militare che cancellasse la Serbia dai Balcani), a Vienna tutti si rendevano conto che aggredire la Serbia sarebbe stato rischioso senza una preparazione diplomatica e militare.
Infatti un attacco avrebbe verosimilmente provocato l’intervento di Russia e Francia a sostegno del regno balcanico.
Era perciò necessario il sostegno materiale e diplomatico della Germania.
Il ministro degli esteri von Berchtold tra il 5 e il 6 luglio ottenne carta bianca dal Kaiser (foto) per un intervento armato contro la Serbia.
Era necessario accelerare le operazioni militari in modo da mettere Russia e Francia di fronte ad un fatto compiuto.
Guglielmo II rassicurò von Berchtold che in caso di intervento franco-russo la Germania si sarebbe schierata militarmente con l’alleato.
Forte del sostegno tedesco, Vienna decise così di inviare un duro ultimatum a Belgrado (23 luglio), evitando qualsiasi arbitrato diplomatico.
Le ragioni di un così rapido precipitare degli eventi vanno ricercate nella volontà tedesca di passare rapidamente dalla diplomazia alle armi: tale strategia era finalizzata a cogliere alla sprovvista Francia e Russia e limitarne l’ingerenza nel conflitto che si apprestava a scoppiare.
A dare maggior fiducia nell’effetto sorpresa vi era il fatto che il presidente Poincaré e il primo ministro Viviani erano ancora in navigazione nel viaggio di ritorno da una visita in Russia.
Ciò avrebbe impedito a francesi e russi di consultarsi direttamente, guadagnando così tempo prezioso. Tuttavia l’effetto sorpresa sperato dalla Germania sfumò di fronte alla presa di posizione del capo di Stato Maggiore austriaco Conrad, il quale dichiarò che a causa di un congedo agricolo concesso alle truppe l’esercito non sarebbe stato mobilitabile prima del 4/5 agosto.
 
In questo contesto si può riscontrare una certa ambivalenza nelle posizioni assunte dai vari attori politici. Pubblicamente gli Imperi centrali presentavano la crisi tra Serbia e Austria-Ungheria come una vertenza da limitare ai soli Balcani, impedendo così un ingresso in guerra delle varie potenze.
Tuttavia a un livello «sotterraneo» la Germania premeva per intraprendere le operazioni militari il più rapidamente possibile, in modo da sfruttare l’effetto sorpresa contro Francia e Russia.
Tra il 25 e il 28 luglio la situazione precipitò, la Serbia rifiutò alcuni punti dell’ultimatum perché giudicati lesivi della sua sovranità nazionale.
Tre giorni dopo l’Impero austro-ungarico le dichiarava guerra. In questo lasso di tempo il ministro degli esteri inglese Grey tentò una mediazione proponendo un arbitrato congiunto di Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia.
Fallito questo tentativo, si fece allora promotore di una conferenza tra le varie potenze durante la quale Austria-Ungheria, Serbia e Russia non avrebbero dovuto impegnarsi in azioni militari.
Anche questa ipotesi non andò a buon fine sia per l’intransigenza tedesca e austro-ungarica, ormai convinte della necessità di un’azione punitiva nei confronti della Serbia, sia per l’eccessivo moderatismo di Russia e Francia che preferivano mantenere l’attuale equilibrio con gli Imperi centrali.
 

 
Alle ore 00.30 del 29 luglio 1914 le artiglierie austriache sul Danubio aprivano il fuoco contro Belgrado. Di fronte all’attacco austro-ungarico lo Zar Nicola II ordinò una mobilitazione parziale, cui seguì immediatamente la pre-mobilitazione tedesca.
In questa fase parve possibile che le principali potenze restassero spettatrici nel conflitto austro-serbo.
Tuttavia le pressioni dell’alto comando tedesco sul Kaiser e l’indignazione dell’opinione pubblica russa per l’attacco alla Serbia, spinsero Germania e Russia all’ultimatum.
Tra il 30 e il 31 luglio Germania, Austria e Russia proclamarono la mobilitazione generale, seguite il 2 agosto dalla Francia.
Il 31 luglio il cancelliere del Reich von Bethmann inoltrò ai propri ambasciatori a Parigi e San Pietroburgo gli ultimatum destinati ai rispettivi governi.
Il giorno successivo la Germania entrava ufficialmente in guerra con lo Zar.
Il 2 agosto il Belgio respingeva l’ultimatum tedesco che invitava il piccolo regno a permettere il passaggio delle truppe tedesche sul suo territorio, mentre il giorno successivo anche la Francia entrava in guerra con la Germania.
Il 4 agosto, truppe tedesche varcarono il confine del Belgio investendo con un attacco la fortezza di Liegi.
Fu a questo punto che la Gran Bretagna, fino a quel momento persuasa di poter gestire diplomaticamente la crisi, si levò in difesa della neutralità belga e, spaventata da un conflitto prossimo alle sue coste, dichiarò guerra alla Germania.
Da parte sua l’Italia, legata agli Imperi centrali dalla triplice alleanza, dichiarò la sua neutralità il 2 agosto.
 
Con il tuonare dei cannoni d’agosto aveva inizio la Grande Guerra, tuttavia pochi si resero conto del modo con cui il conflitto era stato deciso.
Un conflitto che i più pessimisti credevano potesse risolversi entro la Pasqua del 1915 sarebbe invece terminato nel 1918 dopo sedici milioni di morti. 
 
Il calendario digitale http://www.lagrandeguerrapiu100.it/ è un progetto ideato al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento per ricordare il centenario della Prima guerra mondiale.